Amministratore con compensi reversibili
di Roberta Jacobone*
Oltre alla fattispecie dei compensi relativi alla carica di amministratore di società incassati direttamente dal soggetto che la ricopre, esiste quella in cui il beneficiario effettivo di tali compensi non sia la persona fisica che ricopre la carica ma l’ente del quale tale persona fa parte, nonostante ci sia una delibera di corresponsione a suo favore.
La suddetta seconda fattispecie è frequente all’interno dei gruppi societari e vede protagonisti 3 soggetti diversi: una società controllata, una società controllante e un amministratore legato alla società controllante da un rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione. In tal caso, la società controllante (c.d. riversata) esercita la propria attività di direzione e coordinamento in capo alla società controllata (c.d. riversante) nominando in quest’ultima un proprio manager o una key person come amministratore, con la condizione che il compenso a lui spettante venga “riversato” appunto alla controllante medesima. L’amministratore infatti, in quanto dipendente o collaboratore della controllante, risulta già remunerato sulla base di un accordo economico omnicomprensivo.
Nella prassi, la procedura per la gestione di compensi reversibili viene regolata in questo modo:
- accordo tra società controllante e amministratore (suo dipendente o collaboratore) da cui risulti l’obbligo di reversibilità del compenso;
- comunicazione da parte della società controllante alla società controllata dell’esistenza del suddetto accordo, affinché quest’ultima provveda legittimamente ad erogare il compenso direttamente alla prima società, liberandosi da ogni altra obbligazione nei confronti dell’amministratore;
- documentazione comprovante l’effettivo pagamento del compenso reversibile, di norma mediante l’emissione di fattura (ancorché non sia obbligatoria in quanto esclusa da Iva ai sensi dell’art. 5 Dpr 633/1972).
Con riferimento al rapporto intercorrente tra le due società, esse devono avere in comune l’appartenenza ad uno stesso gruppo societario ma non è indispensabile che esista tra loro un rapporto di controllo diretto o indiretto. L’Amministrazione Finanziaria ha sollevato più volte eccezioni in merito alla presunta indeducibilità dei c.d. compensi reversibili, in assenza del requisito di controllo da parte della società riversata. La Giurisprudenza però non ha mai confermato tale orientamento, stabilendo che il principio di correlazione tra le due società debba ricercarsi nell’appartenenza al medesimo gruppo e non necessariamente (o esclusivamente) in un rapporto di controllo societario.
Entrando nel merito della figura dell’amministratore, egli di fatto svolge il suo incarico con l’obbligo di riversare l’emolumento ad un’altra società cui è legato da un rapporto di lavoro, sia esso subordinato, assimilato o autonomo. In capo all’amministratore non sorge alcuna obbligazione tributaria poiché, in base al principio generale, non si configurano come reddito imponibile di un contribuente le somme di cui egli non ne ottenga in alcun modo la disponibilità. Il presupposto dell’Irpef, come disposto dall’art. 1 del Tuir, prevede il possesso di redditi rientranti nel successivo art. 6, avendo riferimento alla materiale disponibilità dei redditi da parte del soggetto d’imposta. I compensi reversibili in questione non sono pertanto inquadrabili come reddito di lavoro dipendente né come reddito assimilato, come desumibile dalla esclusione prevista dall’art. 50 comma 1 lettera b). In funzione di ciò, viene a mancare il presupposto per l’iscrizione dell’amministratore nel Libro unico del lavoro (LUL), in quanto i compensi reversibili sono imputabili unicamente al soggetto che ne ottiene l’effettiva disponibilità. Il soggetto passivo d’imposta diviene pertanto la società riversata che effettivamente incassa gli emolumenti maturati in capo all’amministratore, li fa concorrere alla formazione del proprio reddito di impresa e, come tale, saranno assoggettati ad imposta Ires. Nel caso invece che l’amministratore eserciti la sua funzione in qualità di lavoratore autonomo abituale, (ancorché legato alla società controllante) e quindi soggetto passivo Iva, egli emetterà fattura alla società riversante, che sarà tenuta a corrispondergli solamente l’importo dell’Iva e della Cassa di previdenza professionale mentre il compenso sarà erogato direttamente alla società riversata e da questa tassato come si è detto. In aggiunta, i compensi reversibili non sono assoggettati a ritenuta fiscale, non essendo appunto inquadrabili né come reddito di lavoro dipendente o assimilato né come reddito di lavoro autonomo. Poiché la società riversata è tenuta a far concorrere i compensi nel proprio reddito di impresa, in base al normale principio di competenza temporale di cui all’art. 109 comma 1 del Tuir, la società riversante può legittimamente dedurre dal reddito i suddetti compensi, in base al principio di cassa che contraddistingue la natura degli emolumenti amministratori, ai sensi dell’art. 95 comma 5 del Tuir e che non viene meno nonostante il percettore non sia l’amministratore stesso ma un terzo. Se tali compensi concorrono a formare la base imponibile Ires vengono invece esclusi da quella Irap, rappresentando componenti negativi indeducibili per la riversante e componenti positivi non tassabili per la riversata. Per un approfondimento delle regole fiscali, è utile la consultazione della norma di comportamento n.169/2007 dell’Associazione Italiana Dottori Commercialisti.
*Odcec Cremona
Buongiorno,
ho letto con interesse il vs. articolo sui compensi reversibili. Nel caso in specie in cui in un gruppo la capogruppo nomini un amministratore che fa riversare direttamente i compensi alla capogruppo stessa, atteso come detto la non assoggettabilita’ fiscale sull’amministratore in quanto non percepisce materialmente il compenso, ai fini della contribuzione alla gestione separata INPS ,in quanto effettivo produttore del compenso seppur versato alla capogruppo, si e’ tenuti a pagare tale contribuzione ?
saluti gc
Buongiorno.
Il presupposto della gestione separata Inps è assoggettare a contribuzione i compensi percepiti dall’amministratore, allo scopo di creargli una tutela previdenziale. Nel caso dei compensi reversibili l’amministratore, ancorchè li produca, di fatto non percepisce nulla e il compenso, di fatto, assume la natura di reddito di impresa in capo alla riversata. Viene quindi meno il presupposto impositivo per la G.S. Inps.
Cordiali saluti.
Roberta Jacobone – Crema