Dove stiamo andando?
di Domenico Calvelli*
Nel 1967 lo statista biellese Giuseppe Pella, che fu anche presidente del Consiglio dei Ministri e “padre” dei dottori commercialisti, si domandava se fosse stato fatto tutto per ricomprendere le legittime aspettative di tutti i settori della società italiana: riguardo alle libere professioni, ebbe ad affermare che non fossero state sufficientemente utilizzate, e questo a danno della collettività intera. E ciò, ripeto, nel 1967… Oggi assistiamo ad una trasformazione sempre più profonda della società occidentale, che spinge verso un’omologazione che a volte fa paura. Tra le peculiarità italiane, si può assistere alla presenza capillare e diffusa delle libere professioni, alla prevalenza delle piccole e medie imprese, a rapporti di lavoro subordinato che spesso convivono a stretto contatto con il datore di lavoro stesso. Ci sentiamo di affermare che questa sia una società sbagliata? Che vorremmo il prevalere di pochissime grandi aziende, ognuna dotata di una numerosa “manodopera” materiale ed intellettuale al proprio servizio? Non si tratta qui di discutere dei massimi sistemi, ma di scegliere tra le libertà, di pensiero ed economica, ed una forma di società forse più “appiattita” sul pensiero di pochi. Credo che le libere professioni, in quanto basate sulla conoscenza e sull’intelletto, possano fare la differenza, anche sui parametri di crescita economica del Paese. Non si creda che io desideri porre rivendicazioni modello “ancien régime” a favore della mia categoria professionale, o delle libere professioni in genere. La richiesta di esclusive sic et simpliciter è una battaglia di retroguardia. La società accetta un libero professionista per ciò che è e per ciò che sa. E bene ha fatto il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili a varare le scuole di alta formazione: questo è il vero spirito di una categoria professionale che apprende senza sosta e si adatta al mutamento economico e sociale, cercando di dare risposta ai problemi sempre più pressanti che ci assillano. Certo che non chiedere esclusive non significa neppure vedersi erodere competenze acquisite, de jure e de facto, da decenni: le recenti esclusioni dei commercialisti da alcune attività di consulenza del lavoro (attività per cui la categoria è abilitata ex lege dal 1979) sono emblematiche. Non cerchiamo esclusive ma neanche possiamo accettare di essere esclusi, per motivi “imperscrutabili”, da attività tipiche della nostra professione. Vietereste ad un medico di prescrivere un farmaco…?
*Presidente ODCEC di Biella
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