Cassazione, più libertà per il licenziamento economico

di Graziella Pitrone *
1. Il caso

Due aziende hanno proposto innanzi alla S.C. di Cassazione due ricorsi, il primo avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna che aveva accolto il reclamo di un lavoratore contro la sentenza di I grado, con la quale era stata rigettata la sua opposizione all’ordinanza del Tribunale del Lavoro, ai sensi dell’art. 1, comma 49, della legge n. 92/2012, per l’accertamento dell’illegittimità in conseguenza del difetto di giustificato motivo oggettivo del licenziamento intimatogli; la seconda nei confronti della sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila, che aveva riformato la pronuncia di I grado e ritenuto illegittimo il recesso datoriale. All’esito dei procedimenti innanzi alle Corti d’Appello, in entrambi i casi le sentenze avevano dichiarato illegittimo il licenziamento per carenza del giustificato motivo oggettivo addotto, condannando le società al pagamento di indennità risarcitorie pari a venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Nei due ricorsi le società ricorrenti avevano dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 della legge n. 604/1966 e 30, comma I, della legge n. 183/2010 e per quanto attiene la società ricorrente avverso la sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila, anche dell’art. 18 della legge n. 300/1970, invocando la sussistenza in ragione del dichiarato vizio motivazionale, non dell’illegittimità del recesso ma dell’inefficacia; e la società ricorrente avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna, con controricorso, invocando l’art. 41 della Costituzione e l’art. 5 della legge n. 604/1966, in ordine al ricorso incidentale condizionato presentato dal lavoratore per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 della Costituzione e degli artt. 132 c.p.c. e 360, n. 4 e 5, c.p.c..

Entrambe le ordinanze (Cassazione, sez. lavoro, 14 febbraio 2020, ordinanza n. 3819, Presidente Vittorio Nobile – Cons. relatore Guido Raimondi, Cassazione, sez. lavoro, 17 febbraio 2020, ordinanza n. 3908, Presidente Umberto Berrino – Cons. relatore Adriano Piergiovanni Patti), hanno accolto i ricorsi delle società (anche quello in via incidentale del lavoratore contro la sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila) e cassato le sentenze impugnate e rinviato alle Corti d’Appello di Bologna e dell’Aquila, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese di giudizio.

 

2. Il principio di diritto enunciato dalla cassazione

La S.C. con queste ordinanze ha accolto i ricorsi delle due società, in continuità con costante e recente giurisprudenza di legittimità sul punto, circa la sufficienza in materia di licenziamento per g.m.o.. In specie l’ordinanza 3819/2020 ha declarato “che l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione ove, però, il recesso sia motivato dall’esigenza di far fronte a situazioni economiche sfavorevoli o a spese di carattere straordinario, ed in giudizio se ne accerti in concreto, l’inesistenza, il licenziamento risulterà ingiustificato per la mancanza di veridicità e la pretestuosità della causalità addotta; inoltre che è sufficiente, per la legittimità del recesso, che le addotte ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, causalmente determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa, non essendo la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità (cfr. Cass. N. 10699/2017)”. L’ordinanza 3908/2020 a sua volta, ha accolto il ricorso della società avverso la sentenza gravata in ragione dei principi di diritto, per i quali “esigere la sussistenza di una situazione economica sfavorevole per rendere legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo significa inserire nella fattispecie legale astratta disegnata dall’art. 3 legge 604/1966 un elemento fattuale non previsto, con una interpretazione che trasmoda inevitabilmente, talvolta surrettiziamente, nel sindacato sulla congruità e sulla opportunità della scelta imprenditoriale”; pure occorrendo “rilevare che, secondo l’art. 30, primo comma l. 183/2010…in tutti i casi nei quali le disposizioni di legge nelle materie del lavoro privato e pubblico <contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di…recesso, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro…>” (Cass. n. 10699 del 2017).

Le sentenze annotate, richiamano, in via generale, la costruzione giurisprudenziale della Suprema Corte consolidatasi, secondo la quale è legittimo il licenziamento per g.m.o. laddove il riassetto organizzativo sia effettivo e non costituisca pretesto, basato sull’attualità delle circostanze dedotte al momento della comunicazione del licenziamento e non di prospettiva futura, integrando, quindi, il nesso eziologico tra il riassetto aziendale e l’atto di estromissione del lavoratore (Cass. n. 2595/1993). Inoltre, lo scrutinio del dipendente da licenziare deve avvenire nel rigoroso rispetto dei principi di buona fede e correttezza ex art. 1175 c.c. (Cass. 13 ottobre 2015, n. 20508;

Cass. 11 giugno 2004 n. 11124), senza profili di discriminazione né di pretestuosità (sul punto cfr. Cass. n. 25201/16; Cass. n. 10697/17; Cass. n. 24882/17), verificando la impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni, il cosiddetto repêchage (ex plurimis, Cass. n. 4460 del 2015, Cass. n. 5592 del 2016, Cass. n. 12101 del 2016, Cass. n. 24882 del 2017, Cass. n. 27792 del 2017), attraverso “presunzioni gravi” (cfr. Cass. 28/02/2019, n.5996) e nel rispetto dell’obbligo del preavviso o della corresponsione della relativa indennità. L’onere della prova incombe in capo al datore di lavoro (Cass. n 24882/2017, ma anche – tra le tante – Cass. n. 12101/2016, n. 6678/2019, n. 4946/2019, n. 27380/2018, n. 9869/2017, n. 160/2017).

3. commento

Le ordinanze in commento confermano la giurisprudenza di legittimità consolidatasi in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in applicazione dell’art. 3 della legge n. 604/1966, di valorizzazione del principio di libertà imprenditoriale ex articolo 41, primo comma, Cost. (Cass. n. 25201/2016; Cass. n. 25197/2013; Cass. n. 7474/2012; Cass. n. 15157/2011), attraverso l’adozione di criteri oggettivi e trasparenti nella scelta dei lavoratori da licenziare (ex pluribus Cass. 5997/2019). Più nello specifico, Cass. 6948/19: “Qualora la riorganizzazione imprenditoriale sia modulata, non già sulla soppressione tout court della posizione lavorativa, ma piuttosto sulla riduzione di personale in una porzione dell’ambito organizzativo, si pone una questione (invece inconferente nella diversa ipotesi di soppressione di posizione lavorativa: Cass., 7 giugno 2017, n. 14178) di valutazione comparativa tra lavoratori di pari livello, interessati dalla riduzione ed occupati in posizione di piena fungibilità”. In caso di riduzione di personale tra più posizioni fungibili, l’utilizzo dei criteri di scelta costituisce una applicazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, volti a garantire un contemperamento degli interessi datoriali e del lavoratore, ai quali i giudici devono attenersi nell’interpretazione dell’art. 3 legge 604/1966 e sulla base di un criterio di “necessità” quale parametro per valutare se le modifiche organizzative o produttive siano tali da giustificare il licenziamento, considerato che in tema di licenziamento per g.m.o. l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto necessario del provvedimento. È invece sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, le quali devono essere evidentemente esplicitate quali motivazioni giustificatrici del licenziamento, causalmente determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione  lavorativa (Cass.,15/01/2019, n.828).

Inoltre, l’ordinanza Cass., 14/02/2020, n. 3819, in tema di contenuto della sentenza, ha affermato che il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito. Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza nella quale si era dato atto del positivo accertamento della riorganizzazione aziendale senza, però, l’indicazione delle prove in base alle quali risultava la dimostrazione della effettività della stessa e, dall’altro, non erano state considerate alcune circostanze addotte dal lavoratore – oggetto di discussione tra le parti e risultanti dalla sentenza impugnata – decisive ai fini del riscontro circa la sussistenza, o meno, del giustificato motivo oggettivo del recesso.

*Avvocato del lavoro in Messina

 

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