Studi e professionisti: elementi qualificanti tra lavoro autonomo e dipendente
di Stefano Ferri*
Il fenomeno della sempre maggior aggregazione tra professionisti, derivante dalla richiesta di un numero sempre superiore e diversificato di servizi da parte dei clienti, e la maggior complessità delle materie affrontate quotidianamente nella professione, hanno portato alla nascita di grandi studi: sorge, quindi, la necessità di correttamente regolare i rapporti tra i colleghi, in particolare tra gli associati da una parte e coloro che collaborano senza essere associati dall’altra.
Per affrontare sotto il corretto punto di vista giuridico la materia è bene premettere che, per la miglior dottrina giuslavoristica, ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di un rapporto di lavoro subordinato sia di un rapporto di lavoro autonomo: dipende dal concreto e quotidiano svolgersi dell’attività. L’elemento discretivo tra l’una e l’altra veste giuridica è costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro, con assoggettamento al potere disciplinare ed alle direttive da questo impartite circa le modalità di esecuzione dell’attività lavorativa. Vi sono altri elementi da esaminare, quali l’osservanza di orario, l’assenza di rischio economico, la forma di retribuzione e la stessa collaborazione, che però possono avere un valore indicativo, ma mai determinante.
Si ripropone, quindi, la contrapposizione risalente al diritto romano tra la “locatio operarum” e la “locatio operis”.
In altre parole, elemento determinante ed essenziale ai fini della distinzione tra rapporto di lavoro dipendente ed autonomo è la “subordinazione”, intesa come vincolo che assoggetta il lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro. Perché si possa qualificare il lavoro come subordinato, il potere datoriale deve essere così incisivo da inerire di volta in volta all’intrinseco svolgimento della prestazione e non deve limitarsi a mere direttive generali, programmatiche ed in un controllo estrinseco, certamente compatibili anche con la prestazione di lavoro autonomo. Si pensi al contratto d’opera nel quale il committente può impartire disposizioni ed istruzioni, ma queste attengono esclusivamente alle modalità e alle caratteristiche dell’opera commissionata e non riguardano il modo e il tempo dello svolgersi dell’attività lavorativa. Il controllo del committente sull’esecuzione dell’opera non è univoco indice di subordinazione ma discende dalla facoltà prevista dall’art. 2224 del codice civile. Infatti le semplici direttive programmatiche, anche se accompagnate da prescrizioni o da un controllo estrinseco sull’attività del prestatore concernente il risultato della medesima, sono pienamente compatibili con la prestazione d’opera autonoma, perché si ha subordinazione solo quando il potere direttivo e di controllo è inerente all’intrinseca esecuzione della prestazione con conseguente limitazione della libertà del prestatore d’opera.
Nel caso degli studi professionali è fondamentale osservare se i collaboratori, iscritti all’Albo/Ordine e non associati, sono soggetti ad un potere direttivo e disciplinare e se si riscontra una etero-organizzazione pregnante ovvero è questa limitata al necessario coordinamento delle attività dei singoli. Per riscontrare tali aspetti risulta determinante quanto dichiarato, prima agli eventuali ispettori del lavoro e poi al giudice, dai professionisti in questione: esaminare quindi se la prestazione viene eseguita in piena autonomia ed è frutto della loro scienza ed esperienza ovvero si rilevano continui ordini dei titolari dello studio.
Altri indici di autonomia sono la mancanza di orari predefiniti e la possibilità di lasciare la struttura subito dopo il termine della prestazione nonché la facoltà di rimanere assenti senza necessità di giustificazione.
Anche il compenso costituisce indice di assenza di subordinazione quando viene determinato, eventualmente anche in via forfettaria, sulla base di quantità e qualità di prestazioni professionali svolte e non con i criteri classici del lavoro dipendente; per evitare quindi contestazioni in tal senso è suggeribile che il compenso sia parametrato all’attività effettivamente svolta, senza alcuna maturazione di onorari per i periodi di assenza, evitando pagamenti mensili sempre uguali, che ricordano lo stipendio del lavoratore subordinato. Inoltre, se si vuole rimanere nel lavoro autonomo, è opportuno che la collaborazione possa terminare in ogni momento: il preavviso è istituto tipico e rivelatore della subordinazione.
Si rammenta inoltre che, quando le parti sviluppano rapporti di collaborazione autonoma, è possibile pervenire ad una diversa qualificazione del rapporto solo se si dimostra che, di fatto, si è realizzato un rapporto di lavoro subordinato nella fase di esecuzione: l’onere della prova è a carico di chi vuole disconoscere il nomen iuris, e si tratta di onere sovente difficile da assolvere.
Tali impostazioni sono confermate dalla Corte di Cassazione che, con la chiarissima Sentenza n. 3594/2011, testualmente ha affermato: “in relazione alla qualificazione come autonome o subordinate delle prestazioni rese da un professionista in uno studio professionale (nella specie, consulente fiscale in uno studio legale tributarista), la sussistenza o meno della subordinazione deve essere verificata in relazione alla intensità della etero – organizzazione della prestazione, al fine di stabilire se l’organizzazione sia limitata al coordinamento dell’attività del professionista con quella dello studio, oppure ecceda le esigenze di coordinamento per dipendere direttamente e continuativamente dall’interesse dello stesso studio, responsabile nei confronti dei clienti di prestazioni assunte come proprie e non della sola assicurazione di prestazioni altrui.”. Nella fattispecie è stata confermata la sentenza di merito che aveva negato il carattere subordinato del rapporto, avendo accertato che l’organizzazione della prestazione non eccedeva le esigenze di coordinamento dell’attività del professionista con quella dello studio e che i controlli, esercitati sui tempi dell’incarico e sul risultato conclusivo dell’attività svolta dal collaboratore, non riguardavano le modalità di espletamento dell’incarico e non si traducevano in una espressione del potere conformativo sul contenuto della prestazione.
Tale impostazione richiama la precedente Sentenza sempre della Suprema Corte n. 9894/2005 che fornisce ottimi spunti di riflessione e che quindi ritengo opportuno riportare testualmente: “In relazione alla qualificazione come autonome o subordinate delle prestazioni rese da un professionista in uno studio professionale (nella specie ragioniere addetto alla elaborazione della contabilità delle buste paga dei dipendenti di clienti dello studio), ove le prestazioni necessarie per il perseguimento dei fini aziendali siano organizzate in maniera tale da non richiedere l’esercizio da parte del datore di lavoro di un potere gerarchico concretizzantesi in ordini specifici e nell’esercizio del potere disciplinare, non può farsi ricorso ai criteri distintivi costituiti dall’esercizio dei poteri direttivo e disciplinare; né possono considerarsi indicativi della natura subordinata dal rapporto elementi come la fissazione di un orario per lo svolgimento della prestazione, o eventuali controlli nell’adempimento della stessa, se non si traducono nell’espressione del potere conformativo sul contenuto della prestazione proprio del datore di lavoro. In tali ipotesi, la sussistenza o meno della subordinazione deve essere verificata in relazione alla intensità della etero – organizzazione della prestazione, al fine di stabilire se l’organizzazione sia limitata al coordinamento dell’attività del professionista con quella dello studio, oppure ecceda le esigenze di coordinamento per dipendere direttamente e continuativamente dell’interesse dello stesso studio, responsabile nei confronti dei clienti di prestazioni assunte come proprie e non della sola assicurazione di prestazioni altrui.”. Nella fattispecie la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di merito che aveva negato il carattere subordinato del rapporto avendo accertato la mancanza di controlli puntuali e concreti da parte del responsabile della consulenza del lavoro sull’operato del professionista.
Da ultimo si rammenta che anche la Legge 92/2012 (“Riforma Fornero”), all’articolo 1 comma 26, ha stabilito l’esclusione dalla presunzione di subordinazione per le attività professionali che richiedono un’iscrizione ad un ordine professionale, ad appositi registri, albi, ruoli o ad elenchi professionali qualificati.
*ODCEC Reggio Emilia
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