La voglia di ripartire è più forte della congiuntura
di Maurizio Centra*
L’Italia è indubbiamente un paese unico nel suo genere, in grado di coniugare i primati internazionali con il degrado ambientale, la capacità di progettare e realizzare opere uniche al modo con il diffuso malcostume, la leadership in alcuni settori produttivi con l’assenza ultra decennale di una politica economica degna di questo nome e si potrebbe continuare. Ma ogni volta che ha toccato il fondo o stava per toccarlo, l’Italia ha dimostrato di avere in se le capacità per ripartire e questo, probabilmente, sta accadendo anche adesso.
Nel 2015 il prodotto interno lordo (PIL) italiano è cresciuto dello 0,6% e non occorre essere economisti per capire che questo è un valore assai modesto, addirittura insufficiente a mantenere in “normale funzionamento” il Sistema Paese, ma intanto è cresciuto, a differenza del 2014 (-0.4%), del 2013 (-1.9%) e del 2012 (-2,4%), solo per citare gli ultimi anni. Per quanto i dati periodici non siano sempre significativi, nel quarto trimestre del 2015 il PIL è aumentato dello 0,1% rispetto al trimestre precedente e dell’1,0% nei confronti del quarto trimestre del 2014, sebbene verso la fine dell’anno la crescita congiunturale abbia mostrato un indebolimento, ma non tanto da interrompere il lento percorso di miglioramento.
L’Italia ha sempre avuto nelle esportazioni uno dei pilastri della propria economia, ma da oltre un decennio a questa parte proprio le esportazioni hanno subito un rallentamento significativo, prima a causa della concorrenza dei paesi a bassi costi di produzione e da ultimo per la flessione dell’economia mondiale, che ha registrato un picco negativo proprio nel 2015. Questo, però, non assolve la classe dirigente del Paese la quale, tra beghe politiche e scarsa attitudine alla programmazione, da- gli anni ’80 del secolo precedente non ha impedito l’escalation del debito pubblico, che nel 2014 ha addirittura superato la so- glia del 130% del PIL!
Nonostante l’handicap del costo degli interessi passivi sul debito pubblico, che è di gran lunga superiore a quello dei paesi suoi diretti concorrenti sui mercati mondiali, l’insuccesso di gran parte delle iniziative di revisione della spesa pubblica (spending review) degli ultimi governi, di un tasso di disoccupazione astronomico e di una stretta creditizia (credit crunch), che ha penalizzato in particolar modo le piccole e medie imprese, ossia quelle che costituiscono l’ossatura del sistema produttivo nazionale, nel 2015 l’Italia ha iniziato ad affrontare alcuni dei suoi Grandi Problemi, con iniziative legislative decisamente più rapide ed efficaci di quelle prece- denti. Tra queste rientra anche la riforma del lavoro (Jobs act), che – assieme ad altre norme che l’hanno preceduta od integrata ha modificato in modo significativo il paradigma del mercato del lavoro e, ragionevolmente, inciderà anche sulla cultura del lavoro delle prossime generazioni.
Nell’affermare che il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro (cfr. art. 1 d.lgs. 81/2015), nello stabilire regole più rigide in materia di collaborazioni autonome ed introducendo le tutele crescenti, il legislatore del Jobs act ha delineato un sistema di lavoro più stabile, ma che non impedisca o renda eccessivamente incerto ed oneroso il recesso da parte del datore di lavoro, fermo restando il rispetto della dignità dei lavoratori, con un sistema sanzionatorio predefinito, il cui scopo è quello di ridurre i rischi e le lungaggini processuali.
Se ed in che misura le nuove norme italiane in materia di lavoro subordinato siano “in linea” a quelle degli altri paese europei, argomento che spesso anima i dibattiti televisivi, non è argomento che stimoli il cultore della materia, a differenza di quelli che saranno nel tempo gli effetti della riforma del lavoro del 2015, che – senza retorica – può definirsi epocale. Nel frattempo si possono esaminare i dati dell’Istituto nazionale di statistica (Istat) sull’anno da poco concluso, dai quali emerge un incremento dell’occupazione su tutto il territorio nazionale, con la conseguente diminuzione del tasso di disoccupazione, pur permanendo differenze elevate tra nord e sud del Paese.
Nonostante la crescita economia sia stata piuttosto lenta e, come accennato in precedenza, assai modesta, le condizioni del mercato del lavoro sono migliorate con un consistente aumento dell’occupazione dipendente, prevalentemente a tempo in- determinato, anche in virtù dell’esenzione contributiva Inps triennale, e la progressi- va flessione di quella indipendente. Positiva è risultata anche la ripresa della domanda di lavoro nel settore industriale, dopo anni di segno negativo.
Dopo due trimestri consecutivi di crescita, anche nel quarto trimestre del 2015 il numero dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato è aumentato (+ 99 mila unità rispetto al trimestre precedente), in parte bilanciato da cali dei dipendenti a termine (-43 mila) e degli indipendenti (-48 mila), ed anche i dati relativi a gennaio 2016, al netto della stagionalità, registrano un’ulteriore miglioramento (+70 mila). L’aumento tendenziale dell’occupazione su base annua (+184 mila) è dovuto in massima parte ai lavoratori dipendenti (+298 mila unità, di cui 207 mila a tempo indeterminato), nel contempo, si è assistito ad un aumento delle trasformazioni dei rapporti di lavoro da tempo determinato ad indeterminato (+3,5 punti) e dei passaggi da contratti di collaborazione a rapporti di lavoro dipendente (+14,4 punti), sia a termine sia a tempo indeterminato. Sempre nel 2015 è anche diminuita la durata dello stato di disoccupazione (-5,1 punti) ed aumenta la probabilità di trovare un’occupa- zione (+2,1 punti).
Nel corso dell’anno 2015 è risultato stabile il ricorso a prestazioni di lavoro somministrato, pur con una flessione finale, e si è ridotto il riscorso alla Cassa integrazione guadagni, segnali che fanno prevedere quanto meno un “mantenimento” delle tendenze occupazionali nel 2016. Nel contempo, l’aumento delle retribuzioni è risultato superiore all’inflazione, consolidando il recupero di potere d’acquisto al lordo delle imposte.
Le prime informazioni sull’andamento congiunturale dall’inizio dell’anno 2016 mostrano un incremento della produzione industriale dell’1,9% (destagionalizzato) rispetto a dicembre 2015, che ha riguardato gran parte dei comparti produttivi, come i beni strumentali (+5,7%), i beni intermedi (+2,5%), l’energia (+1,8%) ed i beni di consumo (+0,5%). Analizzando i dati per settori di attività economica, i comparti che hanno registrano le performance migliori sono stati quelli della fabbricazione di mezzi di trasporto (+10,9%), della produzione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (+10,3%) e della fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche, altri prodotti della lavora- zione di minerali non metalliferi (+7,9%), mentre hanno subito delle flessioni i comparti dell’attività estrattiva (-3,9%), delle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-1,6%) e delle industrie alimentari, bevande e tabacco (-0,6%).
Sebbene le notizie congiunturali non sia- no negative, per la prima volta dopo diversi anni, affinché gli effetti dell’auspicata ripresa economica si diffondano tra la popolazione ci vorranno anche altre condizioni, come un piano strategico nazionale di medio/lungo periodo e la ripresa del commercio internazionale, e, nel frattempo, qualche imprenditore sarà costretto a “gettare la spugna”. Ciò nonostante, stanno crescendo le aspettative ed il clima di fiducia, soprattutto dei consumatori, che sembrano credere nella ripresa più degli stessi imprenditori, tanto che potrebbero determinare nel 2016 un incremento dei consumi interni non previsto dagli analisti.
La voglia di ripartire sta dunque crescendo nel Paese e tutti possiamo non solo sostenerla ma anche alimentarla, perché con il lavoro e l’inventiva abbiamo già dimostrato di essere in grado di raggiungere grandi risultati.
* Odcec Roma
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