Illegittima sospensione in cassa integrazione e demansionamento : quali danni risarcibili?

di Giada Rossi * 

Da oltre un anno il mondo produttivo e del lavoro è stato oggetto di misure eccezionali, fra le quali spicca il reiterato e perdurante divieto, per imprese di ogni area, tipologia e dimensione, di recedere dai rapporti di lavoro per motivo oggettivo, ovverosia ragioni economiche, produttive e/o organizzative.

A fronte di tale misura straordinaria, è stata estesa, pressoché a tutti i datori di lavoro, la facoltà di accedere agli ammortizzatori sociali, in deroga ai criteri e ai requisiti della cassa integrazione.

Il forte calo di domanda nel mercato, la contrazione di fatturato e di lavoro, le chiusure forzate o “a singhiozzo” hanno infatti obbligato un numero sempre crescente di aziende a ricorrere alla cosiddetta Cassa Covid e/o a riorganizzare le attività, anche ricorrendo a mutamenti di mansioni del personale dipendente.

In siffatto contesto le scelte imprenditoriali non si sono sempre rivelate in linea con i precetti normativi e i principi giuslavoristici, tanto in tema di mansioni che di accesso alla cassa integrazione.

Risulta pertanto di estremo interesse ed attualità la pronuncia che la Suprema Corte ha reso in data 28 settembre 2020 (ordinanza num. 20466/2020), nel caso di una lavoratrice che aveva agito giudizialmente contro il proprio datore di lavoro lamentando un danno alla professionalità per demansionamento nonché l’inosservanza dei criteri di rotazione in costanza di cassa integrazione, chiedendo dunque, in aggiunta, il relativo risarcimento.

Ripercorrendo l’iter giudiziale: il Tribunale di Milano, adito dalla lavoratrice, accertava in primo grado entrambe le condotte censurate, ovverosia l’illegittima sospensione in cassa integrazione in spregio al criterio della rotazione fra il personale dipendente fungibile e, per i (brevi) periodi di servizio prestato, il demansionamento, concretizzatosi nel caso di specie nell’assenza di mansioni da espletare, stante l’intervenuta riassegnazione ad altri colleghi delle attività dapprima svolte dalla ricorrente.

Il Giudice di prime cure condannava, per la violazione del principio di rotazione della cassa integrazione, la datrice di lavoro al pagamento delle differenze retributive, calcolate sulla differenza fra lo stipendio mensile e quanto di fatto percepito durante il periodo di cassa integrazione. In aggiunta, a seguito dell’accertato demansionamento, condannava altresì l’impresa al risarcimento del danno alla professionalità.

La datrice di lavoro impugnava la predetta sentenza e la Corte d’Appello di Milano riformava parzialmente la pronuncia: ferma la condanna al pagamento delle differenze retributive per l’illegittima sospensione in cassa integrazione, rigettava invece la domanda attorea afferente al risarcimento del danno da demansionamento, con conseguente condanna della lavoratrice alla restituzione di quanto percepito a tale titolo in forza della pronuncia di primo grado.

Ed invero, considerata l’esiguità delle giornate di lavoro prestato, quindi il ridotto periodo in cui il lamentato demansionamento si era concretamente verificato, la Corte d’Appello considerava già ristorato, mediante il riconoscimento delle differenze retributive, il danno conseguente al patito demansionamento; giudicava dunque assorbito nell’indennizzo per violazione dei criteri di rotazione in cassa integrazione anche il danno da dequalificazione professionale.

A seguito dell’avvenuta riforma della sentenza de qua, la lavoratrice ricorreva per Cassazione.

Onde a pieno comprendere le argomentazioni esposte dalla Suprema Corte, giova preliminarmente soffermarsi sui differenziati regimi di tutela delle fattispecie esaminate.

La disciplina degli ammortizzatori sociali prevede generalmente la stipulazione di un accordo con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, nel quale vengono regolamentati gli aspetti normativi ed economici, nonché eventuali criteri di scelta e di rotazione del personale coinvolto nel programma di integrazione salariale.

Un’eccezione è stata tuttavia prevista per la cosiddetta Cassa emergenziale Covid, ove, fermi gli obblighi di comunicazione preventiva alle organizzazioni sindacali e di esame congiunto, è stato consentito l’accesso agli ammortizzatori sociali anche in assenza di un verbale di accordo. Nonostante tale deroga, non possono essere trascurati i consolidati principi giurisprudenziali, che prevendono in ogni caso l’individuazione di criteri oggettivi, razionali e coerenti con le finalità del trattamento di integrazione salariale, nonché il fermo rispetto dei principi di non discriminazione, di correttezza e buona fede nei confronti dei lavoratori coinvolti.

Ne consegue che, per i periodi di illegittima sospensione dalla mansione in violazione dei criteri di rotazione della cassa integrazione, il prestatore di lavoro, avendo subìto un ingiusto danno economico, ha il diritto di ottenere un indennizzo economico, nello specifico pari alla differenza fra quanto spettante a titolo di retribuzione e quanto effettivamente percepito a titolo di indennità di cassa.

Diversi invece i presupposti e i riflessi del demansionamento, ovverosia dei casi di assegnazione a mansioni inferiori, in violazione degli artt. 2103 c.c. e dell’art. 13 Statuto dei Lavoratori, oppure di completa inattività, come nel caso che ci occupa.

Trattasi in concreto di condotta pregiudizievole foriera di danni di natura patrimoniale, fra i quali si possono menzionare la perdita di professionalità, di potenzialità occupazionali, di chance, ma anche di danni di natura non patrimoniale, suscettibili di valutazione e risarcimento anche in via equitativa, per la lesione della personalità morale e della dignità del lavoratore, diritti inviolabili di cui agli artt. 2, 4 e 32 della carta costituzionale, la cui lesione si traduce nella compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità nell’ambito della formazione sociale costituita dall’impresa. Non si trascuri inoltre che sovente, ad un illegittimo demansionamento, possono conseguire altresì danni alla salute, sempre da ricondursi nell’alveo del danno non patrimoniale, per l’insorgere di patologie quali stress o sindromi depressive, con gravi ripercussioni sulla vita extra-lavorativa della persona.

Chiariti i diversi parametri risarcitori e i differenti diritti sottesi, si rimanda a ciò che in dottrina viene definita la tutela differenziata dei crediti in ragione del loro rilievo socio economico, ben esplicata nella parte motiva dell’ordinanza della Suprema Corte in commento.

Detta tutela si estrinseca in disposizioni a protezione del lavoratore, sia processuali sia di diritto sostanziale, fra cui quelle a garanzia della “persona”, ossia a riconoscimento dei diritti a copertura costituzionale, come il diritto alla salute e alla dignità personale del lavoratore. Di particolare rilevanza l’art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

In virtù di quanto sopra, la Suprema Corte ha ritenuto non sovrapponibili i piani risarcitori da illegittima sospensione in cassa integrazione e da lesione alla professionalità conseguente al demansionamento; il primo, infatti, da ristorarsi mediante il pagamento delle differenze retributive; il secondo, lesivo del diritto all’estrinsecazione della personalità e della professionalità, indi della dignità del lavoratore, foriero di danni patrimoniali e non patrimoniali, questi ultimi da determinarsi secondo valutazione equitativa, anche mediante ricorso a prova presuntiva.

In esito a quanto sopra, con l’ordinanza in commento, la pronuncia della Corte d’Appello viene cassata con rinvio ad altro giudice, in quanto non è predicabile un principio, quale quello affermato dalla Corte distrettuale, in base al quale l’accertamento di un diritto scaturito dalla violazione di una norma possa assorbire anche quello derivante dalla violazione di altro precetto normativo.

Di questo importante monito si dovrà dunque far tesoro nei futuri mesi, in cui permarranno in vigore le norme straordinarie in tema di divieto licenziamento e accesso alla cassa integrazione, auspicando che quanto prima il lavoro e il mondo produttivo vedano la ripresa tanto sperata.

* Avvocato in Milano

 

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