Intervista al Dott. Luigi Pagliuca Presidente CNPR
a cura del Comitato di redazione
D. La privatizzazione degli enti previdenziali, operata dal Decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, ha riguardato il solo regime della loro personalità giuridica, lasciando invece ferma l’obbligatorietà dell’iscrizione e della contribuzione, come pure la natura di pubblico servizio. A distanza di venti anni, il sistema che ne è scaturito consente agli stessi enti di operare secondo principi di efficienza ed efficacia, garantire le prestazioni dei beneficiari e tutelare l’integrità del patrimonio?
R. A distanza di venti anni urge un riassetto del sistema delle Casse di previdenza dei liberi professionisti. Da un lato, negli ultimi anni le Casse sono state assoggettate a una serie crescente di controlli e di misure propri degli enti pubblici, che ne hanno minato l’autonomia e l’efficienza; dall’altro è necessario iniziare a ragionare sulla necessità di misure che svincolino le singole Casse dai rischi di shock demografici, particolarmente gravi per popolazioni ridotte, come quelle relative a una singola professione, e in tempi di rapidi mutamenti del mercato del lavoro.
D. Da più parti si sente dire che gli enti di previdenza privatizzati dovrebbero rivendi- care una maggiore “autonomia”, allo stato attuale, quali sono i vincoli che la normativa impone agli enti privatizzati e come incido- no sulla loro gestione?
R. In realtà il legislatore ha introdotto numerosi vincoli indipendentemente dall’affermazione del Consiglio di Stato, ma facendo esclusivo riferimento all’elenco Istat, che viene predisposto solo a fini stati- stici. I vincoli imposti negli ultimi anni riguardano gli investimenti immobiliari, che richiedono un’approvazione ministeriale che di fatto blocca l’attività delle Casse per circa nove mesi all’anno; i limiti alle spese per consumi intermedi, per arredi, per l’utilizzo delle autovetture, per la consulenza informatica; oltre a numerosi vincoli in materia di trattamento economico personale, anche se regolato da un contratto di lavoro di diritto privato. Accanto a questi vincoli, che già limitano fortemente la gestione efficace della spesa, va aggiunto l’onere maggiore, ai fini della gestione del processo decisionale, ovvero l’obbligo di sottostare al codice degli appalti per effetto dell’inclusione nell’elenco ISTAT.
D. Dall’ultimo Rapporto Adepp (associa- zione degli enti di previdenza privati) emerge che i patrimoni degli enti di previdenza crescono, pur calando sensibilmente i redditi degli iscritti. E’ così anche per la CNPR ?
R. Sì, è così anche per la CNPR e sarà così per tutte le Casse finché le entrate per con- tributi saranno superiori alla spesa per le pensioni, cosa che dipende dal rapporto fra iscritti e pensionati.
D. Qual è l’andamento degli iscritti della CNPR e quale il rapporto con i pensionati?
R. Di fatto le iscrizioni alla CNPR sono “congelate” dal momento dell’unificazione dei due Ordini, alla quale doveva conseguire l’unificazione su base volontaria delle due Casse, cosa che non è avvenuta. L’Ente tuttavia registra un costante flusso di nuove iscrizioni, ancorché non sufficiente a gene- rare una crescita demografica della popola- zione attiva rispetto ai pensionati. Oggi il rapporto fra iscritti e pensionati è leggermente superiore a 3, cioè ci sono più di 3 iscritti per ogni pensionato.
D. E’ vero che per mantenere i “bilanci in ordine” gli enti di previdenza privatizzati e la CNPR in particolare saranno costretti a “penalizzare” gli iscritti più giovani?
R. E’ vero ed è già avvenuto. Tutte le Casse, anche se in tempi diversi e con modalità differenti, sono passate al sistema di calcolo contributivo, abbandonando quello retributivo, sostenibile solo finché il numero di iscritti era in crescita. Il passaggio al sistema contributivo obbliga gli enti a dover incrementare la contribuzione minima a fronte del miglioramento dell’adeguatezza delle prestazioni future, che in ogni caso avranno un tasso di sostituzione notevolmente inferiore rispetto alle prestazioni oggi erogate e determinate con il sistema misto di calcolo.
D. Dopo la riforma Fornero del 2012, gli enti di previdenza privatizzati hanno supera- to lo stress test della sostenibilità a 50 anni, sembra però che non si sia tenuto in adeguata considerazione l’andamento decrescente degli iscritti nei prossimi anni. Ci può illustrare brevemente la situazione della CNPR e le previsioni di lungo periodo?
R. Non mi esprimo sulle valutazioni dei Ministeri sui bilanci tecnici delle altre Casse. Per quanto riguarda la CNPR si è tenuto conto della mancanza di un costante flusso di nuovi iscritti e infatti l’ultimo bilancio tecnico della CNPR ne prevede un ridotto flusso sino al 2026, anno nel quale si prevede a normativa attuale che si sia esaurito il bacino potenziale dei soggetti obbligati a fare previdenza presso il nostro fondo. Nonostante questo le previsioni di lungo periodo ci dicono che la CNPR sarà in grado di pagare, con i contributi che incasserà e con il suo patrimonio, tutte le pensioni maturate e che matureranno. L’indice di copertura delle prestazioni residue (valore del patrimonio/ultime 5 annualità di prestazione previdenziale) nell’ultimo bilancio tecnico è in linea con i parametri di sostenibilità definiti dalla Legge n. 335/1995, che costituisce l’unico riferimento a regime, non avendo la legge 201/2011 il parametro di valutazione della sostenibilità.
D. Ogni volta che si parla del futuro degli enti di previdenza privatizzati, c’è chi ne profetizza l’accorpamento nell’ambito della previdenza pubblica, ad esempio mediante la creazione di una o più gestioni separate presso l’Inps, secondo lei è uno scenario verosimile?
R. Ritengo che l’esperienza della privatizza- zione vada salvata. I risultati di questi primi 20 anni per il complesso della previdenza dei liberi professionisti mi sembrano molto positivi. Se vi sono necessità di accorpamento delle Casse, non è necessario farlo all’interno del mondo pubblico, si può fare mantenendo la natura giuridica privatistica. Come si evince dall’ultimo rapporto Adepp il rapporto tra contribuzione e prestazione nella maggior parte dei casi è di 1,55, eccessivamente basso per garantire effetti di miglioramento del saldo previdenziale dei fon- di nel medio-lungo periodo, stante il fatto che le professioni in Italia oggi costituiscono una forma sostitutiva di scelta occupazionale, con eccessiva offerta professionale sul mercato del lavoro, a cui corrisponde una forte contrazione dei volumi d’affari e dei redditi professionali, ovvero gli elementi che alimentano la contribuzione.
D. Dopo “lunga gestazione”, il Decreto legislativo 28 giugno 2005, n. 139 “Costituzione dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, a norma dell’articolo 2 della legge 24 febbraio 2005, n. 34”, ha unificato due professioni, quella di Dottore Commercialista e quella di Ragioniere e Perito Commerciale, sostanzialmente equivalenti. A tutt’oggi esistono ancora due distinte casse di previdenza (CNPADC e CNPR) pur esistendo una sola professione. Non crede che sarebbe il caso di avviare un processo volontario di integrazione di questi due enti e, in caso positivo, con quali modalità?
R. Ritengo abbastanza paradossale l’esistenza di due Casse di previdenza per una sola categoria di liberi professionisti, tanto che l’articolo 4 della legge di unifica- zione aveva demandato alle due Casse, nel rispetto della loro autonomia, l’iniziativa di unificazione. Il percorso iniziato nel 2008 non si è concluso e ritengo che le condizioni che allora lo hanno impedito non siano oggi superate.
D. Negli ultimi anni la CNPR ha subito eventi dannosi di rilevante entità, di cui si è occupata anche la magistratura, che hanno avuto conseguenze sul bilancio dell’ente. Vista anche l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del suo predecessore, Dott. Paolo Saltarelli, di novembre 2014, si sente di poter assicurare agli iscritti che non ci sa- ranno ripercussioni sul patrimonio dell’ente, sulle prestazioni e/o sui contributi?
R. Posso rassicurare gli iscritti, come del resto ho fatto in più occasioni. La Cassa eroga pensioni “a prestazione definita”, quindi indipendenti dai rendimenti e dal patrimonio. Del resto la vicenda, certamente sconvolgente per la Cassa e per tutti i suoi iscritti, non mina i nostri conti. La cifra in gioco, nell’ipotesi peggiore in cui non riusciremo a recuperare nulla, vale poco più dell’1 per cento del nostro patrimonio. Ovviamente questa considerazione non diminuisce la gravità dei fatti.