Nuova procedura per le dimissioni: se l’obiettivo è la semplificazione, lasciateci le complicazioni!
di Maria Luisa De Cia *
Che cosa dire della nuova procedura per le dimissioni? Ci siamo chiesti, e continuiamo a farlo, se chi ha posto in essere anche questo ulteriore adempimento viva nel mondo reale. D’accordo il contrasto del mal costume delle dimissioni in bianco, è legittimo e doveroso tutelare i lavoratori da que- sto tipo di sopruso, ma non potrebbe essere sufficiente prevedere la revoca delle dimissioni nei sette giorni successivi? No, a quanto pare no: prima si comunicano le dimissioni o le risoluzioni consensuali con una procedura che deve garantire la volontà del lavo- ratore, poi lo stesso può decidere di cambiare idea. Insomma, non ci si fida proprio del lavoratore?
Detto questo, e lo sfogo deve essere concesso anche ai Commercialisti, analizziamo la procedura soffermandoci, per prima cosa, sul concetto di dimissioni e risoluzione consensuale:
- le dimissioni sono un atto unilaterale di recesso dal contratto di lavoro esercitato dal lavoratore;
- la risoluzione consensuale è un accordo tra le parti (lavoratore e datore di lavoro) per concludere un rapporto di lavoro.
Quindi, perché la risoluzione consensuale deve essere “esercitata” dal solo lavoratore?
Ma torniamo alla nuova procedura: il lavoratore che si dimette – o risolve consensualmente il rapporto – deve essere già in possesso del pin rilasciato dall’INPS al “cittadino”; se così non fosse deve farne richiesta tramite il portale dell’Istituto e attendere circa una decina di giorni per ricevere la seconda parte del pin (la prima viene rilasciata contestualmente alla richiesta). Ottenuto il pin deve collegarsi al sito del Ministero del Lavoro (http://www. cliclavoro.gov.it) e registrarsi, sempre se non è già registrato. Attenzione, ovviamente, a non dimenticare la password!
Finalmente si arriva alla pagina riservata e inizia la ricerca del modulo: trovato! Si compila il tutto sperando di avere le necessarie informazioni, auspicando siano corrette, perché se il datore di lavoro ha variato la denominazione e la pubblica amministrazione non ha recepito la variazione (e quante volte accade!!), che fare?
Si continua la compilazione del modulo fino alla fine e, finalmente, lo si salva: ecco la marca temporale ed il codice identificativo. Via, dimissioni o risoluzione consensuale spedita. E ora? Il datore di lavoro riceve sulla propria pec (e speriamo che non sia scaduta!) la comunicazione di recesso e così pare che l’iter sia concluso. In realtà non è proprio così. Il lavoratore, infatti, ha sette giorni per poter revocare le di- missioni e, pertanto, il datore di lavoro potrà solo supporre che il lavoratore abbia voluto dimettersi non avendone la certezza perché, nei successivi sette giorni, il lavoratore stesso, con la medesima procedura, potrà comunicare al datore di lavoro di aver cambiato idea. Ma veniamo agli aspetti critici di tutta questa procedura con alcuni spunti di riflessione che sono emersi in occasione di un confronto sul tema con i colleghi Commercialisti del lavoro:
– come fa il datore di lavoro a sapere se il lavoratore intende o meno effettuare il periodo di preavviso? Forse se non lo vediamo più in azienda dobbiamo immaginare che il recesso comunicato abbia effetto immediato?!
Il Ministero del lavoro con la circolare n. 12 del 4 Marzo 2016 precisa che “resta fermo per il lavoratore l’obbligo di rispettare il termine di preavviso salvo il caso in cui sussista una giusta causa di dimissioni e fermo restando che in caso di mancato rispetto dei termini di preavviso, le dimissioni, pur se immediatamente efficaci, obbligano il lavoratore al risarcimento dell’eventuale danno”.
- Ma il datore di lavoro perché non può essere informato già nel momento in cui riceve la comunicazione di dimissioni? Basterebbe prevedere un ulteriore campo: “Periodo di preavviso: verrà effettuato – non verrà effettuato”.
- La circolare appena citata ha evidenziato un ulteriore aspetto critico: le dimissioni per giusta causa. Se il la- voratore intende dimettersi per giusta causa, effettua tutta la procedura, ma deve poi, necessariamente, attivarsi per rendere noto al datore di lavoro il suo intendimento a recedere per un fatto imputabile al datore di lavoro stesso. La procedura in esame, infatti, non consente di comunicare le motivazioni per il recesso.
- La procedura di dimissioni non si applica per i lavoratori domestici né durante il periodo di prova: questa ultima esclusione è stata chiarita dal Ministero del Lavoro con la circolare sopra Quindi in tutti gli altri casi sembra che il lavoratore debba avvalersi della procedura anche quando precede per pensionamento o quando l’apprendista intende recedere alla fine del periodo formativo. E i dirigenti? Anche loro ovviamente devono essere tutelati.
Spostiamoci nella vita reale. Non tutti i lavoratori utilizzano gli strumenti informatici e non tutti i lavoratori sono in possesso di un indirizzo di posta elettronica, informazione che il lavoratore deve obbligatoriamente comuni- care in sede di dimissioni. Questo che cosa comporterà? Molti lavoratori, e lo sappiamo bene noi che ci occupiamo di diritto e pratica del lavoro, semplicemente non si presenteranno più al lavoro oppure comunicheranno le di- missioni verbalmente e poi spariranno. Ebbene, le dimissioni comunicate con modalità diverse rispetto alla procedura in esame sono inefficaci e, pertanto, è come se non fossero mai state comunicate e, quindi, il rapporto di lavoro proseguirà. Siamo, infatti, sicuri che il lavoratore sia disposto a rivolgersi, in alternativa al percorso personale sopra indicato, ad un Patronato o ad una Organizzazione Sindacale, ad un Ente Bilaterale o ad una Commissione di Certificazione?
A questo punto il datore di lavoro dovrà invitare il lavoratore a seguire la nuova procedura di dimissioni e se il lavoratore non da seguito alla richiesta non resta che dare il via all’iter disciplinare. Contestazione dell’assenza ingiustificata, attesa dei cinque giorni per la risposta del lavoratore (che già sappiamo non arriverà), comunicazione del licenziamento per giusta causa al lavoratore con monitoraggio della raccomandata per individuare l’esatta data di ricevimento della comunicazione da parte dello stesso. E poi? Oltre al danno la beffa! Si, perché il datore di lavoro dovrà versare all’INPS il contri- buto di ingresso alla Naspi, contributo dovuto anche per il recesso per giusta causa. E tutto perché il lavoratore non ha voluto seguire la nuova procedura di dimissioni. Un balzello che grava, ancora una volta, sul datore di lavoro e sul professionista che lo assiste. Tutta questa nuova procedura, lacunosa e fortemente improntata sulla burocratizzazione degli adempimenti, andrebbe in toto cassata.
Come già detto, non sarebbe più semplice prevedere un periodo di “ripensamento” per il lavoratore di cinque giorni, ripensamento da comunicare al datore di lavoro sulla sua pec o a mezzo raccomandata? Anche solo una previsione in tal senso contrasterebbe il fenomeno delle dimissioni in bianco.
Ma se proprio si vuole complicare la procedura di dimissioni e di risoluzione consensuale legandole all’iter procedurale sopra sintetizzato, che almeno si tenga conto delle criticità segnalate che sono solo un “assaggio” delle molte perplessità che sono emerse analizzando il nuovo sistema di comunicazione. Si parla di semplificazioni, di snellimenti burocratici, ma pare proprio che non si riesca ad andare in quel senso, sarà perché siamo italiani e lo è anche il nostro Legislatore, è più forte di noi, se non è complicato non ci piace.
Infine, perché non consentire al lavoratore di rivolgersi ad un professionista del settore? Possibile che debba per forza rivolgersi solo alle strutture individuate dalla norma? Un lavoratore potrebbe anche preferire il proprio Commercialista per farsi seguire nell’i- ter delle dimissioni. Perché no? In fon- do il Commercialista è un po’ il suo confessore, il suo consulente e spesso un suo amico.
Siamo nella fase iniziale di questa procedura anche se auspichiamo che sia anche quella finale. Soprattutto confidiamo che si intervenga, e presto, per sanare quelle anomalie e quelle storture che potrebbero diventare un ulteriore costo per il datore di lavoro.
* Presidente Comitato Scientifico Gruppo Odcec Area Lavoro
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