Intervista al Prof. Pietro Ichino
di Gianfranco Cassano*
Dopo un lungo cammino iniziato alcuni anni fa, fatto di continua, intensa divulgazione e confronto, attraverso molte tappe intermedie, i primi provvedimenti del progetto di riforma del diritto del lavoro stanno vedendo la luce in queste settimane, al termine del naturale percorso parlamentare. Tra i protagonisti di questo cammino c’è il Prof. Pietro Ichino, ordinario di Diritto del lavoro nell’Università statale di Milano, Avvocato giuslavorista e Senatore della Repubblica, al quale sottopongo alcune domande per meglio comprendere la portata dei nuovi provvedimenti e gli scenari che si possono delineare nel breve termine, traguardo finale della delega ricevuta dal Governo. D. Alcuni importanti traguardi, nella lunga corsa della riforma del diritto del lavoro, sono stati raggiunti; quali sono, ora, le sue considerazioni?
R. Il contenuto più importante della riforma è il passaggio definitivo da un sistema di protezione del lavoro centrato su di una re- gola di sostanziale job property, ispirata al modello dell’impiego pubblico tradizionale, a un sistema di protezione ispirato al modello nord-europeo della flexsecurity. Il filtro delle scelte aziendali in materia di aggiustamento degli organici non sarà più, nella maggior parte dei casi, costituito dalle valutazioni imprevedibili di un giudice, ma da un severance cost prevedibile, proporzionato all’anzianità di servizio del lavoratore, di entità minima all’inizio del rapporto. Sul ver- sante della security, il nuovo sistema prevede che al lavoratore venga assicurata, insieme al congruo sostegno del reddito offerto dall’ASpI, una assistenza efficace nella ricerca della nuova occupazione.
D. La rimozione della disparità di protezioni esi- stente nel mercato del lavoro è stata identificata, da sempre, come un obbiettivo primario; ritiene che i nuovi provvedimenti legislativi, di cui è stato promo- tore, riusciranno a portare al raggiungimento di tale traguardo?
R. Se consideriamo che nel corso del 2013 sono stati stipulati nel nostro Paese 1,6 milioni di contratti di lavoro a tempo indeterminato, e che con gli incentivi economici e normativi disposti dalla legge di stabilità e dalla legge-delega sul lavoro si può prevede- re un raddoppio della quota di contratti di questo tipo sul totale, è facile prevedere che nel giro di due o tre anni la maggioranza dei lavoratori dipendenti sarà impiegata con il contratto a tutele crescenti, cioè sarà già coperta dalla nuova disciplina. A quel punto non sarà difficile estendere questo nuovo ordinamento anche ai vecchi rapporti.
D. Il tessuto sociale del nostro paese è pronto a rece- pire la diversa impostazione tra il regime incentrato sulla property rule e quello incentrato sulla liability rule, ovvero di comprendere la necessaria transizione dalla job property al regime di protezione e sicurezza economica del lavoratore per la ricerca di un nuovo posto di lavoro?
R. È difficile rispondere a questa domanda. La cultura del “posto fisso” è ancora molto diffusa. Ma non possiamo proprio permetterci di conservare questa cultura: se non vogliamo rinunciare alla prospettiva dell’integrazione europea, non abbiamo alternative rispetto alla scelta di superarla, e di farlo nel tempo più rapido possibile. Non ci resta, dunque, che… buttarci in acqua confidando di imparare molto rapidamente a nuotare. Certo, sarebbe stato molto meglio compiere questo passaggio in modo più graduale; ma abbiamo tardato troppo: ora i tempi della nostra strategia europea ci impongono di muoverci in questa direzione con grande rapidità e determinazione.
D. Ricollocamento e incontro tra domanda ed offerta di lavoro. Nel provvedimento vi è una visione dei servizi di assistenza al lavoratore più vicina ai Paesi del nord Europa; quali sono le nuove prospettive?
R. Con il disegno di legge-delega si è compiuta una scelta tra quello che potremmo indicare come il “modello tedesco” di servizi per l’impiego, il Bundesanstalt für Arbeit, ovvero una grande organizzazione esclusivamente pubblica, e quello che potremmo chiama- re come il “modello olandese-britannico”, basato su di una stretta cooperazione tra strutture pubbliche e imprese specializzate. La legge 10 dicembre 2014 n. 183 segna una netta opzione in favore di questo secondo modello. Essa prevede infatti il coinvolgi- mento delle agenzie specializzate nei servizi di placement e di outplacing, attraverso il nuovo strumento del contratto di ricollocazione, che vedrà il lavoratore libero di scegliere l’agenzia specializzata tra quelle accreditate presso la Regione, ma impegnato poi a cooperare attivamente a tutte le iniziative che questa gli indicherà per il più rapido reinserimento nel tessuto produttivo, sotto pena della perdita del sostegno del reddito. Il ser- vizio reso dall’agenzia verrà retribuito con un voucher regionale pagabile per la maggior parte a risultato ottenuto, in modo da assi- curare una riqualificazione automatica della spesa pubblica in questo campo e al tempo stesso una selezione automatica degli opera- tori in base alle loro capacità. Il disegno di legge-delega prevede anche l’istituzione, senza assunzione di nuovo personale, di un’agenzia nazionale cui saranno affidati i compiti di fissare gli standard di efficienza ed efficacia dei servizi offerti dalle Regioni, controllarne il rispetto e surrogarsi alle Regioni che non siano in grado di garantirlo.
D. Veniamo al contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti: quali sono le prospettive al riguardo?
R. Qui sta il cuore della riforma. È impor- tante che si riesca a fare di questo contratto la forma di assunzione normale: dobbiamo almeno raddoppiare la sua percentuale sul flusso complessivo dei nuovi contratti: da uno su sei a uno su tre entro il primo anno, per poi arrivare entro l’anno successivo a uno su due. Se, come spero, ci riusciremo, questo avrà un impatto molto positivo sulla produttività del lavoro: perché entrambe le parti del contratto investono sul rapporto e sulla formazione specificamente necessaria in relazione ad esso solo se il programma contrattuale ha un orizzonte lungo. Ma questo aumento drastico delle assunzioni a tempo indeterminato si verificherà soltanto se nella fase iniziale, che è quella della mas- sima incertezza circa l’esito e le prospettive di prosecuzione del rapporto, il costo di separazione sarà ridotto al minimo. Poi, quel costo (che costituisce la prima “tutela” per la persona interessata) crescerà gradualmente con il crescere dell’affidamento reciproco tra le parti. Per questo motivo il professor Bruno Caruso – ora assessore al Lavoro in Sicilia – parla di “contratto ad affidamento crescente”: è una proposta lessicale che coglie perfettamente il punto cruciale del progetto.
D. Il contratto di apprendistato, nelle intenzioni del Legislatore, è l’unico vero strumento per il primo ingresso nel mondo del lavoro; con il contratto a tute- le crescenti vi è il rischio, se non vengono introdotti requisiti specifici, di averlo depotenziato?
R. Oggi, se sommiamo la percentuale di nuovi contratti a tempo indeterminato e quella dei nuovi contratti di apprendistato sul flusso delle assunzioni, non arriviamo neanche al 20 per cento complessivo, con il tempo indeterminato ordinario al 16 per cento e l’apprendistato al 2 o poco più. È ragionevole puntare a moltiplicare entrambe le percentuali per tre nell’arco dei prossimi anni. E c’è ampio spazio per entrambi i risultati. Certo, per aumentare la quota di con- tratti di apprendistato nel flusso generale occorrerà ancora qualche intervento di semplificazione, dopo quelli operati con il decreto Poletti del marzo scorso.
D. Ritiene fondati i timori di alcuni settori produttivi circa un’estensione, in futuro, dell’art. 18 alle imprese assistite dalla tutela obbligatoria?
R. Questo mi sembra davvero un timore infondato. Come dicevo all’inizio, la scelta fondamentale che stiamo compiendo è quel- la del passaggio da un regime ispirato al principio della job property a un regime nel quale la regola generale sarà una liability rule a carico dell’imprenditore, cioè una responsabilità avente per oggetto una indennità di entità predeterminata o predeterminabile. A maggior ragione una regola di questo genere continuerà ad applicarsi nelle imprese nelle quali essa già si applica oggi, prima della riforma.
D. Nella delega si parla di riorganizzazione delle forme contrattuali attualmente esistenti. Questo, prelude alla eliminazione delle collaborazioni a pro- getto o alla possibile “ compressione” di altre forme contrattuali?
R. Questa materia non sarà oggetto del primo decreto legislativo, cioè di quello dedica- to al contratto a tutele crescenti destinato a entrare in vigore entro gennaio, ma del decreto che conterrà il nuovo Codice semplificato del lavoro. Su questo punto la legge-delega prevede un riordino delle forme contrattuali precarie e atipiche. La riforma, in concreto, potrebbe consistere in questo: che tutti i co.co.co., co.co.pro., associati in partecipa- zione, soci di cooperative di lavoro con prestazione autonoma, i quali nell’ultimo anno fiscale abbiano operato per una sola azienda e con un reddito mediamente inferiore a 1500 euro mensili, si vedano applicare le nuove regole sui licenziamenti, oltre a quelle sull’orario di lavoro e sulle ferie; mi sembra che stia prevalendo l’orientamento a non estendere a questi casi anche l’applicazione della disciplina della malattia e dei permessi; e neppure quella del trattamento di fine rap- porto. Per i contratti già in essere prima dell’entrata in vigore del decreto attuativo della delega, non cambierà nulla fino alla loro cessazione.
D. Quali sono i prossimi interventi in corso di elaborazione per dare completa attuazione alla delega ricevuta dal Parlamento?
R. Come dicevo, il più importante di essi sarà costituito dall’emanazione del testo uni- co semplificato delle norme di fonte nazionale che disciplinano i rapporti di lavoro: il Codice semplificato. Esso consisterà in un testo unico che potrebbe non superare la sessantina di articoli; in ogni caso articoli brevi e scritti in modo da essere facilmente leggibili e traducibili in inglese. Questi articoli sostituiranno l’intera legislazione di fonte nazionale in materia di rapporti di lavoro. A parte la riforma dei licenziamenti di cui si è detto e una modifica incisiva della norma relativa al mutamento di mansioni in azienda, per il resto il nuovo codice non farà altro che “di- stillare” in forma più semplice e chiara la normativa esistente, eliminandone gli scostamenti più rilevanti rispetto agli standard europei prevalenti.
Grazie al Prof. Ichino per la sua disponibili- tà nei confronti della nostra Rivista di “apprendisti del diritto del lavoro”
* Odcec di Milano