Il punto su Privacy e controlli a distanza
di Marina Capobianco*
- I controlli a distanza nel vecchio testo dell’art. 4 l. n. 300/1970
I controlli “a distanza” dell’attività lavorativa – rientranti nel generale potere di vigilanza del datore di lavoro – sono esercitati dal datore di lavoro mediante l’uso di strumenti in «posizioni geograficamente diverse ed in periodi successivi rispetto al tempo ed al luogo in cui viene eseguita la prestazione lavorativa»1. L’impianto normativo in materia di controlli a distanza dell’attività lavorativa, contenuto all’art. 4 della l. n. 300/1970, nella sua originaria formulazione (rubricata “impianti audiovisivi”)2, vietava al datore di lavoro l’uso di impianti e di apparecchiature volti al controllo a distanza dell’attività lavorativa (art. 4, co.1)3.
Nel caso in cui dall’utilizzo di impianti audiovisivi (per le finalità previste dalla norma ossia per esigenze produttive e organizzative oppure per la sicurezza sul lavoro) derivasse “anche” la possibilità di controllo a distanza, era necessario avviare preventivamente una delle due procedure “alternative” previste dalla norma4. La prima, di natura sindacale, consistente in un accordo stipulato tra datore di lavoro e rappresentanze sindacali aziendali (Rsa) o commissione interna o, infine, da organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale (art. 4, co. 2)5. La seconda procedura, avviata in caso di mancato accordo sindacale, consisteva in un provvedimento di natura amministrativa emanato dell’Ispettorato del lavoro, su istanza del datore di lavoro, cui era demandato il compito di indicare le modalità per l’uso degli impianti, sia quelli di nuova installazione sia quelli già esistenti (art. 4, co. 2 e 3)6.
Il provvedimento avente ad oggetto il permesso per l’installazione di impianti audiovisivi per il controllo a distanza poteva essere impugnato. Invero, la norma statutaria prevedeva, quale rimedio esperibile avverso i provvedimenti di natura amministrativa, la proposizione di ricorso gerarchico promosso dal datore di lavoro o dalle parti sindacali indicati dalla norma quali soggetti legittimati a stipulare l’accordo sindacale sopra detto, indicandone i tempi e le modalità (art. 4, co. 4)7.
L’impianto normativo sopra delineato si basava sulla distinzione tra due tipi di controllo a distanza: il primo, definito “controllo diretto”, vietato “in senso assoluto” poiché orientato al controllo a distanza dell’attività lavorativa senza alcun fine specifico. Questo controllo corrisponde al disposto di cui al primo comma del vecchio testo dell’art. 48.
Il secondo tipo di controllo, denominato “controllo indiretto”, era consentito per le sole finalità previste dalla norma statutaria poiché avente natura “incidentale” rispetto al generale potere disciplinare riconosciuto al datore di lavoro. Questo tipo di controllo corrisponde alle finalità elencate nel secondo comma della precedente versione dell’art. 49.
Il controllo indiretto non si configurava come una “deroga” rispetto al controllo diretto ma rappresentava oggetto di un’autonoma fattispecie volta a tracciare il confine tra due tipologie di strumenti: gli strumenti “di controllo” (gli impianti e le apparecchiature impiegati dal datore di lavoro per controllare l’attività lavorativa a distanza) e gli strumenti “di lavoro” (i mezzi utilizzati dal lavoratore per svolgere la prestazione lavorativa)10. Gli strumenti di lavoro si pongono in un rapporto di “genere a specie” con gli strumenti di controllo in quanto volti entrambi al controllo a distanza dell’attività lavorativa11.
1.1 Lacune della norma ed esigenze di riforma
L’originaria formulazione dell’art. 4 ha garantito, per oltre quarant’anni, una tutela piena ai lavoratori contro forme di monitoraggio continuo e pervasivo dell’attività lavorativa. La c.d “procedimentalizzazione” dell’esercizio del potere imprenditoriale, teorizzata in tempi risalenti da illustre dottrina12 e fatta propria dal legislatore statutario, ha permesso la salvaguardia dei diritti dei lavoratori fino a quando il meccanismo non è risultato obsoleto rispetto all’attuale contesto economico
e organizzativo del lavoro, facendo emergere una serie di criticità della norma statutaria in esame13.
La prima criticità si rinviene nell’assenza di una espressa distinzione tra le due fattispecie di controllo (diretto e indiretto) anche al fine di porre una definizione dei controlli “difensivi” la cui creazione, nel silenzio della legge, deriva dall’opera interpretativa svolta, negli anni, dalla giurisprudenza di legittimità14.
La norma statutaria non operava nemmeno una distinzione tra tipi di strumenti (di controllo e di lavoro) limitandosi a demandare alle parti (in caso di accordo sindacale) oppure all’Ispettorato del lavoro (nell’ipotesi di provvedimento amministrativo) il compito di definire i limiti all’esercizio del controllo a distanza dell’attività lavorativa15.
La seconda lacuna del vecchio testo dell’art 4 si rintraccia nel fatto che la norma nulla disponeva circa l’impiego, da parte del datore di lavoro, dei dati registrati negli strumenti di lavoro, impiegati dai lavoratori per lo svolgimento dell’attività lavorativa, ingenerando una confusione di fondo circa il controllo “del lavoratore” (sempre vietato) ed il controllo “dell’attività lavorativa” (in alcune ipotesi consentito)16.
Tale criticità si è palesata in seguito all’utilizzo, da parte dei lavoratori, dei c.d strumenti “tecnologici” di lavoro mostrando un uso illegittimo, da parte del datore di lavoro, dei dati raccolti mediante questi strumenti, in aperta violazione delle norme sulla privacy (peraltro non espressamente previste dalla norma statutaria)17.
Queste criticità hanno messo in luce la necessità di riforma dell’impianto normativo al fine di distinguere due profili: il primo, riferito alla compiuta disciplina delle condizioni al verificarsi delle quali l’installazione di impianto audiovisivi risulta legittima; il secondo, inerente il corretto utilizzo di dati riguardanti l’attività lavorativa registrati negli strumenti di lavoro18.
L’opera riformatrice della norma statutaria, tanto auspicata da più parti19, è stata realizzata con l’art. 23 del d.lgs.151/2015 (Jobs Act) il quale – in attuazione dell’art. 1, co. 7, lett. f) della l. n. 183/201420 e delle norme integrative e correttive di cui all’art. 5, co. 2, del d.lgs. n. 185/2016 – ha effettuato una profonda revisione normativa dell’istituto in esame (ora rubricato “impianti audiovisivi ed altri strumenti di controllo”).
Le modifiche si sono rese necessarie per via della percepita “inadeguatezza” dell’intero impianto normativo al mutato contesto in cui le aziende moderne si ritrovano ad operare, connotato da diverse regole del mercato del lavoro e dalle pressanti istanze di cambiamento derivanti dall’avvento delle tecnologie dell’ICT21.
L’obiettivo di effettuare un’opera di “adeguamento” delle vecchie regole ai nuovi mezzi di lavoro (e controllo) è stato perseguito tenendo conto della necessità di continuare a “contemperare” due diverse esigenze: da un lato, la tutela della dignità del lavoratore; dall’altro lato, la salvaguardia degli interessi del datore di lavoro22.
Per risolvere le criticità dei controlli a distanza, sottoposti, per anni, ad una “prova di resistenza”23, il legislatore ha così demarcato i limiti nell’utilizzo degli strumenti di lavoro “tecnologici”, da un lato, ed ampliato nell’ambito dei nuovi mezzi tecnologici, le finalità al verificarsi delle quali è possibile effettuare il controllo a distanza dell’attività lavorativa, dall’altro24.
- Il nuovo impianto normativo: a) le procedure
Le principali innovazioni introdotte dal Jobs Act al vecchio impianto statutario in materia di controlli a distanza riguardano, in primis, l’eliminazione della disposizione che sanciva il divieto assoluto di controllo a distanza dell’attività lavorativa25.
Resta fermo il controllo di tipo indiretto giacché l’attuale formulazione della norma statutaria riconosce al datore di lavoro la possibilità di effettuare controlli a distanza dell’attività lavorativa “esclusivamente” per tre finalità: per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la “tutela del patrimonio aziendale”. Quest’ultima finalità, assente nella previgente versione della norma statutaria, si va ad aggiungere alle due finalità già previste dal vecchio testo della norma26.
La riforma lascia immutata la possibilità, previo accordo sindacale stipulato dalle rsa (scompare il riferimento alla commissione interna) di installare impianti audiovisivi ed altri strumenti di controllo a distanza sempre per le finalità sopra dette. Tuttavia, si introduce una procedura differente a quella in esame che riguarda le imprese “pluridelocalizzate”27.
Per queste imprese, l’accordo sindacale può essere stipulato, anziché dalle rappresentanze sindacali interne alle unità produttive, da organizzazioni sindacali esterne all’azienda28. Il legislatore ha così replicato il modello, già previsto per altri istituti, della «competenza sindacale concorrente e multilivello», confermando la tecnica del rinvio al contratto collettivo29.
Resta ferma anche la procedura amministrativa demandata all’organo pubblico, da esperire nel caso di mancato raggiungimento di accordo sindacale. La norma prevede ora che l’installazione di impianti audiovisivi e di altri strumenti di controllo a distanza sia preceduta da una “autorizzazione” (non più da un provvedimento emanato dall’Ispettorato del lavoro su istanza del datore di lavoro) da parte della Direzione territoriale del lavoro (DTL)30. Anche in caso di procedura amministrativa è prevista una distinta disciplina per le imprese pluridelocalizzate. Per queste ultime, infatti, l’autorizzazione all’installazione degli impianti audiovisivi ed altri strumenti di controllo deve essere rilasciata dal Ministero del lavoro31.
L’autorizzazione per l’installazione degli impianti e degli strumenti di controllo a distanza è ora “definitiva”. Dal testo della norma è stata cancellata la disposizione che indicava i rimedi esperibili contro i provvedimenti adottati dall’Ispettorato del lavoro32. In caso di diniego all’autorizzazione, è possibile proporre unicamente ricorso straordinario al Presidente della Repubblica o ricorso in via giurisdizionale al TAR essendo venuta meno la possibilità di esperire il rimedio del ricorso gerarchico33.
2.1 b) le esenzioni dai divieti: strumenti di lavoro e di registrazione di accessi e presenze
Un aspetto inedito dell’attuale testo della norma statutaria riguarda l’esclusione, dall’ambito di operatività dei controlli a distanza dell’attività lavorativa per le finalità e le procedure previste dalla norma medesima, degli strumenti utilizzati dal lavoratore per svolgere la prestazione lavorativa (strumenti da lavoro) e di quelli volti alla registrazione degli accessi e delle presenze34.
Quanto ai primi, rientrano nel concetto di strumenti di lavoro unicamente i mezzi effettivamente impiegati per l’esecuzione della prestazione lavorativa, vale a dire quegli strumenti il cui funzionamento richiede una “partecipazione attiva” del lavoratore35 e si pongono in un rapporto di “funzionalità” con la mansione36. Sono pertanto esclusi dalla definizione di strumenti di lavoro i mezzi non utilizzabili per la mansione37.
Gli strumenti di lavoro possono essere utilizzati dal datore di lavoro per il controllo dell’attività lavorativa anche in assenza di accordo sindacale o di preventiva autorizzazione amministrativa essendo esclusi dai divieti previsti dalla norma, salvo non vengano modificati dal datore di lavoro per controllare “il lavoratore”38. In questo caso, da strumento di lavoro, il mezzo diviene strumento di controllo e, quindi, rientrante nei divieti di cui alla norma in esame39.
L’Autorità Garante della Privacy, negli anni, ha contribuito a chiarire la portata applicativa delle norma in esame, specie con riferimento ad alcuni degli strumenti di lavoro impiegati per lo svolgimento della prestazione lavorativa (internet, posta elettronica, sistemi di GPS e strumenti di videosorveglianza40) suscettibili di abuso nell’utilizzo da parte del datore di lavoro.
Anche l’Ispettorato del lavoro ha specificato quali elementi possano considerarsi rientranti tra gli strumenti di lavoro («quegli apparecchi, dispositivi, apparati e congegni che costituiscono il mezzo indispensabile al lavoratore per adempiere la prestazione lavorativa dedotta in contratto, e che per tale finalità siano stati posti in uso e messi a sua disposizione»), fornendo utili indicazioni circa la portata applicativa della norma statutaria41.
Oltre agli strumenti di lavoro, la norma statutaria esclude dall’ambito di operatività dei divieti di controllo a distanza anche gli strumenti volti alla rilevazione di accessi e presenze42, intendendosi per tali i mezzi volti a registrare dati sull’accesso in azienda del lavoratore o quelli finalizzati a rilevarne la presenza sul luogo di lavoro43.
Dunque, il legislatore ha operato una distinzione tra strumenti impiegati per lo svolgimento della mansione o la registrazione di accessi e presenze dagli strumenti di controllo44, superando una delle criticità della norma.
2.2 c) privacy e consenso del lavoratore Una delle novità più rilevanti introdotte dal Jobs Act sul tema dei controlli a distanza riguarda la previsione di una specifica disposizione sulla tutela della riservatezza e della dignità del lavoratore. La norma statutaria distingue due ipotesi: la prima, riferita alla “raccolta” di dati e informazioni sull’attività lavorativa; la seconda, inerente “l’utilizzo” di tali informazioni per tutte le finalità connesse al rapporto di lavoro45.
In caso di raccolta di informazioni, il trattamento dei dati è sempre consentito; nell’ipotesi di utilizzo delle informazioni sui lavoratori, la condizione posta al datore di lavoro ai fini del trattamento dei dati è, in primis, che sia stata fornita al lavoratore un’informativa circa le modalità d’uso degli strumenti di registrazione di tali dati46.
La norma statutaria parla unicamente di “adeguata informativa” lasciando intendere la non rilevanza, ai fini dell’utilizzo delle informazioni, del consenso espresso in qualsiasi forma dal lavoratore. Ne deriva che, anche un mero atto unilaterale possa esser sufficiente ad informare il lavoratore circa le modalità con le quali gli strumenti sono utilizzati ed i controlli effettuati47.
L’informativa resa al lavoratore è considerata il presupposto che legittima il trattamento dei dati personali non essendo necessaria la “preventiva acquisizione del consenso” del lavoratore interessato48. Ai fini dell’utilizzo delle informazioni, non è sufficiente la semplice “conoscibilità” dei dati e delle informazioni da parte del lavoratore ma deve essere fornita dal datore di lavoro una prova della “conoscenza diretta” di tale elemento49. La norma statutaria pone una ulteriore condizione per l’utilizzo delle informazioni e dei dati dei lavoratori raccolti mediante controlli, per fini disciplinari: il rispetto delle norme contenute nel d.lgs. n. 196/2003 (Codice della privacy), cui essa fa ora espresso rinvio50.
Il datore di lavoro può, dunque, utilizzare le informazioni ed i dati sul lavoratore raccolti per fini legati unicamente al rapporto di lavoro, purché i lavoratori interessati siano adeguatamente informati sulle modalità d’uso degli strumenti impiegati per il controllo e sui modi con cui è esercitato il controllo medesimo. Diversamente, i dati raccolti dal datore di lavoro non sono utilizzabili51.
Da ultimo, non è possibile utilizzare informazioni raccolte in violazione della disposizione statutaria: sono inutilizzabili sia i dati raccolti mediante l’impiego di impianti audiovisivi e di altri strumenti di controllo a distanza senza previo accordo sindacale o autorizzazione dalla DTL, sia i dati raccolti tramite l’uso di strumenti di controllo non coerenti con le finalità previste dalla norma medesima52.
La presenza di una disposizione normativa sul trattamento dei dati personali sembra porre un argine al problema legato all’introduzione delle nuove tecnologie in azienda ed alla conseguente possibilità, per il datore di lavoro, di acquisire dati “sui lavoratori”, utilizzandoli per fini differenti da quelli legati alla prestazione lavorativa53. In questi casi, il datore di lavoro continua ad incorrere nella violazione, oltre che delle norme contenute nel Codice della privacy54, delle disposizioni statutarie in tema di sanzioni penali e condotta antisindacale55.
Occorre evidenziare che le disposizioni contenute Codice della privacy56, sono destinate a subire modifiche per effetto dell’emanazione del Regolamento europeo in materia di trattamento di dati personali ora in vigore.
Quest’ultimo pone a carico del datore di lavoro, quale titolare del trattamento dei dati, una serie di obblighi circa l’utilizzo, la gestione e la raccolta di dati e informazioni, nel rispetto dei diritti della persona del lavoratore, sulla stregua dei principi di trasparenza e limitazione della finalità, previsti dalla normativa sulla privacy57.
- Controlli difensivi, occulti e tecnologici
Un altro aspetto critico del previgente impianto normativo in materia di controlli a distanza dell’attività lavorativa riguardava l’assenza di una specifica disciplina sui controlli difensivi intesi quali controlli finalizzati ad accertare «comportamenti illeciti posti in essere dai dipendenti idonei a pregiudicare beni estranei al rapporto di lavoro»58.
Si tratta di una categoria di controllo a distanza creata dalla giurisprudenza e, quindi, frutto di un’intensa attività interpretativa caratterizzata, storicamente, da un percorso “polarizzato” su due opposti orientamenti59. Il primo, maggioritario, volto ad escludere tali controlli dal campo di applicazione dei divieti di cui all’art. 460; il secondo, minoritario, teso a far rientrare tale tipologia di controlli nell’ambito dei controlli indiretti previsti dalla norma statutaria61.
Entrambi gli orientamenti poggiano sul concetto di “tutela del patrimonio aziendale”.
Il primo orientamento legittima tali controlli sulla base di una interpretazione estensiva del concetto di patrimonio aziendale, inclusiva di tutti i beni aziendali, compresa l’immagine esterna e le attività dei lavoratori62.
Seguendo questa impostazione, i controlli difensivi sono legittimi se volti ad accertare comportamenti illeciti tenuti dai lavoratori con riferimento alla lesione di beni diversi rispetto all’esatto adempimento dell’obbligazione contrattuale63.
I controlli aventi ad oggetto comportamenti illeciti dei dipendenti lesivi di beni estranei al rapporto di lavoro, si pongono su un piano differente rispetto ai controlli a riguardanti l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro: solo questi ultimi rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 4 e, quindi, vietati64.
Il controllo è legittimo perché finalizzato ad evitare «condotte illecite suscettibili di mettere in pericolo la sicurezza del patrimonio aziendale ed il regolare, corretto svolgimento della prestazione lavorativa»65 e ciò anche solo in ragione del “sospetto” che tali comportamenti illeciti siano in corso di esecuzione66.
La finalità della tutela del patrimonio aziendale – considerato il “nocciolo duro” del controllo difensivo67 – legittima i controlli difensivi volti a proteggere l’azienda da «azioni delittuose da chiunque provenienti»68, potendo questi essere effettuati anche con l’utilizzo di telecamere e altri strumenti di videosorveglianza69 o, addirittura, con personale esterno all’azienda70.
Si tratta dei controlli c.d “occulti” vale a dire dei controlli effettuati “ad insaputa” del lavoratore. Questo tipo di controlli è vietato sia nel caso d’installazione di impianti audiovisivi finalizzati al controllo a distanza dell’attività lavorativa (controllo diretto) sia nell’ipotesi di utilizzo di apparecchiature predisposte per le finalità previste dalla legge (controllo indiretto) ma solo se tali da controllare a distanza “il lavoratore” e non “l’attività lavorativa”71.
Il secondo orientamento, minoritario, vieta il controllo difensivo, facendolo rientrare nel campo di applicazione dell’art. 4, ricorrendo ad un’interpretazione restrittiva di patrimonio aziendale, comprensiva solo di alcuni beni (restano escluse le attività lavorative)72.
L’attuale impianto normativo ha ricompreso, tra le finalità che consentono i controlli a distanza indiretti dell’attività lavorativa, la tutela del patrimonio aziendale, come ricostruito dalla giurisprudenza73. Pertanto, i controlli finalizzati alla tutela dei beni aziendali contro aggressioni e comportamenti illeciti dei lavoratori sono ritenuti legittimi ed esclusi dall’ambito di operatività della norma statutaria74.
Sembra prevalere la tesi dei controlli difensivi “in senso stretto”, vale a dire dei controlli mirati ad accertare “selettivamente” le presunte condotte illecite commesse dai singoli lavoratori idonee a pregiudicare quei «beni estranei al rapporto di lavoro» cui la giurisprudenza si riferisce75.
Si tratta di controlli che non hanno ad oggetto la prestazione lavorativa ma un comportamento illecito del lavoratore e sono posti in essere dal datore di lavoro mediante strumenti derivanti dall’ICT (Information and Communication Technologies). Questi controlli, definiti “tecnologici”76, essendo sottratti alla disciplina statutaria, non necessitano di preventiva autorizzazione o accordo sindacale ai fini della loro installazione quando il controllo è finalizzato ad evitare un rischio “concreto” di lesione dei beni aziendali derivante da comportamenti illeciti del lavoratore77.
- Ruolo della procedura sindacale e tutela degli interessi collettivi
Un aspetto particolare dell’attuale formulazione dalla norma statutaria riguarda il coordinamento tra il ruolo svolto dalle parti sindacali nella stipula dell’accordo preventivo per l’installazione degli impianti e degli strumenti di controllo e le condizioni per il legittimo utilizzo dei dati raccolti mediante detti impianti78.
Questo aspetto è stato di recente oggetto di una decisione della giurisprudenza di legittimità la quale ha ritenuto irrilevante, ai fini dell’istallazione degli impianti audiovisivi preceduti da accordo sindacale, il consenso, espresso in qualsiasi forma, dei singoli lavoratori79.
Ad avviso della Corte, la norma statutaria tutela un bene di natura “collettiva” e “super-individuale”, la tutela della dignità dei lavoratori, la cui protezione è assicurata dall’azione svolta delle parti sindacali le quali sono portatrici di interessi inerenti tutti i lavoratori80.
Per i giudici, la ratio di affidare alle forze sindacali o ad un’autorità pubblica, la regolazione di una simile attività risiede nel fatto che i lavoratori si configurano quali “soggetti deboli” del rapporto81. Ai singoli lavoratori non è consentito cioè porre in essere, in modo autonomo, la procedura preventiva richiesta dalla norma statutaria ai fini dell’utilizzo degli impianti e degli altri strumenti di controllo poiché l’eventuale consenso prestato dal singolo lavoratore può essere viziato in considerazione della posizione di “svantaggio” che, storicamente, connota tale soggetto rispetto al datore di lavoro82.
La procedura sindacale risulta inderogabile anche dalle singole parti interessate. Ne deriva che, in assenza di accordo sindacale, l’installazione dell’impianto o dello strumento si pone in violazione alle norme statutarie83.
Analogo discorso vale per il trattamento o l’utilizzo di dati raccolti mediante sistemi di videosorveglianza, pur se installati con il consenso dei singoli lavoratori, senza previo avvio della procedura (sindacale o amministrativa) prevista dall’art. 4 anche tenuto conto di quanto previsto dalle linee guida dell’Autorità Garante della Privacy84.
Questa decisione segna un punto di discontinuità rispetto al precedente orientamento in base al quale risultava “illogico” considerare invalido un consenso prestato direttamente dai lavoratori rispetto a quello indirettamente espresso dalle parti sindacali85.
In base a questa precedente ricostruzione, la violazione della norma statutaria non sussiste quando, pur in assenza di preventivo accordo sindacale è “comunque” riconosciuta la presenza di un consenso validamente espresso da parte dei lavoratori interessati86.
Con la decisione in esame, i giudici hanno operato un’inversione di marcia, riconoscendo una “continuità di tipo di illecito” tra vecchio e nuovo testo dell’art. 4 con riferimento al regime sanzionatorio in caso di violazione delle disposizioni sui divieti di controlli a
distanza non preceduti da preventivo accordo sindacale87.
- Ancora su controlli a distanza e privacy dei lavoratori. Qualche indicazione di sintesi
Come detto, le criticità emerse nell’applicazione del vecchio impianto normativo in materia di controlli a distanza dell’attività lavorativa – vale a dire i confini dei controlli, specie quelli non previsti esplicitamente dalla norma (controlli difensivi) e la mancanza di disposizioni in tema di tutela della privacy dei lavoratori88 – hanno indotto il legislatore ad adeguare la norma statutaria suddividendo le relative disposizioni in due profili.
Il primo, volto alla disciplina della possibilità, per il datore di lavoro, di impiegare strumenti di controllo a distanza al ricorrere di specifiche finalità, previo esperimento di due procedure tra loro alternative; il secondo, finalizzato all’individuazione dei limiti entro i quali il datore di lavoro può accedere alle informazioni registrate dallo strumento di lavoro nonché alla definizione delle modalità di utilizzo di tali dati per fini disciplinari89.
L’attuale normativa, da un lato, mantiene ferma la necessità di far precedere il controllo a distanza effettuato per le finalità sopra dette da un accordo sindacale, con l’individuazione delle condizioni al verificarsi delle quali è consentita l’installazione di impianti di controllo della prestazione lavorativa; dall’altro lato, lascia irrisolte altre questioni inerenti la corretta distinzione tra strumenti di lavoro e strumenti di controllo ancora oggi labile nei suoi confini90.
Il “nocciolo duro” della questione, da cui discende la corretta applicazione futura della normativa in esame, consiste nel conciliare la possibilità di controllare l’esatto adempimento della prestazione lavorativa, da un lato, e il legittimo utilizzo degli strumenti di lavoro, dall’altro91.
La chiave di volta si rinviene, dunque, nell’evitare controlli invasivi, sproporzionati e prolungati delle attività lavorative specie quando il confine tra utilizzo dello strumento di lavoro per finalità aziendali si confonde con l’utilizzo privato di tali strumenti.
Vanno in questa direzione le nuove regole europee sulla privacy che rimettono agli stati membri il compito di introdurre, con legge o mediante la contrattazione collettiva, disposizioni specifiche per la tutela dei diritti dei lavoratori, specie con riferimento al trattamento dei dati personali nell’ambito del rapporto di lavoro92.
Queste regole possono far superare i problemi sinora emersi nell’applicazione a norma statutaria (o almeno così si
era!).
* Odcec Palermo
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