I contratti di lavoro Ryanair
di Paolo Soro*
Abbiamo già esaminato il modus operandi della compagnia aerea irlandese Ryanair (cfr. questa Rivista Settembre/Ottobre 2017) e adesso proseguiamo con le norme previste dai contratti di lavoro per il personale di volo, onde fornire al riguardo una visione completa, e nel contempo capire meglio quanto possano incidere a livello economico globale le politiche aziendali adottate da questa compagnia, paragonate a quelle degli altri vettori del trasporto aereo (nello specifico, dell’Alitalia).
L’argomento degli stipendi del personale delle compagnie aeree è uno di quelli più “gettonati” sul web: tra gli articoli dei media e le testimonianze dei dipendenti, esce fuori un quadro tanto variegato quanto scarsamente affidabile su quelle che sono le effettive norme dei contratti di lavoro. Partiamo dall’assunto che, in generale, i vettori del traffico aereo (siano essi low- cost o meno) seguono regole contrattuali e limiti retributivi abbastanza disparati fra di loro. D’altronde, ciò è inevitabile: accade in qualunque settore laddove si vadano a comparare società operanti in Paesi diversi e, dunque, legate a variabili nazionali che esulano dalla specifica prestazione lavorativa svolta, fine a sé stessa. Intendiamo riferirci a fattori quali: l’economia locale, il costo della vita, i livelli di reddito del luogo, i salari offerti dai competitor nel c. d. mercato di primo riferimento, la tassazione dello Stato, il sistema previdenziale, etc. (per esempio, lo stesso tipo di prestazione lavorativa svolta in Paesi come Svizzera, Inghilterra o Germania è remunerata sicuramente molto di più rispetto a quanto avvenga in Italia).
Per contro, però, è altresì doveroso tenere presente come gli anzidetti elementi a carattere regionale risultino spesso avere un’incidenza attenuata con riferimento alle compagnie aeree, le quali, sotto tale aspetto, sono società anomale con tipiche peculiarità di carattere comunque sovranazionale, indipendentemente dal luogo in cui risultano effettivamente localizzati i dipendenti (c. d. “home base”). In merito (senza volerci addentrare in questa sede nelle problematicità concernenti l’esatta individuazione della residenza fiscale dei cittadini), basterà solo ricordare la specifica disposizione prevista in tema di territorialità del reddito di lavoro dipendente dal Modello Convenzionale OCSE, il quale, come noto, al comma 3 dell’art. 15 “Income from employment”, prevede un’eccezione alla norma generale, stabilendo che: “Nonostante le disposizioni precedenti del presente articolo, le remunerazioni relative al lavoro subordinato svolto a bordo di navi o di aeromobili impiegati in traffico internazionale sono imponibili nello Stato contraente nel quale è situata la sede della direzione effettiva dell’impresa.” Altra normativa caratteristica attiene, poi, alla legislazione previdenziale, che di regola stabilisce il pagamento contributivo presso il Paese in cui si è “basati” e che conferisce il diritto alle prestazioni sanitarie ordinarie in funzione degli accordi di reciprocità sottoscritti tra le nazioni interessate.
Risulta evidente come la particolare tipologia di lavoro presenti dei connotati talmente specifici da risultare assai difficile ricondurla all’interno di rigidi canoni uguali (o quanto meno simili) per tutti. Conseguentemente, anche l’obiettivo che ci siamo posti nel presente studio non può certo essere quello di dare un quadro completo ed esaustivo riguardo a tutte le categorie di dipendenti che lavorano nelle varie compagnie aeree internazionali. Bensì, abbiamo inteso circoscrivere l’analisi a quelli che paiono essere nella pratica i casi più frequenti, o, perlomeno, le ipotesi che concernono e interessano il maggior numero di soggetti.
Le fonti a cui abbiamo attinto sono costituite dai contratti: in particolare, sono state esaminate le clausole previste dal contratto di assunzione che devono sottoscrivere gli assistenti di volo assunti dal Gruppo Ryanair, raffrontandole con la disciplina prevista dal CCNL, sezione seconda “Assistenti di volo”, di regola applicato dall’Alitalia. Il confronto, ovviamente, paragona categorie analoghe di dipendenti: vale a dire, il personale (inteso come ordinari assistenti di volo – esclusi i responsabili di cabina) in servizio presso velivoli fino a una certa dimensione (aeromobili di medio/ corto raggio), a parità di anzianità (fino a tre anni di impiego). Detta scelta del campione d’indagine è dettata dal fatto che Ryanair, in linea di massima, non opera sulle tratte di lunga percorrenza e propone a tutti i nuovi assunti dei contratti triennali a tempo determinato, eventualmente rinnovabili.
Iniziando con gli aspetti di carattere generale, la prima considerazione che occorre fare è che il personale di volo operante sui velivoli Ryanair non viene assunto dall’azienda, ma da società-satellite che svolgono attività di reclutamento, di formazione e di somministrazione dei lavoratori. L’impiego di partenza è sempre a tempo determinato (es. tre anni rinnovabili), con un periodo di prova pari a dodici mesi. Tale ultima previsione contrattuale si rivela assai penalizzante per il lavoratore a causa di una serie di ulteriori obblighi di spesa connessi che di regola permangono in essere durante tutti i dodici mesi iniziali e che, di fatto, non consentono al dipendente di dimettersi prima di tale scadenza, se non subendo pesanti aggravi economici. Queste società-satellite sono, in realtà, più d’una (Crewlink, Workforce e altre): i contratti proposti, però, sono standard, nel senso che non si discostano fra di loro, salvo alcuni parametri legati alla differente “home base” del lavoratore. Particolarmente sfavorevoli sono pure i termini del preavviso. In tutte le ipotesi di non osservanza del contratto e/o di giusta causa, il rapporto si intende risolto unilateralmente dalla compagnia senza alcun preavviso. Nei restanti casi: il dipendente deve osservare un preavviso minimo di dimissioni pari a un mese; viceversa, l’azienda può risolvere il contratto: senza alcun giorno di preavviso, se l’anzianità di servizio è all’interno delle trentuno settimane; con preavviso pari a una settimana, se l’anzianità va dalle trentuno settimane ai due anni; con preavviso di due settimane, se l’anzianità va dai due ai cinque anni.
Il personale di volo dell’Alitalia è invece assunto direttamente dalla stessa società e, nella stragrande maggioranza dei casi, firma un contratto di lavoro a tempo indeterminato, posto che la legge italiana non consente di assumere lavoratori a tempo determinato in percentuale superiore al 20% rispetto all’intero organico, salvo deroghe dei contratti collettivi. Il periodo di prova va da un minimo di due a un massimo di sei mesi e, solo all’interno di detto periodo di prova, la risoluzione del rapporto avviene a opera di entrambe le parti senza rispettare dei termini minimi di preavviso. Successivamente, fatta salva l’ipotesi di giusta causa, il datore di lavoro ha l’obbligo di rispettare un periodo minimo (decorrente solo dal 1° o dal 16° giorno del mese) di venti giorni per ogni anno di anzianità del dipendente. Quest’ultimo, invece, può risolvere il rapporto dando un preavviso pari al 50% rispetto a quello previsto per l’azienda.
In base al contratto di lavoro Ryanair, il dipendente non ha alcuna tutela sindacale e/o associativa. Per la precisione, il contratto prevede una clausola di riservatezza (in linea con la legge irlandese) che vieta di informare qualunque soggetto terzo rispetto alle parti firmatarie, relativamente alle previsioni contrattuali. Teoricamente, la questione meriterebbe un approfondimento giuridico a proposito di quella che dovrebbe essere la reale competenza giurisdizionale in ossequio alla sovraordinata normativa comunitaria (questione che però esula dal tema qui trattato). Occorre, peraltro, rappresentare quanto meno l’illegittimità della clausola che impone la competenza del giudice del lavoro irlandese, fondata sulla circostanza che gli aerei sono omologati in Irlanda e che il personale opera su tali mezzi. Infatti, lo stesso personale è dislocato in varie basi aeroportuali in Europa e ha l’obbligo di presentarsi al lavoro – al più tardi – entro un’ora dal ricevimento della chiamata da parte dell’azienda. Ergo, vige contrattualmente l’obbligo di risiedere nei luoghi immediatamente limitrofi alle rispettive basi aeroportuali e la competenza non potrà che essere del Giudice del posto, in quanto sede in cui giuridicamente si svolge il rapporto di lavoro.
Sul versante Alitalia, per contro, appare superfluo rammentare che i dipendenti godono di ogni tutela e assistenza sindacale.
Veniamo, ora, alla parte retributiva. Il “contratto Alitalia” prevede: lo stipendio base conglobato, l’indennità di volo minima garantita, l’indennità di volo oltre la 30° ora e l’indennità di volo giornaliera (a parte, ovviamente, gli ordinari scatti di anzianità). Sono inoltre stabilite diverse tipologie di diaria di linea a seconda degli orari di lavoro. Spettano poi ai dipendenti, sia il TFR accantonato annualmente, che le due mensilità aggiuntive: tredicesima (a dicembre) e quattordicesima (a giugno). Le trasferte (pernottamenti in hotel minimo 4 stelle in camera doppia uso singola con bagno, vitto, trasferimenti etc.) sono interamente a carico dell’azienda. Al personale di addestramento fuori sede è riconosciuto invece il trattamento di missione non di linea. Ulteriori istituti contrattuali attengono infine alla particolare assicurazione personale dei dipendenti, alla previdenza complementare e alle provvigioni sulle vendite a bordo. Tenuto conto di tutte le voci retributive, la media mensile degli stipendi netti erogati dalla compagnia per i dipendenti che prestano servizio in maniera continuativa, si aggira intorno ai 1.700,00 euro, oltre al TFR (le due mensilità aggiuntive risultano leggermente inferiori). Non vi sono costi o spese extra che il dipendente deve obbligatoriamente sopportare a titolo personale in ragione del suo lavoro, quali – a titolo di esempio – corsi di formazione, tessere personali aeroportuali, parcheggi auto, divisa/ indumenti di lavoro.
Da considerare, infine, che i calcoli delle giornate lavorative, le turnazioni e i riposi (dieci giornate al mese: incluse domeniche e festivi, escluse trenta giornate di ferie minime retribuite) sono quelli disciplinati dai vigenti regolamenti delle Autorità di volo internazionali e il tempo limite di preavviso per presentarsi in aeroporto è di novanta minuti dal ricevimento della notifica, con obbligo di risiedere entro un raggio di cinquanta chilometri dall’aeroporto di base. A tale ultimo riguardo, è previsto il rimborso delle spese nelle ipotesi in cui la compagnia chieda al dipendente di trasferirsi in un’altra base di servizio.
La situazione economico-contrattuale del “personale Ryanair” è assai differente. Lo stipendio è direttamente commisurato all’orario schedulato dei voli (non esiste una retribuzione minima garantita); può variare durante il periodo contrattuale ed è differente in funzione dell’aeroporto nel quale i dipendenti sono di base (ciò che ulteriormente avvalla la competenza del giudice del lavoro del posto). Sono previsti dei bonus a consuntivo (in genere il 10%) sulle vendite effettuate a bordo. È inoltre previsto un piccolo “extra” nel caso in cui i voli siano operati durante le giornate festive; per contro, i dipendenti non possono rifiutarsi di svolgere lo straordinario.
Nell’ipotesi in cui il personale sia chiamato a restare a disposizione (in uniforme) presso l’aeroporto, pronto a volare, e poi non sia però comandato a operare su alcuna tratta, il contratto assegna una diaria di circa 20,00 euro giornaliere. Le giornate di ferie previste sono pari a diciotto giorni per anno. L’anno lavorativo corrisponde a quello fiscale in Irlanda: ossia, dal 1° aprile al 31 marzo successivo (ciò che – tra l’altro – crea non pochi problemi in caso di soggetti fiscalmente residenti in uno Stato con anno fiscale coincidente con l’anno solare).
L’impossibilità di recarsi al lavoro (esempio, per malattia o infortunio) deve essere comunicata con un preavviso minimo di due ore rispetto all’orario previsto per l’inizio del servizio, e adeguatamente attestata da idoneo certificato. Peraltro, la compagnia non remunera le assenze per malattia e ha il diritto di verificare lo status del dipendente malato, facendolo visitare da un suo medico di fiducia. In ogni caso, nella pratica la politica aziendale prevede scarsa tolleranza verso chi si ammala spesso: è escluso che tale dipendente verrà confermato al lavoro al termine del contratto e, anzi, è assai probabile che lo stesso venga anticipatamente licenziato.
Sempre con riferimento all’assistenza medica, è onere del lavoratore premunirsi di iscriversi al sistema previdenziale del luogo in cui presta servizio, verificando quali sono le prestazioni cui ha diritto sulla base del criterio di reciprocità col proprio Paese di provenienza. Non è previsto alcun trattamento di fine rapporto (TFR), al riguardo il contratto Ryanair dispone solo che il datore di lavoro fornirà ai dipendenti informazioni concernenti le possibili facilitazioni per crearsi una forma pensionistica individuale, come pure non esistono mensilità aggiuntive (XIII e XIV). Singolare, inoltre, è il fatto che siano a carico del lavoratore gli oneri di formazione professionale obbligatori durante il primo anno di lavoro, la cui spesa, di circa 2.500,00 euro, costituisce una trattenuta sullo stipendio, al pari di quella per le uniformi (sic) e per l’eventuale parcheggio dell’autovettura in zona aeroportuale.
Alcune ulteriori specifiche clausole negoziali appaiono particolarmente penalizzanti per i dipendenti. Innanzitutto, il lavoratore accetta di rimanere fermo a terra senza retribuzione in tutti quei periodi nei quali, a giudizio del datore di lavoro (società-satellite) o del “Cliente-Ryanair”, si dovesse verificare una contrazione del lavoro con conseguente diminuzione dei voli (esempio tipico sono le stagioni invernali, periodi nei quali il traffico passeggeri – soprattutto quello c. d. low- cost – diminuisce sensibilmente). Proprio a tal riguardo, il contratto precisa sin da subito che, nel corso dell’anno, il dipendente resterà senza volare (e, quel che più conta, senza alcuna retribuzione) per un periodo minimo di quattro settimane; periodo che peraltro potrebbe anche essere maggiore. E, comunque, in qualsivoglia ipotesi in cui il dipendente non sia chiamato a prestare le proprie mansioni lavorative, non ha diritto ad alcun tipo di salario, nemmeno a titolo di semplice diaria minima.
Salvo avere preventivamente ricevuto l’apposito consenso scritto da parte della compagnia, il dipendente non può accettare altri tipi di lavoro per “arrotondare” o supplire in qualche modo a questo periodo di mancato guadagno (nemmeno laddove si trattasse di lavori a carattere non concorrenziale con l’attività svolta da Ryanair). Una policy particolarmente rigorosa (divieto di alcool, condizioni fisiche, beni di proprietà della compagnia) è prevista riguardo al comportamento che il personale deve tenere: la compagnia si riserva il diritto di sottoporre i propri dipendenti ad appositi test, visite di controllo e perquisizioni personali. Infine, qualunque interruzione del lavoro dovuta a partecipazioni in dispute concernenti questioni contrattuali o scioperi comporta la risoluzione del contratto. Tutte le clausole vessatorie previste nel contratto di assunzione, ovviamente, sono appositamente controfirmate dal neo- assunto.
Tirando le somme, lo stipendio mensile netto che i lavoratori subordinati della Ryanair vanno a percepire di media nel corso di questo iniziale triennio lavorativo, va dagli 800,00 euro (primo anno) ai 1.100,00 euro (terzo anno), di fatto, per un totale di undici mesi all’anno e senza alcun TFR. Rispetto all’Alitalia, quindi, una differenza di costi abissale, senza voler sottacere degli ulteriori enormi esborsi a titolo di tassazione e contribuzione sui salari pagati. Cionondimeno, ad avviso di chi scrive, rilevano assai maggiormente le violazioni della privacy e delle libertà personali cui i lavoratori sono soggetti da parte della compagnia, la quale palesa il suo comportamento mirante a sacrificare qualsiasi minimo principio etico.
* Odcec Roma
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