Rassegna di Giurisprudenza

dell’avv. Bernardina Calafiori* 

Tribunale di Milano, 19 gennaio 2015, n. 1341.

 

Estinzione e risoluzione del rapporto di lavoro subordinato – Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Scarso rendimento – Reiterate assenze del lavoratore comunicate all’ultimo momento e “agganciate” ai giorni di riposo.

Le reiterate assenze effettuate dal lavoratore comunicate all’ultimo momento ed “agganciate” ai giorni di riposo, qualora determinano uno scarso rendimento ed una prestazione lavorativa non sufficientemente e proficuamente utilizzabile per il datore di lavoro, incidendo negativamente sulla produzione aziendale possono giustificare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

In tali ipotesi la malattia non viene in rilevo di per sé, ma in quanto le assenze in questione, anche se incolpevoli, davano luogo a scarso rendimento e rendevano la prestazione non più utile per il datore di lavoro, incidendo negativamente sulla produzione aziendale.

Il caso deciso con il provvedimento in epigrafe riguardava l’impugnazione di un licenzia- mento per giustificato motivo oggettivo intimato, in esito ad esperimento della procedura innanzi alla competente Direzione Territoriale del Lavoro, ad un lavoratore che con reiterate e continue assenze per malattia nell’arco di ben 6 anni aveva provocato, tra l’altro, notevoli disagi organizzativi alla società.

Il Giudice milanese, nel confermare la legittimità del licenziamento intimato, ha innanzi tutto respinto la censura relativa alla mancato esperimento di un procedimento disciplinare, affermando che si versava in un’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Ciò premesso, il Giudice ha evidenziato nelle motivazioni del provvedimento adottato lo scarso rendimento ed i notevoli disagi determinati dalla reiterata malattia del lavoratore e dalle modalità di comunicazione della stessa, anche alla luce della peculiare attività svolta dalla società datrice di lavoro.

Infatti:

  • la malattia del lavoratore era stata persistente per 6 anni, con un minimo di 127 giorni annuali di malattia (ed un massimo di 175 giorni per anno);
  • le assenze spesso cadevano a ridosso di pe- riodi feriali o del fine settimana e venivano comunicate all’ultimo momento;
  • ciò procurava costanti disagi all’organizza- zione aziendale, essendo la società costretta a sostituire il lavoratore assente con altri lavoratori, richiedendo prestazioni straordinarie (con anche maggiori costi) o spostamenti dei riposi programmati e non riuscendo in alcune occasioni a coprire tutti i servizi richiesti dai clienti;
  • la società datrice di lavoro svolgeva attività di vigilanza e guardiania, organizzata su turni di lavoro per tutti i giorni dell’anno;
  • la società aveva la necessità di conoscere con congruo preavviso le assenze, in modo da poter tempestivamente reperire un sostituto per la copertura dei turni e garantire ai clienti la continuità del servizio;
  • il lavoratore in numerose circostanze aveva comunicato il proprio impedimento in orari serali e notturni, con preavviso anche solo di 30/40 minuti;
  • tale atteggiamento aveva procurato notevoli disservizi alla società, ai colleghi di lavoro e ai clienti finali del servizio di vigilanza

Per tutte tali ragioni, il Giudice milanese ha ritenuto legittimo il licenziamento intimato per scarso rendimento, richiamando ed applicando l’insegnamento già precedentemente espresso dalla Corte di Cassazione, Sez. lav, 4 settembre 2014, n. 18678, secondo il quale: “é legittimo il licenziamento intimato al la- voratore per scarso rendimento qualora sia provata, sulla scorta della valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente

  • ed a lui imputabile – in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, tenuto conto della media di attività tra i vari dipendenti ed indipendente- mente dal conseguimento di una soglia mini- ma di produzione.

(Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva affermato la legittimità del licenziamento intimato, sul presupposto che le reiterate assenze effettuate dal lavoratore, comunicate all’ultimo momento ed “agganciate” ai giorni di riposo, determinavano uno scarso rendimento ed una presta- zione lavorativa non sufficientemente e proficuamente utilizzabile per il datore di lavoro, incidendo negativamente sulla produzione aziendale).”

Cass. Civ. Sez. lav., 30 aprile 2015, n. 8784 Estinzione e risoluzione del rapporto di lavoro subordinato

 – Utilizzo improprio dei permessi per assistenza a familiare disabile ex lege n. 104/1992 – Licenziamento – Legittimità

Deve essere confermata la decisione dei giudici del merito che hanno ritenuto legittimo il licenziamento intimato ad un lavoratore che, durante la fruizione del permesso per assiste- re la madre disabile grave, aveva partecipato ad una serata danzante; la ragione fondante del decisum non è la mancata prova della av- venuta assistenza alla madre per le ore residue, ma l’ utilizzazione, in conformità alla conte- stazione, di una parte oraria del permesso in esame per finalità diverse da quelle per il quale il permesso è stato riconosciuto.

Il caso deciso con la sentenza in epigrafe ri- guardava un caso di licenziamento per giusta causa di un lavoratore che, richiesto un per- messo ex art. 33 della L. n. 104/1992, aveva in parte della giornata in questione prestato assistenza alla madre, partecipando nel tempo residuo ad una serata danzante.

I giudici di merito, in sede di appello, con- fermavano la legittimità del licenziamento rilevando che il lavoratore aveva usufruito di una parte del permesso per finalità diverse da quelle a cui il permesso mirava, poiché, essendo il permesso richiesto finalizzato all’assistenza di persona portatrice di handicap, egli non poteva utilizzare il predetto permesso per altra finalità del tutto estranea all’assistenza. In particolare, secondo i giudici di merito, il comportamento contestato al lavoratore implicava “un disvalore sociale giacché il lavoratore aveva usufruito di permessi per l’assistenza a portatori di handicap per soddisfare proprie esigenze personali scaricando il costo di tali esigenze sulla intera collettività, stante che i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall’ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi e costringe il datore di lavoro ad organizzare ad ogni permesso diversamente il lavoro in azienda ed i propri compagni di lavoro, che lo devono sostituire, ad una maggiore penosità della prestazione lavorativa” (…) “proprio per gli interessi in gioco, l’abuso del diritto, nel caso di specie, era particolarmente odioso e grave ripercuotendosi senz’altro sull’elemento fiduciario trattandosi di condotta idonea a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti”.

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal lavoratore, condividendo integralmente le motivazioni dei giudici di merito sopra riportate e respingendo tutte le censure del lavoratore sulla mancanza di elemento soggettivo (per avere comunque prestato assistenza al familiare e per la convinzione di avere così agito nel rispetto della legge e delle circolari INPS in materia) ed ha ritenuto irrilevante la mancanza di precedenti disciplinari.

Cass. Civ. Sez. lav., 7 luglio 2015, n. 13955 Estinzione e risoluzione del rapporto di lavoro subordinato

– Svolgimento di altra attività durante il periodo di malattia

 

– Violazione degli obblighi di correttezza e buona fede – Licenziamento per giusta causa – Legittimità 

L’espletamento di altra attività, lavorativa ed extra-lavorativa, da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idoneo a violare i do- veri contrattuali di correttezza e buona fede nell’adempimento dell’obbligazione e a giustificare il recesso del datore di lavoro, laddove si riscontri che l’attività espletata costituisca indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione, oltre ad essere dimostrativa dell’inidoneità dello stato di malattia ad impedire comunque l’espletamento di un’attività ludica o lavorativa (confermato il licenziamento del lavoratore che aveva svolto lavori manuali pesanti, costituiti dalla tinteggiatura delle pareti di una villetta, durante la sua assenza dal lavoro per malattia).

Il caso deciso con la sentenza in epigrafe riguardava un lavoratore licenziato per giusta causa, al quale era stato contestato di avere svolto, durante il periodo di assenza dal lavoro per malattia, lavori manuali pesanti di tinteggiatura della pareti di una villetta (“con un notevole impegno dell’articolazione del ginocchio già interessata da un infortunio sul lavoro”).

I giudici di merito, sia in primo grado sia in appello, confermavano la legittimità del licenziamento, ritenendo sussistente una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede ed un atteggiamento contrario agli interessi datoriali, e tale da lettere irrimediabilmente il vincolo fiduciario.

Con il primo motivo del ricorso in Cassazione il lavoratore contestava la mancanza di pro- va della incompatibilità tra il tipo di attività svolta e l’infermità denunciata, ed affermava l’assenza di pregiudizio alla guarigione, asseritamente dimostrata dal rientro in servizio al termine del periodo di malattia che era stato diagnosticato.

La Corte di Cassazione ha respinto il primo motivo del ricorso, richiamando il principio di cui alla massima sopra riportata, confermando che anche durante il periodo di assenza dal lavoro gravano sul lavoratore gli obblighi di comportarsi secondo buona fede e correttezza, che implicano anche il dovere di collabo- rare ad una pronta guarigione e di astenersi da attività che possano compromettere il rientro al lavoro.

In particolare la Corte ha confermato che è legittimo il licenziamento nelle ipotesi in cui il tipo di attività extra-lavorativa svolta denoti una scarsa attenzione del lavoratore al dovere di curarsi, oltre ad essere dimostrativa dell’inidoneità dello stato di malattia ad impedire lo svolgimento della normale attività lavorativa. Con il secondo motivo del ricorso il lavoratore ha lamentato la mancanza di proporzionalità del licenziamento intimatogli, in considerazione della mancanza di precedenti disciplinari e in considerazione del fatto che le attività oggetto di contestazione erano sta- te svolte in prossimità della guarigione e della data prevista di rientro al lavoro.

Anche tali censure sono state respinte dalla Corte, ritenendo che anche il requisito della proporzionalità fosse stato adeguatamente motivato dai giudici di merito, che avevano pure evidenziato il “disvalore ambientale” riconducibile alla posizione professionale di capo-turno rivestita dal lavoratore, che contribuiva ad aggravare ulteriormente la lesione del vincolo fiduciario.

Con riferimento al giudizio di proporzionalità la Corte ha infine richiamato anche la seguente massima: “in caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di la- voro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, dovendosi ritenere determinante, a tal fine, l’influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, con- formando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza.

Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro” (Cass. 26 luglio 2010, n. 17514).

*socio fondatore Studio Legale Daverio & Florio

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