La Peri-subordinazione
di Michele Faioli*
Sono nato e cresciuto in una bellissima città pugliese e, pur vivendo da molti anni a Roma, spesso non riesco a controllare tutte le mie vocali. Qui, la distinzione tra vocali, con riflessi semantici, tra peri- e para- subordinazione è voluta. L’art. 2 del d.lgs. 81/2015, come è noto, sta assorbendo l’energia di autorevoli giuslavoristi (tra gli interventi più recenti, si veda Treu, 2015; Santoro Passarelli, 2015; Pessi, 2015; Tursi, 2015; Sandulli, 2015; Perulli, 2015; Nogler, 2015; Prosperetti, 2015; Ichino, 2015; Pisani, 2015; Andreoni, 2015). Evidenzio, da subito, la mia idea: l’art. 2 è una mera “tecnica normativa di condizionamento” che è volta a far conformare ciò che è prestazione irregolare di lavoro rispetto a discipline di tutela considerate inderogabili.Con il Jobs Act si entra in un perimetro elastico della subordinazione (peri-subordinazione), con valenza sanzionatoria-positiva, di pro- mozione alla regolarità, evocando la lezione di Bobbio. L’art. 2 deve essere letto con una lente comparatista: esso è finalizzato a contrastare l’uso fraudolento/abusivo o “bogus”, come si ripete in ambito europeo, delle collaborazioni e delle partite IVA che nascondono forme di subordinazione, e a mettere un freno ulteriore alla cd. fuga dal lavoro subordinato. Il legislatore del 2015 spinge tutto ciò che è perimetrale rispetto al lavoro subordinato verso la conformità, promuove la regolarità delle prestazioni, indica le tutele di riferimento (quelle del lavoro subordinato). È un processo quasi osmotico da e verso la subordinazione. L’art. 2 è in controtendenza rispetto alle tecniche utilizzate nella legislazione del 2003 e del 2012 perché elimina i tanti (mutevoli) indici presuntivi, in- dicandone uno e uno solo, l’etero-organizza- zione (Nogler, 2015) e punta a una soluzione di sistema (Treu, 2015). Alle prestazioni di la- voro “esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche in riferimento ai tempi e luoghi di lavoro” si applicherà, pertanto, la disciplina di tutela del lavoro subordinato per- ché tali prestazioni sono considerate “bogus”, e cioè, in atto e in potenza, abusive (irregolarmente poste in essere; si veda anche Dell’Olio, 2000; Faioli, 2008).
Ritengo che la teoria della disponibilità del tipo spieghi questa nuova disciplina sino a un certo punto (si veda alcune osservazioni di Razzolini, 2015 e Novella, 2015). La giurisprudenza costituzionale (Cost. 121/1993; Cost. 115/1994; recentemente Cost. 76/2015 che ripete “lo statuto protettivo, che alla subordinazione si accompagna, determina, quale conseguenza ineludibile, l’indisponibilità del tipo negoziale sia da parte del legislatore, sia da parte dei contraenti individuali”) ci insegna che, nella nostra materia, la classificazione per tipo, sottotipo, specie è meramente didattica, cioè nominalistica e descrittiva di quelle realtà sempre più complesse che attengono alla relazione tra lavoro umano e organizzazione globale della produzione di beni/servizi. Ciò significa che, in termini più pratici, se da un lato, mediante le sentenze Cost. 121/1993 e Cost. 115/1994, si vincolava il legislatore in negativo (mai “negare la qualificazione giuridica di rapporti di lavoro subordinato” a rapporti che siano tali, ovviamente ove da ciò derivi una disapplicazione di tutele inderogabili), dall’altro, per il futuro, si vincola il legislatore in positivo (al di là della qualificazione giuridica di rapporto di lavoro subordinato, ciò che conta è l’applicazione di tutele inderogabili – che le tutele siano applicabili/estese al cd. lavoro peri-subordinato).
Ma cosa si intende per lavoro peri-subordinato? Il legislatore del 2015 non ha introdotto una nuova fattispecie, non ha definito un nuovo tipo “elettivo” di lavoro (per le differenze tra tipo elettivo e tipo imposto, si v. Ghera, 1988; D’Antona, 1990; Magnani, 2009). Come già evidenziato, siamo di fronte a una tecnica normativa di condizionamento contro irregolarità e abusi vari, tra l’altro non implicante provvedimenti giudiziali di “conversione” del lavoro in lavoro subordinato (le prestazioni “sono considerate”), ma provvedimenti giudiziali di accertamento volti all’imputazione di effetti (si “applicano” discipline di tutela). Il criterio della eterorganizzazione è un indice qualificatorio, presuntivo, di sintesi perché quasi totalizzante, estraneo all’art. 409 c.p.c. Su di esso si giocherà il prossimo contenzioso. In esso si trova il limite fra lavoro auto- nomo e lavoro subordinato, con riflessi sulle relative discipline. Del resto l’art. 2, co. 2, del d.lgs. 81/2015 disponendo che la contrattazione collettiva possa escludere dal lavoro peri- subordinato le collaborazioni che sono effettuate in settori peculiari sulla base di ragioni oggettive di produzione, conferma che vi è, al di là di una zona di non incidenza (prestazioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi; attività svolte dai componenti di organi di amministrazione e controllo delle società e dei partecipanti a collegi e commissioni; prestazioni rese a favore di associazioni sportive dilettantistiche), una tendenza innovativa di inclusione che le parti sociali sono sfidate a cogliere.
La contrattazione ha, infatti, il potere di individuare collaborazioni da ricondurre alle tutele del lavoro subordinato, man mano e in conseguenza di passaggi negoziali, delle possibili razionalizzazioni di contrattazione nazionale e del coordinamento tra federazioni (si pensi alle note intersecazioni tra federazioni che si occupano di lavoro temporaneo/somministrato rispetto a quelle del terziario o delle telecomunicazioni).
Resta aperto, al momento, il tema dell’obbligazione contributiva connessa all’imputazione delle tutele da lavoro subordinato (si veda le osservazioni più ampie sul tema previdenziale dell’art. 2 elaborate da Sandulli, 2015; Sgroi, 2015; ma anche Perulli, 2015). Si tenga presente che il lavoro autonomo coordinato già gode nel campo delle prestazioni previdenziali pensionistiche e di sostegno al reddito di regi- mi speciali (secondo alcuni, esonerativi). Nel tempo quei regimi sono stati quasi armonizzati a quelli del lavoro subordinato. Si sa, ad esempio, che la giurisprudenza non è (ancora) precisa sul principio di automatismo ex art. 2116 c.c. e sulla applicabilità di esso al lavo- ro autonomo coordinato (vedi da ultimo App. Milano n. 653 del 19.10.2015). Ma il problema che qui si solleva non è connesso alle presta- zioni previdenziali, ma all’obbligazione contributiva. Si ammetta pure, senza riserve, che le prestazioni previdenziali siano quelle connesse al lavoro subordinato, ma cosa accade del sottostante rapporto contributivo? Sull’imputazione degli effetti, per coerenza logica, non si ha scelta, anche perché non si può scindere il lato prestazionale da quello contributivo, per cui si applica per intero la disciplina del lavoro subordinato, proprio nell’ottica del condizionamento anti-abusivo.
Tuttavia, sarà necessario chiarire, anche con mere note operative, se si realizza una discontinuità rispetto all’obbligazione contributiva speciale, a cui quel lavoro era stato assoggettato (abusivamente) in quanto ritenuto lavo- ro autonomo coordinato (e cioè restano due periodi di contribuzione distinti, senza effetti retroattivi, senza sovrapposizioni contributive, senza sanzioni) o, qualora non vi fosse tale discontinuità, se/come si realizza il collegamento ex tunc, nei termini prescrizionali, con il regime contributivo della subordinazione (con sovrapposizioni e sanzioni).
In altre parole quella lotta per la regolarità potrebbe essere rafforzata non rimettendo il problema al giudice del lavoro o all’ispettore che verificano il caso specifico. È molto probabile che il giudice applichi lo schema che si è usato per le cd. conversioni legali, a cui siamo stati abituati negli anni di rilevazione dell’abuso del lavoro a progetto. La prassi ci ha insegnato quanto sia stato ricorrente, nel decennio scorso, lo schema ex art. 1, d.l. 338/89 (l. conv. 389/89) per fondare l’omissione contributiva, con effetti retroattivi, nei limiti della prescrizione, nei casi di lavoro a progetto convertito, per provvedimento giudiziale o verbale di ispettore, in lavoro subordinato.
Bibliografia di riferimento:
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ZOPPOLI, Il riordino dei modelli di rapporto di lavoro tra articolazione tipologica e flessibilizzazione funzionale, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”. IT – 213/2014.
* Università di Roma Tor Vergata
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