Jobs Act: una visione d’insieme
di Loris Beretta*
Mi sono chiesto quali siano stati i principi ispiratori della riforma e se questa volta davvero si potranno avere risultati positivi oppure se siamo di fronte alla solita riforma della riforma per poi lasciare tutto fermo, solo un po’ più complicato. Così ho seguito la storia del diritto del lavoro in modo da avere una visione d’insieme utile a comprendere la reale portata del Jobs Act.
A partire dal 1960 due problemi sono stati costantemente sul tavolo dei vari governi:
- difesa del posto di lavoro
- lotta al precariato
Di fatto c’è sempre stata, in tutta la nostra storia, una insistente indifferenza al problema della flessibilità in entrata, questo sul presupposto che prima o poi tutti vengono assunti ed è da quel momento che devono scattare tutele e vincoli il più stretti possibili per una strenua e spasmodica difesa del posto di lavoro garantito a vita.
L’evoluzione dell’economia e dei sistemi di produzione hanno però continuamente modificato le esigenze delle imprese e di conseguenza anche dei lavoratori.
Negli anni 60 la nascita dello Statuto dei Lavoratori esaudì il desiderio dei sindacati di spostare la trattativa con l’imprenditore ad una trattativa con la politica sotto l’ombrello della tutela dei tribunali. Da lì una politica confusa ed il potere smisurato della magistratura di interpretare le norme non permisero al Paese quell’evoluzione che i cambiamenti mondiali sempre più andavano esigendo.
Il sindacato dal canto suo, senza accorgersene, con tali scelte perse il suo ruolo di mediatore tra datore e lavoratore. Le conseguenze arrivarono con l’attuale crisi globale, che mise in luce questa debolezza.
Tutto andò bene finché il mondo economico non cominciò a diventare sempre più competitivo e globale, di contro il mercato interno fu sempre meno in grado di produrre crescita.
Da una parte la politica si rendeva conto di questo ma dall’altra le resistenze a qualsiasi tipo di cambiamento erano insormontabili (o quasi). Come se non bastasse ci si mise anche la Comunità Europea ad occuparsi di lavoro arrivando a costringere il Governo italiano a produrre cambiamenti (penso alla direttiva 1999/E/70 sul lavoro a tempo determinato e alla famosa lettera indirizzata al governo Berlusconi). In uno scenario tanto stantio Marco Biagi, col suo libro bianco, cercò di migliorare la situazione. Purtroppo, dopo la sua morte vennero frettolosamente varati molti decreti nel tentativo di portare modifiche, ma con l’intento di non cambiare nulla, o il meno possibile. Se non altro fu un primo passo. Lo Statuto dei Lavoratori venne comunque lasciato da parte generando la proliferazione di altri tipi di contratto, i cosiddetti parasubordinati. Da non dimenticare poi che il contratto a tempo determinato era una spina nel fianco di molti venendo sempre visto come un metodo per aggirare l’articolo 18. Non parliamo poi del mitico e intoccabile articolo 18.
Renzi cambia completamente visione, cerca soluzioni per facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro e aiutare chi ne esce a rientrare il più velocemente possibile, addirittura meglio preparato di prima.
Nasce così, in quest’epoca di grande crisi, l’idea che è mancata da sempre: il giusto equilibrio tra una maggiore flessibilità sia in entrata che in uscita.
Pensa al contratto a tempo determinato come un modo per agevolare l’ingresso delle persone (soprattutto giovani) nel mondo del lavoro, quale primo passo verso la stabilizzazione. Ma come stimolare il passaggio a quest’ultima? Il contratto a tempo indeterminato deve rimanere sicuramente la forma prioritaria che deve caratterizzare il rapporto di lavoro.
Ecco che Renzi inizia a ragionare esattamente al contrario della Fornero. Pensa di rendere molto conveniente il contratto a tempo indeterminato, invece che puntare ai soliti disincentivi, evita di imporre regole complesse, disincentivanti si ma foriere di maggiore contenzioso. Sostanzialmente comprende che il disincentivo pone l’imprenditore a caccia di una scappatoia, l’incentivo viceversa pone l’imprenditore di fronte ad una scelta a cui è avvezzo, ossia una scelta di convenienza.
Fatto questo si concentra sulla problematica della flessibilità in uscita, innanzitutto con l’obiettivo di mitigare l’infinito contenzioso esistente, poi pensando di supportare la per- sona che ha perso il lavoro, non solo economicamente ma anche focalizzandosi sulla sua formazione e la sua ricollocazione nel più breve tempo possibile.
Renzi e il suo staff costruiscono su queste basi i pilastri su cui viene costruita la riforma, a loro volta rafforzati da una legge di stabilità tesa ad amplificarne la portata. Vediamone i contenuti principali:
- La flessibilità in entrata l’assunzione a tempo indeterminato viene esentata da contributi Inps fino alla concorrenza di euro 8.060,00 per ben 36 mesi, non solo, viene anche ridotto l’ impatto del costo del lavoro rendendolo deducibile ai fini Irap. Viene totalmente liberalizzato l’utilizzo del contratto a tempo determinato, salvo limi- tarlo ad un massimo di cinque tra proroghe e rinnovi fino al limite del raggiungimento di 36 mesi di rapporto. Permane tuttavia il maggior costo contributivo che però può essere recuperato in caso di trasformazione a tempo indeterminato.
Viene ulteriormente incentivato l’utilizzo del contratto a tempo indeterminato concedendo l’esenzione contributiva anche in caso di trasformazione del contratto a tempo determinato.
- La flessibilità in uscita sull’articolo 18 si poteva fare anche qualcosa di più, tuttavia, non possiamo lamentarci; premesso che le nuove regole per i licenziamenti si applicano solo al personale assunto a partire dal 1 gennaio 2015, si osserva che il decreto tenta di limitare l’eccessivo potere interpretativo della magistratura nel decidere sulle controversie aventi ad oggetto il licenziamento. Di fatto ora basta che il licenziamento sia supportato da un fatto che ne abbia determinato la decisione, poco importa che quel fatto sia più o meno grave, importante è che il licenziamento si fondi su un motivo oggettivo e reale.
La nuova norma non è applicabile ai lavoratori già in forza ante primo gennaio 2015. Questo sostanzialmente si spiega per ragioni prevalentemente di convenienza economica da una parte e dall’altra perché sarebbe stato molto difficile assicurare a tutti il contratto di ricollocazione, che solo nel tempo riuscirà a dare i propri frutti.
Non viene eliminata la differenziazione tra aziende fino a 15 dipendenti e le aziende con un maggior numero di lavoratori, dovrebbe però essere confermata la disposizione che consente di superare la soglia dei 15 dipendenti mantenendo la regola applicabile fino a quel momento ai rapporti in essere alla data del superamento della soglia. Viene introdotta la regola della tutela crescente, ossia i lavoratori d’ora in poi matureranno una potenziale indennità risarcitoria pari a due mensilità per anzianità fino ad un massimo di 24 (da due fino a sei per le imprese fino a 15 dipendenti); con questo si è voluto dare maggiore certezza al costo da sostenere in caso di licenziamento. Non viene modificato l’obbligo di reintegrare il lavoratore in caso di licenziamento ingiustificato e in caso di licenziamento discriminatorio.
Interessante è aver disposto che le somme erogate a titolo di conciliazione, non siano assoggettate a contribuzione previdenziale né ad imposte dirette; viene stabilito un range tra 2 e 18 mensilità entro il quale quantificare l’offerta di conciliazione (da una a sei per le imprese fino a 15 dipendenti). Viene disciplinata l’impossibilità di licenziamento per inidoneità fisica o psichica del lavoratore (che, in effetti, dovrebbe riferirsi esclusivamente alla discriminazione nei confronti di persone con handicap). (Ad oggi i decreti attuativi non sono ancora disponibili di conseguenza su qualche punto potrebbe esserci qualche precisazione in più o qualche variazione in meno, vi terremo informati.)
Il trait d’union tra uscita e rientro nel mondo del lavoro diviene il contratto di ricollocazione.
Il Governo si preoccupa, questa volta davvero, che nessuno sia lasciato indietro. Lo dimostra coinvolgendo le agenzie per il lavoro, pubbliche e private, prevedendo un deciso potenziamento dei centri per l’impiego.
Ogni lavoratore licenziato potrà da una par- te essere supportato dalla nuova NASPI che lo tutelerà dal punto di vista economico, addirittura fino a 36 mesi sebbene a cifre decrescenti, dall’altra verrà messa a disposizione la c.d. “dote individuale di ricollocazione”. Viene quindi stabilito il diritto del lavoratore ad un’assistenza appropriata per la ricerca di una nuova occupazione e viene sancito il dovere del lavoratore di porsi a disposizione per la formazione, di cooperare con l’agenzia per il lavoro alle iniziative per la sua ricollocazione. Potrebbe dirsi una sorta di “aiutati che il ciel ti aiuta”.
Il contratto di ricollocazione viene riservato ai lavoratori che avranno subito un licenziamento (collettivo o per motivo oggettivo) oppure che, pur avendo avuto una sentenza favorevole per insussistenza del motivo disciplinare, non sono poi stati reintegrati.
In ultimo è prevista la rivisitazione delle regole dei rapporti parasubordinati, essendo previsto nella legge delega ma i cui decreti attuativi sono ancora in fase di formazione. Interessante anche qui il fatto che probabilmente la Naspi sarà applicabile anche ai parasubordinati che restassero privi di occupazione.
Vista la storia e compresi i principi ispiratori della riforma pare potersi affermare che le scelte effettuate, pur con i limiti imposti dalla mediazione politica, sono in linea con l’idea di rendere più fluido l’ingresso, l’uscita ma anche il rapido reingresso del lavoratore nel mondo del lavoro. Si intravede l’abbandono di scelte dettate unicamente dall’ideologia, in favore di soluzioni per il bene comune. Su questa linea sono state confezionate regole più chiare, di più facile applicazione, prendendo spunto dalla storia e dalla giurisprudenza consolidata in un’ottica di maggiore rispetto e collaborazione reciproca tra datore e lavoratore, non- ché di fattivo sostegno a chi il lavoro può averlo perso.Certo siamo in una fase sperimentale però in caso di funzionamento l’intero Paese ne beneficerà e potrà ripartire con maggiore serietà e serenità.
* ODCEC di Milano
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