Quale rimedio in caso di licenziamento illegittimo nel regime “ a tutele crescenti”?
di Bernardina Calafiori* e Simone Brusa*
Sentenza Corte di Cassazione 8 maggio 2019 n. 12174
Massima: Nel caso di licenziamento disciplinare nei rapporti di lavoro c.d. “a tutele crescenti” (e quindi instaurati successivamente al 7 marzo 2015), il Giudice può condannare alla reintegrazione nel posto di lavoro anche nel caso di cui l’addebito riguardi un fatto “materialmente accaduto, ma che non abbia rilievo disciplinare”.
Nelle scorse settimane ha avuto eco la sentenza della Corte di Cassazione n. 12174 emessa in data 8 maggio 2019 che, per la prima volta, ha applicato la nuova disciplina del d.lgs. n. 23/2015 (“Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti”).
Il caso riguardava una lavoratrice licenziata per giusta causa per essersi allontanata dal posto di lavoro. la lavoratrice impugnava il licenziamento tuttavia ammettendo “sostanzialmente” la condotta materiale.
Il tribunale di Genova prima e la Corte d’Appello poi dichiaravano illegittimo il licenziamento in quanto le circostanze non erano “di gravità tale da giustificare il licenziamento”. Considerata tuttavia l’esistenza della realtà storica della condotta addebitata, veniva applicata la tutela economica prevista dall’art. 3, comma 1 del d.lgs. n. 23 (le famose “tutele crescenti”), escludendo quindi la reintegrazione nel posto di lavoro.
L’indennità veniva quindi quantificata in 4 mensilità in ragione della limitata anzianità aziendale della dipendente (va precisato che le pronunce erano infatti precedenti alla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 194/2018 che ha eliminato il parametro rigido della anzianità per il calcolo dell’indennità in caso di licenziamento illegittimo di rapporti “a tutele crescenti”). la lavoratrice ricorreva alla Corte di Cassazione chiedendo la tutela reintegratoria (del tutto eccezionale nella disciplina in esame). In particolare, invocava l’art. 3, comma 2 del d.lgs. n. 23 che prevede la reintegrazione nei casi in cui “sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore”.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 12174, qui in esame, afferma che la fattispecie citata deve includere “anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare o quanto al profilo oggettivo ovvero quanto al profilo soggettivo della imputabilità della condotta al dipendente”.
Tale soluzione, già applicata dai Giudici nel caso dell’art. 18, comma 4°, è stata dunque confermata anche in relazione alla disciplina del d.lgs. 23/2015 (art. 2), nonostante il dato letterale della norma sembrerebbe escludere la tutela reintegratoria nei casi in cui sia accertata l’esistenza del “fatto materiale”.
Quindi, secondo la Suprema Corte, ai fini dell’esclusione della tutela reintegratoria e della applicazione della sola tutela economica (art. 3, comma 1), non è sufficiente una mera verifica dell’accadimento materiale del fatto contestato ma bisogna anche svolgere una verifica che escluda che si tratti di un “fatto, materialmente accaduto, ma che non abbia rilievo disciplinare”.
La Corte di Cassazione ha quindi cassato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello affinché si accerti se, nel fatto contestato (l’allontanamento dal posto di lavoro), vi sia o meno un rilievo disciplinare.
Resta fermo, e ciò la sentenza ha ripetutamente affermato, che è estranea e inapplicabile “ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento”.
In breve: la reintegrazione spetta solo nel caso in cui sia addebitato al dipendente un fatto vero, ma del tutto lecito e privo di rilievo disciplinare. se invece il fatto è, oltre che vero, anche illecito e di rilievo disciplinare, la reintegrazione non dovrebbe spettare mai, anche se la sanzione fosse del tutto sproporzionata.
* Avvocato Studio Legale Daverio & Florio
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