Il disagio psicosociale in azienda: come si manifesta e come si può prevenire

di Patrizia Argentesi* e Cristina Biancardi** 

Un tema di grande attualità per tutti coloro che operano al fianco degli imprenditori, è quello del disagio psicosociale in ambito lavorativo. Si tratta di una forma di malessere che nasce da una cattiva interazione tra l’individuo e il suo ambiente di riferimento e in azienda comporta un incremento dei livelli di stress e conflittualità che possono sfociare, come vedremo in seguito, in vere e proprie “devianze”.

Che le dinamiche interpersonali e il clima lavorativo interno fossero importanti, lo aveva già evidenziato anche il legislatore che nell’art. 2087 del C.C. afferma che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che […] sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Il D.Lgs 81/08 (che ha sostituito il D.Lgs 626/94) all’art. 28 afferma espressamente che la valutazione dei rischi “deve riguardare tutti i rischi […] tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato secondo i contenuti dell’Accordo Europeo”.(1) 

1 Per approfondimenti vedasi: “Accordo quadro europeo sullo stress nei luoghi di lavoro” 8/10/2004; D.Lgs 106/09 art. 28 comma1-bis. 

La valutazione dello stress lavoro-correlato oltre che un obbligo di legge (a partire dal 31/8/10) consente di prevenire (o arginare) situazioni di gravi stress e conflittualità che limitano la competitività, riducono le prestazioni organizzative e causano un significativo aumento dei costi (assenteismo, maggiori errori e scarti di produzione, infortuni, ecc.).

Con il termine STRESS si intende una risposta non specifica dell’organismo umano di fronte a qualsiasi sollecitazione e stimolo che gli si presenti, che innesta una normale reazione di adattamento e che può diventare patologica in situazioni estreme. Tuttavia lo stress non è sempre un male, infatti si parla di EUSTRESS per indicare la risposta positiva, benefica e costruttiva che spinge l’individuo ad agire, mentre si parla di DISTRESS quando si è in presenza di domande superiori alle capacità di risposta individuale che comportano uno stato di progressivo logorio. Lo stress sul lavoro si manifesta quando gli individui non si sentono più in grado di rispondere alle crescenti richieste che provengono dall’ambiente lavorativo e incominciano a mostrare elevati livelli di eccitazione, ansia, senso di inadeguatezza che, a lungo andare, compromettono la salute individuale e l’ambiente lavorativo. Si parla di rischio psicosociale quando si è in presenza di stati psicologici che influenzano l’operato dei singoli compromettendo il raggiungimento degli obiettivi, incrementando le distrazioni e la propensione al rischio di incidenti e infortuni.

Alcuni dei fattori che possono causare stress sono costituiti dalla quantità di lavoro assegnata (troppa o troppo poca), dai ritmi eccessivamente pressanti, dall’incertezza sul proprio ruolo, responsabilità e obiettivi da raggiungere, dalla scarsa chiarezza nell’organizzazione e nelle gerarchie, dall’inadeguatezza delle competenze, formazione o inquadramento, dall’incertezza di perdere il posto, ecc.

Questi fattori, conseguentemente, determi- nano una serie di “comportamenti sintomatici” tra i quali la fuga dal lavoro, il decremento della performance, le difficoltà nelle relazioni interpersonali. E’ doveroso precisare, tuttavia, che perché si formino disturbi da stress l’esposizione deve essere prolungata e costante nel tempo. La valutazione dello stress lavoro-correlato, che molto spesso viene trattata come un mero adempimento burocratico, è, invece, fondamentale per identificare i fattori potenzialmente nocivi per le persone e per l’azienda e individuare le possibili misure correttive. Secondo quanto previsto dalla Circolare Ministeriale del 18/11/2010, la valutazione dello stress lavoro-correlato si deve articolare in due fasi: la valutazione preliminare (obbligatoria) e la valutazione approfondita (eventuale).

La valutazione preliminare prende in esame gli eventi sentinella (es. infortuni, assenze per malattia, assenze dal lavoro, turnover, procedimenti disciplinari, ecc.), i fattori di contesto (es. cultura organizzativa, ruolo, possibilità di carriera, relazioni interpersonali, ecc.) e i fattori di contenuto (ambiente e attrezzature, pianificazione dei compiti, carico/ritmi da lavoro e orario di lavoro).

La valutazione approfondita, invece, prende in esame le percezioni soggettive dei lavoratori e riguarda le fonti di stress (es. organizzazione del lavoro), lo stress individuale (es. disagio individuale riconducibile al lavoro) e gli effetti dello stress (sintomi fisici e loro frequenza).

È importante sottolineare che si può parlare di stress lavoro-correlato solo in presenza di cause legate ai fattori di contesto e di contenuto del lavoro. La valutazione dello stress lavoro-correlato deve essere svolta dal “gruppo di gestione della valutazione” (preposti) che può variare a seconda della dimensione dell’azienda.(2)

2 Il gruppo dei preposti, nella sua interezza, è composto da: datore di lavoro, responsabile del personale, responsabile del servizio prevenzione e protezione (RSPP), rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS), addetto al servizio prevenzione e protezione (ASPP), medico competente e/o psicologo del lavoro, ma nella realtà, varia a seconda della dimensione e dell’azienda. In alcuni casi alcune rne all’azienda (es. RSPP).

Lo stress e il malessere organizzativo, se non vengono adeguatamente diagnosticati e gestiti, possono degenerare in comporta- menti lavorativi devianti, il più noto dei quali è il mobbing, con tutte le sue varie manifestazioni.

Con il termine MOBBING si intende una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori. Questa violenza si esprime attraverso attacchi frequenti e duraturi che hanno lo scopo di danneggiare la salute, i canali di comunicazione, il flusso di informazioni, la reputazione e/o la professionalità della vittima. Le conseguenze psicofisiche di un tale comportamento aggressivo risultano inevitabili per il mobbizzato.(3)

3 H. Ege, Il fenomeno del mobbing: prevenzione, strategie, soluzioni, 2001.

Oltreché di mobbing si parla di BOSSING quando s’intende indicare un’azione mobbizzante perpetrata dai vertici direttivi come vera e propria politica aziendale di riduzione del personale, di STRAINING per definire situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno un’azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre ed essere stressante, è caratterizzata da una durata costante. La vittima è in persistente stato di inferiorità rispetto alla persona che attua lo strainig e l’obiettivo è sempre la discriminazione e infine, di STALKING OCCUPAZIONALE per indicare un’attività persecutoria esercitata nella sfera privata della vittima, ma la cui motivazione proviene invece dall’ambiente di lavoro, dove lo stalker ha realizzato, subito o desiderato una situazione di conflitto, persecuzione o mobbing.

La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 28603 del 03 luglio 2013 interviene sul tema del mobbing qualificando i comportamenti ed episodi di emarginazione come straining ossia mobbing attenuato. Questa significativa ed interessante pronuncia, che ha riconosciuto ad un dipendente di banca, “messo all’angolo” fino a essere relegato a lavorare in uno «sgabuzzino, spoglio e sporco», con forma di manifestazione attenuata, nel caso di specie si tratta di “straining”. Infatti secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (c.d. “mobbing”) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusiva- mente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, dal formarsi di consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra (rapporto supremazia-soggezione), dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia, e come tale destinatario, quest’ultimo, di obblighi di assistenza verso il primo. Rif. (Sez. 6, n. 26594 del 06/02/2009, dep. 26/06/2009; Sez. 6, n. 685 del 22/09/2010, dep. 13/01/2011; Sez. 6, n. 43100 del 10/10/2011, dep. 22/11/2011; Sez. 6, n. 16094 del 11/04/2012, dep. 27/04/2012.

È fondamentale precisare che si può parlare di Mobbing solo in ambiente lavorativo e la sua sussistenza è caratterizzata nella presenza di sette parametri fondamentali:

  1. ambiente lavorativo;
  2. frequenza (almeno alcune volte al mese);
  3. durata (almeno 6 mesi);
  4. tipo di attacchi (ai contatti umani e alla possibilità di comunicare, isolamento sistematico, cambiamenti delle mansioni lavorative, attacchi alla reputazione, violenze e minacce di violenza);
  5. dislivello tra gli antagonisti (la vittima è in costante posizione di inferiorità);
  6. andamento in fasi successive (condizione zero o pre-fase, conflitto mirato, inizio del mobbing, primi sintomi psico-somatici, errori ed abusi dell’amministrazione del personale, Spesso avviene per gelosia o invidia, antipatia, diversità (sesso, religione, età, provenienza, ecc.), ostacolo alla carriera, o noia. In ogni caso perché si sviluppi, ci deve essere un elemento scatenante che può essere, una prolungata assenza (malattia o incidente), un disaccordo su procedure o strategie aziendali, una richiesta di riconoscimento (retributivo o di inquadramento), uno scontro di personalità o ancora, un cambio di management o di obiettivi e valori aziendali.
  7. intento persecutorio (scopo politico, obiettivo conflittuale, carica emotiva e soggettiva).

Gli attacchi e le violenze morali si concentrano sulla persona in quanto tale, sulla sua funzione, sul suo ruolo e sul suo status e com’è facile intuire, a lungo andare determinano uno stato di progressivo deterioramento psicofisico che comporta l’estromissione fisica e morale, della vittima, dal posto di lavoro (in casi estremi può arrivare al suicidio).

Ma perché si fa del Mobbing?

Spesso avviene per gelosia o invidia, antipatia, diversità (sesso, religione, età, provenienza, ecc.), ostacolo alla carriera, o noia. In ogni caso perché si sviluppi, ci deve essere un elemento scatenante che può essere, una prolungata assenza (malattia o incidente), un disaccordo su procedure o strategie aziendali, una richiesta di riconoscimento (retributivo o di inquadramento), uno scontro di personalità o ancora, un cambio di management o di obiettivi e valori aziendali.

Purtroppo, anche a causa del contesto socioeconomico che stiamo vivendo, il Mobbing è un fenomeno in deciso aumento; può essere perpetrato da chiunque su chiunque (non ci sono vittime designate) e ne può rimanere vittima chiunque stia vivendo un momento di particolare criticità personale (difficoltà economiche, carichi famigliari, malattie, ecc). Contrariamente a quanto ritenuto da molti, il fenomeno del Mobbing può svilupparsi in qualsiasi tipologia aziendale: piccole realtà produttive (inclusi gli studi professionali), aziende pubbliche e private.

A questo punto il professionista che cosa può fare?

Innanzitutto bisogna tenere presente che Mobbing non è uno stato, ma un meccanismo ed è importante individuare rapidamente qualsiasi cambiamento avvenga nell’ambiente di lavoro, perché il riconoscimento di comportamenti anomali consente di mettere a fuoco rapidamente il problema.

Successivamente è opportuno verificare che nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) sia presente una valutazione dello stress lavoro-correlato aggiornata e se non c’è farla effettuare, al fine di prevenire ulteriori problemi e infortuni. Infine, individuare i possibili professionisti da coinvolgere (medico del lavoro, psicologo del lavoro, avvocato, ecc.).

Visti gli alti costi(4) sia per l’azienda che per la collettività, è fondamentale che queste problematiche non vengano ignorate, ma siano affrontate tempestivamente e da professionisti competenti.

* Odcec Ferrara

** Psicologa del lavoro e delle organizzazioni

4 L’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro (Eu-Osha), ha lanciato un allarme: “In Europa lo stress da lavoro è il secondo problema sanitario riscontrabile negli uffici e nelle fabbriche, dopo i disturbi ossei e muscolari, ed è la prima causa di assenteismo dei dipendenti (fino al 60% dei casi)”. L’Europa spende circa 240 miliardi di euro per curare i disordini dovuti a fattori di stress lavorativo e circa136 miliardi sono i costi dovuti alla perdita di produttività legata all’assenteismo. (Fonti: LaRepubblica 7/4/2014 “Allarme UE su stress da lavoro, prima causa di assenteismo” e Corriere della Sera 14/4/2014: “Le assenze dal lavoro: per stress due giorni su tre”). Secondo l’ISPESL in Italia sarebbero circa 5 milioni le persone soggette a stress da lavoro e una percentuale compresa tra il 50% e il 60% di tutte le giornate lavorative perse è riconducibile allo stress. La stima dei costi nazionali è di circa 6 miliardi di euro.
Bibliografia
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