Lo Smart Working a 360°
di Loris Beretta *
Lo smart working è stato al centro di un convegno che si è tenuto a Milano il 17 febbraio 2017, su iniziativa del locale Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, presso l’Auditorium San Fedele, al quale hanno partecipato, tra gli altri, il senatore Maurizio Sacconi e il dottor Antonio Pone, Direttore Centrale Inps servizi agli utenti.
È stata una giornata in cui sono stati approfonditi vari aspetti dello smart working ed è stata discussa la proposta di integrazione presentata dal Gruppo Odcec Area lavoro – Comitato Scientifico al Consiglio nazionale della Categoria in merito al disegno di legge n. 2233 (estensori Loris Beretta e Filippo Mengucci). Nel corso del dibattito è emerso che lo smart working coinvolge ogni aspetto strategico ed organizzativo dell’impresa. Molto spesso ci si sofferma solamente alla valutazione del suo impatto sul benessere del lavoratore, che, grazie a tale modalità di esecuzione della propria prestazione, ha la possibilità di meglio conciliare la vita privata con quella lavorativa. In realtà la portata di questo istituto è molto più ampia, basti pensare alle modifiche da adottare all’organizzazione del lavoro e ai conseguenti impatti sul clima aziendale, gli strumenti produttivi, le relazioni industriali e la cultura del lavoro, solo per fare degli esempi. È emerso anche il ruolo che il Commercialista può assolvere per il corretto ricorso a questo istituto, mettendo al servizio di imprenditori e manager la capacità di analizzare i fenomeni aziendali e i relativi aspetti economici e finanziari, favorendone la diffusione nei casi in cui sia concretamente possibile.
I prerequisiti per l’introduzione di un progetto di smart working che abbia davvero successo parte innanzitutto dalla verifica dello stato di digitalizzazione dell’impresa. Non è un caso che la politica abbia posto l’attenzione su questo argomento comprendendo che la rivoluzione digitale che è in corso determina un’accelerazione mai vista in precedenza nel cambiare i comportamenti delle persone e delle imprese. Oggi ci troviamo di fronte a consumatori che possiamo definire maturi e a consumatori di nuova generazione rappresentati dai millennials che iniziano ad entrare nel mondo del lavoro. Si spiega così l’intervento del legislatore rivolto ad incentivare l’innovazione in genere e soprattutto l’innovazione digitale con agevolazioni fiscali e rendendo più semplice l’accesso al credito per finanziare tali processi. Lo smart working significa innanzitutto progettare e perseguire l’innovazione digitale all’interno dell’impresa, le tecnologie informatiche dovranno essere adattate ed adeguate affinché gli strumenti dedicati ai lavoratori agili siano sicuri ed estremamente efficienti. Attualmente sul territorio nazionale vi sono alcuni vincoli legati alla scarsa diffusione del Wi-Fi nonché dell’ancora troppo limitata struttura delle telecomunicazioni in fibra ottica e questo può creare grandi limitazioni alla diffusione di questo istituto; in merito una recente analisi effettuata dal Politecnico di Milano ha mostrato come la maggior parte dei lavoratori agili sia presente per lo più al Nord, limitatamente presente al centro e quasi inesistente nel sud e nelle isole.
Restando in tema di tecnologie informatiche si osserva come il ruolo dei responsabili ICT (information and communication technologies) sia centrale per la definizione dei livelli disicurezza della gestionedeltraffico, del controllo degli accessi al sistema informatico e della relativa gerarchia autorizzativa, della scelta delle applicazioni più idonee per essere utilizzate in remoto; è anche necessario che questi ripensino alla propria organizzazione interna, posto che con l’inserimento di un programma di smart working, essi dovranno rispondere alle richieste degli operatori che lavorano all’esterno dell’impresa in maniera velocissima ed efficace. Dati ed applicazioni aziendali vengono ad essere condivisi in maniera massiva, per questo si faranno sempre più strada i sistemi cosiddetti in cloud indispensabili per gestire la crescente domanda di libertà e flessibilità degli utenti pur mantenendo alti i livelli di sicurezza, con adeguati sistemi di data loss prevention e disaster recovery senza per questo rischiare di limitare la produttività dei lavoratori agili. Anche la scelta dei dispositivi mobili quali smartphone e computer è una parte molto delicata del processo di introduzione di un progetto di smart working; noi riteniamo che sia da evitare assolutamente che le persone utilizzino soluzioni fuori dal presidio aziendale, in quanto, strumenti utilizzati dal lavoratore anche per uso personale, possono con facilità generare problemi di sicurezza in tutto l’apparato informatico aziendale. Ovviamente l’avvio di un programma di lavoro agile impone che chi governa l’impresa sia sempre più flessibile, disponibile e proattivo, chi dirige e decide deve porre attenzione al mercato e alla concorrenza spingendo l’acceleratore sull’innovazione, che non significa solo produrre qualcosa di nuovo, ma anche produrlo con processi più efficienti. In un’epoca in cui il servizio è spesso prevalente sul prodotto (si pensi ad esempio ad Amazon, Uber, etc.) è necessario analizzare ogni processo aziendale per scegliere le attività più adatte ad essere svolte in modalità agile (ad esempio le attività di progettazione, di analisi, di controllo e così via sono quelle che più tipicamente possono sganciarsi dal concetto di lavoro a tempo per essere ridefiniti sulla base di un lavoro per processi e obiettivi). Questo significa anche coinvolgere altri due soggetti chiave dell’organizzazione dell’impresa: chi si occupa di finanza e chi si occupa di risorse umane. I primi dovranno essere coinvolti su due fronti, per l’analisi delle risorse necessarie ad attuare gli investimenti necessari ad attuare un progetto di smart working e per progettare sistemi di controllo adeguati a misurare il ritorno degli investimenti. Per quanto riguarda il primo aspetto gli strumenti di analisi possono essere quelli tradizionali, per quanto riguarda il secondo aspetto occorre invece avere l’ardire di creare strumenti nuovi, indici creati ad hoc, spesso inesistenti nella letteratura aziendale tradizionale.
Stabilito il quadro generale strategico e organizzativo dell’impresa si tratta ora di parlare delle persone. Ecco entrare in gioco il ruolo della direzione risorse umane. Si tratta di un ruolo sempre meno amministrativo e sempre più strategico; chi si occupa di persone le deve innanzitutto conoscere, deve conoscere ogni processo, ogni aspetto produttivo dell’impresa e anche il contesto di mercato e sociale in cui l’impresa è inserita, con cui l’impresa interagisce. Avere una profonda conoscenza di ogni persona che partecipa all’attività aziendale significa avere un ruolo centrale nell’individuare i soggetti più idonei a partecipare ad un programma di smart working. È inoltre noto che la comunicazione gioca un ruolo rilevantissimo in ogni momento di gestione del cambiamento organizzativo. Occorre che le persone abbiano ben chiaro il significato di un piano di smart working, solo così potranno in maniera consapevole essere scelti per aderirvi o potranno decidere di aderire volontariamente.
Lo smart working si inserisce nel nuovo scenario relazionale tra imprese e lavoratori oggi in prima pagina e conosciuto come welfare aziendale. Va da sé infatti che se da una parte lo smart working può essere un ottimo viatico per l’aumento della produttività aziendale, dall’altra è sicuramente un elemento di primaria importanza per una migliore conciliazione del rapporto lavoro / vita privata. Su questo punto il senatore Sacconi ha evidenziato che certamente si possono avere sicuri effetti di miglioramento nelle prestazioni dei lavoratori con una netta diminuzione dell’assenteismo, questo però comporta una notevole riduzione dell’esigenza, da parte del lavoratore, di chiedere permessi o ferie determinando così un aumento del costo del lavoro causato proprio dall’incremento del mancato godimento di ferie e permessi. In proposito il senatore ha sottolineato quanto poco sia conosciuto l’articolo 8 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138 disciplinante il “sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità” (poi convertito con la legge 14 settembre 2011, n. 148, pubblicata nella G.U. 16 settembre 2011, n. 216; il cui testo è stato aggiornato dal decreto legge n. 76 del 28 giugno 2013, convertito in legge n. 99 del 9 agosto 2013), che è conseguenza immediata dell’accordo interconfederale del 2011 sull’ampliamento della portata degli accordi di secondo livello. Tale norma dispone infatti l’ampia possibilità per i contratti aziendali di intervenire derogando a molteplici disposizioni sia di legge che di contratto nazionale; ne riportiamo i passaggi principali:
“Le specifiche intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento:
- agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;
- alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;
- ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;
- alla disciplina dell’orario di lavoro;
- alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento.
Le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori.”
Dunque una soluzione per il problema evidenziato può essere senz’altro trovata tramite questo attualissimo strumento.
Smart working significa anche progettare adeguati piani di formazione per i lavoratori agili nonché rivedere i sistemi retributivi, premianti e di sviluppo della carriera adeguandoli al cambiamento organizzativo attuato in ogni fase evolutiva dell’organizzazione d’impresa. Questo è un altro punto che il senatore ha sottolineato come elemento centrale dello sviluppo di un piano di smart working di successo. Infatti come ho esposto nella mia relazione in apertura della giornata si tratta di passare da sistemi premianti basati sulla misurazione di quantità a sistemi premianti basati sulla misurazione dell’efficienza e dell’efficacia delle performance e dunque sulla qualità dei risultati prodotti in ogni fase di ogni processo aziendale.
Nel corso della mattinata sono stati affrontati anche tutti gli argomenti giuslavoristici legati alla contrattualizzazione dell’esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile. L’avvocato Giada Rossi ha esposto compiutamente le modalità con cui è possibile introdurre in azienda un piano di smart working pur in mancanza di un quadro normativo di riferimento citando numerosi esempi di aziende che da anni ne hanno già fatto un punto strategico per la propria organizzazione (Vodafone, Ibm, numerosi istituti di credito bancario etc.). Si tratta ovviamente di piani informali non codificati e altamente personalizzati, purtuttavia applicati con grande successo. Il dott. avv. Filippo Mengucci ha sottolineato la rilevante importanza che l’approvazione rapida del testo di legge potrebbe portare nei rapporti di lavoro che attengono al mondo della disabilità e del sostegno alla maternità citando alcuni casi di successo da esso stesso seguiti nel corso degli ultimi anni. Inoltre ha sottolineato la grande utilità della certificazione dei contratti di lavoro agile soprattutto in questa fase di mancanza di regole certe e definite.
Non ultimi sono stati affrontati i temi legati alla sicurezza sul lavoro e alla protezione dei dati personali, oggetto di particolare attenzione nella proposta di riforma del disegno di legge proposto. Il senatore Sacconi ha sottolineato l’importanza per l’impresa di concentrarsi sulla sostanza senza doversi difendere da una forma troppo stringente. Le norme certamente devono delineare la via ma poi occorre che siano le parti sociali a stabilire il percorso più logico e davvero performante anche in termini di sicurezza. La sicurezza, sia per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro, sia per quanto riguarda la privacy deve essere parte imprescindibile e integrante della cultura d’impresa, deve essere una naturale e logica conseguenza di sani rapporti di lavoro in organizzazioni moderne e responsabili. Per questo, nella considerazione di lasciare un ampio margine di discrezionalità nel decidere l’organizzazione del lavoro in modalità agile, le nostre proposte di modifica al disegno di legge si sono concentrate soprattutto nel rendere più complete alcune definizioni a nostro giudizio fondamentali per la corretta applicazione di varie norme esistenti nel nostro ordinamento; infatti mentre si parla di smart working ci si imbatte in norme piuttosto datate come quelle Inail sull’assicurazione degli infortuni sul lavoro ferme al 1965, o al 1970 come lo Statuto dei Lavoratori anche se recentemente riformato in alcune parti, ed in norme così generiche da essere continuamente oggetto di interpretazioni come quelle in tema di privacy. Così all’articolo 15 comma 2 del disegno di legge 2233 abbiamo voluto precisare che “Sono strumenti di lavoro anche il servizio di posta elettronica messo a disposizione dal datore di lavoro con l’attribuzione di un account personale, i servizi della rete aziendale, tra cui internet, o quelli diretti ad assicurare il fisiologico e sicuro funzionamento della rete, ossia i sistemi di accesso, i software antivirus e i sistemi di inibizione automatica di contenuti inconferenti con il lavoro.” derivando tale espressione dal contenuto del provvedimento del 13 luglio 2016, n. 303 del Garante della Privacy, introdotto a causa della mancanza di regolazione della materia da parte del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. È stata poi aggiunta la frase “Ogni onere e costo è a carico del datore di lavoro.” Come rafforzativo della considerazione per cui la massima tutela delle informazioni e della sicurezza del lavoratore è fondamentale ed è, per questo, necessario che gli strumenti tecnologici siano forniti dal datore di lavoro che saprà approntarli nel modo più idoneo agli scopi per cui saranno utilizzati dal lavoratore, senza rischiare di compromettere la sicurezza informatica dell’azienda, dunque è naturale che ogni onere e costo sia a carico esclusivo del datore di lavoro. All’articolo 18 in tema di potere di controllo e disciplinare del datore di lavoro abbiamo proposto di aggiungere un terzo comma definendo che: “Il datore di lavoro deve fornire una preventiva informazione sulle modalità di utilizzo degli strumenti di lavoro e delle circostanze nelle quali verranno realizzati i controlli, nel rispetto di quanto disposto dall’articolo 13 del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, e successive modificazioni.” Ed un quarto comma del seguente tenore: “L’installazione di sistemi di geolocalizzazione sui dispositivi tecnologici in dotazione al lavoratore e di sistemi software che consentono in qualsiasi modo di monitorare, filtrare, controllare e tracciare gli accessi a Internet o al servizio di posta elettronica, è soggetta alla procedura di cui al comma 1 dell’articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni.” Il primo riteniamo sia un doveroso richiamo dell’obbligo di informazione preventiva al lavoratore previsto dalla norma regolatrice della privacy, su quali dispositivi tecnologici siano identificabili come strumenti di lavoro, di come debbano essere usati dal lavoratore e come questi siano utilizzabili a fini di controllo da parte del datore di lavoro. Consideriamo così di evitare dubbi o incertezze sull’applicabilità o meno delle norme regolatrici della privacy al lavoro agile. Il secondo ci pare una modifica quanto mai opportuna poiché definisce più chiaramente quali dispositivi sicuramente non possono essere considerabili strumenti di lavoro così come precisato dal Garante della privacy nel provvedimento n. 303 del 12 luglio 2016 non prevedendo nulla al riguardo il decreto legislativo n. 196/2003 né le successive modifiche; è inoltre noto che tali strumenti sono utilizzati normalmente per le prestazioni di lavoro agile o comunque per prestazioni rese al di fuori della sede aziendale, pertanto trattasi di doveroso chiarimento ai fini della più corretta applicazione della norma senza dubbi al riguardo ed a maggior tutela del lavoratore.
L’articolo 20 del testo del disegno di legge, intitolato “Assicurazione obbligatoria per gli infortuni e le malattie professionali” è in contrasto con il contenuto dell’articolo 15 che consente piena facoltà al lavoratore di scegliere liberamente il luogo ove effettuare la propria prestazione di lavoro; abbiamo compreso che l’intento del legislatore fosse quello di trovare un modo di tutelare il lavoratore in relazione al possibile infortunio cosiddetto in itinere, ossia l’infortunio che può capitare nell’andare dalla propria residenza al luogo stabilito di prestazione del proprio lavoro. A nostro giudizio il rischio di una norma di tal fatta è quello di non consentire un’adeguata copertura assicurativa del lavoratore in modalità agile. Stante la vetustà delle norme sull’assicurazione obbligatoria per gli infortuni e le malattie professionali riteniamo possa essere utile, anche a suggerimento e guida per l’Inail per le norme che potrà elaborare per la copertura assicurativa dei lavoratori agili, inserire una frase che possa assimilare il lavoratore agile a quei lavoratori tenuti per contratto all’espletamento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi (normalmente definiti trasfertisti), così come precisato dal Ministero delle Finanze nella circolare n. 326/E del 23 dicembre 1997. Pertanto la nostra proposta di formulazione del comma due dell’articolo 20 è la seguente: “Il lavoratore ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali in modalità agile senza vincoli di tempo e di luogo.” Per completezza abbiamo, in conseguenza, pensato di suggerire l’aggiunta di un quarto comma del seguente tenore: “L’accordo per lo svolgimento di una parte della prestazione lavorativa in modalità agile e le sue modificazioni sono oggetto delle comunicazioni di cui all’art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e successive modificazioni, con conseguente adeguamento del relativo premio assicurativo per la parte di prestazione lavorativa resa al di fuori dei locali aziendali in luoghi sempre variabili e diversi.” Ci pare in tal modo di dare miglior certezza alla copertura assicurativa del lavoratore agile, consentendone, tramite l’obbligo di comunicazione come avviene per i lavoratori trasfertisti, anche il monitoraggio da parte dell’Inail e l’applicazione di una tariffa di premio più adeguata e coerente con il grado di rischio a cui il lavoratore agile è esposto, in attesa della definizione di una eventuale tariffa specifica. Il tutto considerando che la sicurezza dei lavoratori è una priorità assoluta così come sottolineato dal Senatore.
Il dottor Pone nel suo ruolo di moderatore ha permesso di effettuare un ampio ed approfondito dibattito su tutte le tematiche esposte rendendo la mattinata ancor più interessante e fondamentale per la piena comprensione di come il lavoro agile possa davvero essere un utile innesco, non solo per un lavoro più moderno, ma anche per il rilancio dell’economia e per la riduzione significativa della disoccupazione.
Per concludere non sappiamo se i nostri suggerimenti saranno accolti dal legislatore riteniamo però opportuno che tutti possano prenderne visione al fine di poter disciplinare al meglio i contratti individuali, e gli eventuali regolamenti o accordi aziendali, utili al miglior inserimento di un programma di smart working nelle imprese che avranno l’opportunità di farlo.
* Odcec Milano
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