Attività lavorativa dislocata e Smart Working

di Sergio Vianello* 

Lo Smart Working o Lavoro Agile, di cui il legislatore si sta occupando in questo periodo, come si legge anche in un altro articolo di questa rivista, è una modalità di esecuzione del lavoro subordinato che ha indubbiamente dei tratti in comune con alcune delle modalità esistenti, ma al tempo stesso se ne allontana, essendo dotato di caratteristiche che lo rendono unico, più di quanto non dica il titolo del disegno di legge approvato dal Senato, ora all’esame della Camera “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”. 

L’attuale dottrina definisce il luogo dove viene svolta la prestazione lavorativa non come un elemento caratterizzante il rapporto di lavoro, ma come solo una modalità. Infatti tra i poteri organizzativi e direttivi del datore di lavoro, rientra la possibilità di destinare il proprio dipendente a svolgere la prestazione di lavoro, secondo le sue esigenze produttive, in un luogo diverso rispetto a quello ordinario, cosi come definito al momento dell’assunzione o nel corso di svolgimento del rapporto di lavoro. Molteplici sono in Italia le tipologie di contratto di lavoro e molteplici sono le modalità di lavoro che presuppongono un luogo di lavoro delocalizzato rispetto all’organizzazione datoriale. Si pensi al telelavoro, al lavoro a domicilio o a distanza, ma anche solo a quella tipologia di lavoro da svolgere in missione o in trasferta, oppure a quello svolto dai rappresentanti di commercio, o dagli addetti alle manutenzioni presso terzi o addirittura, a quello svolto nei cantieri edili. Tutte queste tipologie di lavoro hanno un denominatore comune, che è quello di “essere svolte in parte all’interno dei locali aziendali ed in parte all’esterno, senza una postazione fissa ed entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge o dalla contrattazione collettiva”. La vigente legislazione sull’igiene e sicurezza sul lavoro all’art. 62, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, ai fini dell’applicazione delle disposizioni del titolo II, definisce così i luoghi di lavoro: “ … si intendono per luoghi di lavoro, unicamente ai fini della applicazione del presente titolo, i luoghi destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro.” 

I luoghi di lavoro possono essere i più disparati e, di norma, il lavoratore subordinato svolge la sua prestazione là dove è stabilito dal datore di lavoro. Qualunque sia, il luogo di lavoro, incidendo direttamente sulla tutela della salute del lavoratore, oltre che sulla tutela della persona stessa del lavoratore, non può essere trascurato ai fini della valutazione di idoneità ai sensi della normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81).

Interessante però è l’interpello n. 13 del 24 ottobre 2013 con il quale è stato chiesto al Ministero del lavoro e delle politiche sociali “se per i lavoratori a domicilio, che risultano dipendenti di un’azienda, ma che hanno come luogo di lavoro la propria abitazione, il Datore di Lavoro debba fornire a proprie spese tutta l’informazione, la formazione e l’addestramento previsto per i lavoratori dal D.Lgs. n. 81/08, in particolare la formazione prevista dai recenti accordi Stato- Regioni e la formazione per addetto al primo soccorso e addetto all’antincendio. Inoltre si chiede di sapere se l’abitazione del lavoratore sia da considerarsi a tutti gli effetti un luogo di lavoro, così come definito dal D.Lgs. n. 81/08, e debba pertanto essere oggetto di valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro.” Le indicazioni del Ministero interpellato al riguardo sono state: Il datore di lavoro è tenuto a fornire un’adeguata informazione e formazione nel rispetto di quanto previsto dall’accordo Stato Regioni del 21/12/11 e non anche quella specifica per il primo soccorso e antincendio. Il domicilio non è considerato luogo di lavoro, ai sensi dell’art. 62 del D.Lgs. n. 81/08. 

L’interpello segnala che quanto sopra vale nel caso in cui vi sia un sostanziale vincolo di subordinazione tra l’impresa, nella figura del datore di lavoro, e il lavoratore a domicilio. In assenza di questo vincolo, il D.Lgs. 81/2008 sostanzialmente non si applica, se non per quanto concerne l’art. 21 a carico del lavoratore stesso che ricordiamo disciplina le “Disposizioni relative ai componenti dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del Codice civile e ai lavoratori autonomi” e che si riporta integralmente:

“1. I componenti dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del Codice civile, i lavoratori autonomi che compiono opere o servizi ai sensi dell’articolo 2222 del Codice civile, i coltivatori diretti del fondo, i soci delle società semplici operanti nel settore agricolo, gli artigiani e i piccoli commercianti devono:

  1. utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al Titolo III;
  2. munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli conformemente alle disposizioni di cui al Titolo III;
  3. munirsi di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità, qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o
  4. I soggetti di cui al comma 1, relativamente ai rischi propri delle attività svolte e con oneri a proprio carico hanno facoltà di:
  5. beneficiare della sorveglianza sanitaria secondo le previsioni di cui all’articolo 41, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali;
  6. partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui rischi propri delle attività svolte, secondo le previsioni di cui all’articolo 37, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali”. 

Tutti i lavoratori subordinati e quindi anche quelli che prestano la propria opera in un luogo diverso dalla sede del datore di lavoro, devono essere informati circa le politiche aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e devono applicare correttamente le direttive aziendali di sicurezza. Al fine di verificare la corretta attuazione della normativa in materia di tutela della salute e sicurezza da parte del lavoratore a distanza, il datore di lavoro, le rappresentanze dei lavoratori e le autorità competenti hanno accesso al luogo in cui viene svolto il lavoro nei limiti della normativa nazionale e dei contratti collettivi, dovendo tale accesso essere subordinato al preavviso e al consenso del lavoratore qualora la prestazione sia svolta presso il suo domicilio. Il lavoratore a distanza può chiedere ispezioni. Il datore di lavoro garantisce l’adozione di misure dirette a prevenire l’isolamento del lavoratore a distanza rispetto agli altri lavoratori interni all’azienda, permettendogli di incontrarsi con i colleghi e di accedere alle informazioni dell’azienda, nel rispetto di regolamenti o accordi aziendali. A tutti i lavoratori subordinati che effettuano una prestazione continuativa di lavoro con una tecnologia che consente al dipendente il collegamento delocalizzato con l’organizzazione del datore di lavoro, sono applicabili le disposizioni di cui al Titolo VII del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e s.m.i. (Attrezzature munite di videoterminali), indipendentemente dall’ambito in cui si svolge la prestazione stessa. Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro fornisca attrezzature proprie, o per il tramite di terzi, tali attrezzature devono essere conformi alle disposizioni di cui al Titolo III, che definisce minuziosamente quale debba essere l’uso delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale.

Esaminando altri casi in cui il lavoratore venga inviato a svolgere la propria attività lavorativa in un luogo differente rispetto a quello in cui essa viene abitualmente prestata, si può rilevare che, ad esempio, l’Inail riconosce al lavoratore che si infortuna in trasferta il diritto all’indennizzo, in quanto è sempre considerata occasione di lavoro la trasferta o la missione lavorativa; infatti: “anche gli infortuni occorsi durante gli spostamenti effettuati dal lavoratore per recarsi dall’albergo al luogo in cui deve essere svolta la prestazione lavorativa e viceversa devono essere trattati come infortuni in attualità di lavoro e non come infortuni in itinere”. Per quanto riguarda gli infortuni occorsi all’interno della stanza d’albergo in cui il lavoratore si trova a dimorare temporaneamente o nel tragitto compiuto per recarsi dalla stessa stanza d’albergo al luogo di temporanea occupazione, occorre rilevare che esso non è equiparabile a quello avvenuto presso la privata abitazione o partendo dalla stessa, per il quale la Corte di Cassazione ha escluso l’indennizzo, in quanto i rischi del percorso che collega l’abitazione al luogo di lavoro abituale, dipendono anche dalla scelta del lavoratore riguardo al luogo dove stabilire il centro dei propri interessi personali e familiari, per cui detto percorso non è determinato da esigenze lavorative imposte dal datore di lavoro, ma dipende anche da scelte di vita del lavoratore. Diverso è il caso del lavoratore in missione e/o trasferta poiché, in tale situazione, il tragitto dal luogo in cui si trova l’abitazione del lavoratore a quello in cui, durante la missione, egli deve espletare la prestazione lavorativa, non è frutto di una libera scelta del lavoratore ma è imposto dal datore di lavoro.

L’Inail chiarisce che le uniche due cause di esclusione della indennizzabilità di un infortunio occorso a un lavoratore in missione e/o trasferta si possono rinvenire:

  1. nel caso in cui l’evento si verifichi nel corso dello svolgimento di un’attività che non ha alcun legame funzionale con la prestazione lavorativa o con le esigenze lavorative dettate dal datore di lavoro;
  2. nel caso di rischio elettivo, cioè qualora l’evento sia riconducibile a scelte personali del lavoratore, irragionevoli e prive di alcun collegamento con la prestazione lavorativa tali da esporlo a un rischio determinato esclusivamente da tali scelte. Secondo la definizione ormai consolidata in giurisprudenza, per rischio elettivo si intende “quello che, estraneo e non attinente alla attività lavorativa, sia dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente alla attività lavorativa, ponendo così in essere una causa interruttiva di ogni nesso tra lavoro, rischio ed evento” (Cassazione 22.2.2012, n. 2642).

Nel disegno di legge C. 4135 approvato dal Senato della Repubblica e trasmesso il 3 novembre 2016 all’esame della Camera dei Deputati sul Lavoro, citato in precedenza, viene definito Lavoro Agile: “… la modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.” L’art. 19 dello stesso disegno di legge, definisce così gli obblighi del Datore di Lavoro:

  1. Il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di
  2. Il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali.

Come si può notare, sul fronte dell’igiene e sicurezza sul lavoro non sono previste sostanziali modifiche, infatti il datore di lavoro, valuterà nel proprio obbligatorio documento di valutazione dei rischi (DVR), i rischi specifici relativi all’attività che il lavoratore agile andrà a svolgere, rispettando gli obblighi derivanti dall’art. 20 del D.Lgs 81/08 con particolare riferimento al comma 2 lettera a) che stabilisce che: “i lavoratori devono in particolare contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.”. Tenuto conto dell’impossibilità di controllare i luoghi di lavoro nei quali viene resa l’attività lavorativa, che il lavoratore può cambiare a suo piacimento in qualsiasi momento, come può il datore di lavoro vigilare sull’attività del lavoratore se non è nemmeno in grado di sapere dove lo stesso stia lavorando? Potrebbe essere al parco o a casa di un amico con il computer portatile! Nello smart working sarà fondamentale la responsabilizzazione del lavoratore, il quale deve assumere il ruolo di preposto di sé stesso, gestendo sì la propria giornata al fine di raggiungere gli obiettivi richiesti, ma in sicurezza e secondo le indicazioni dettate dalla normativa e soprattutto con il buon senso.

* Ordine Ingegneri di Milano – Osservatore esterno Commissione lavoro Odcec Milano

 

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