Esonero contributivo e i suoi effetti sull’occupazione

di Fabiano D’Amato* e Massimo De Vita* 

Recentemente sono stati diffusi i dati statistici dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) sull’evoluzione del mercato del lavoro (Osservatorio sul precariato), che comprendono anche gli incrementi e/o i decrementi dei contratti di lavoro, distinti per tipologia, tra vari anni e tra vari mesi dello stesso anno, come di anni differenti.

Di particolare interesse è stato il dato dei contratti a tempo indeterminato stipulati nei mesi di gennaio e febbraio 2016 grazie anche, verosimilmente, al nuovo esonero contributivo biennale, rispetto ai contratti stipulati a gennaio e febbraio del 2015 in vigenza del precedente, più favorevole, esonero triennale. Il calo in termini percentuali è stato evidente, mantenendo un trend già evidenziato nei dati diffusi con riferimento ai mesi di gennaio del 2015 e 2016. Si stimava un calo del 39,5% di contratti stipulati nel gennaio 2016, rispetto allo stesso mese del 2015, ma, con dati più aggiornati e prendendo in considerazione il valore aggregato gennaio/febbraio 2016 rispetto allo stesso periodo del 2015, il calo si è attestato attorno al 33,45%, che è comunque significativo! Nel contempo, emerge un saldo positivo del 2016 rispetto al 2015, sempre considerando il dato aggregato dello stesso bimestre gennaio/febbraio, (+4,4%) delle trasformazioni di contratti a termine in contratti a tempo indeterminato. È abbastanza probabile che sull’andamento delle nuove assunzioni nei vari anni influiscano dinamiche che non consentono di trarre dai numeri significati, per così dire, categorici. Viene da pensare – ad esempio – che il robusto calo di gennaio e febbraio 2016 rispetto a gennaio e febbraio 2015, sia almeno in parte dovuto alla maggior concentrazione di nuovi contratti a tempo indeterminato verificatasi a dicembre 2015; notevole è stata la convenienza per chi ha potuto anticipare eventuali assunzioni previste per gennaio 2016 al mese precedete; il numero che si trae dalle statistiche INPS sopra citate, infatti, è di 330.141 assunzioni a tempo indeterminato, notevolmente superiore allo stesso dato per dicembre 2014 (76.255 unità). Allo stesso modo viene da pensare che tale ultimo dato sia stato influenzato dalla imminente entrata in vigore dell’agevolazione triennale ex lege 190/2014, che può aver portato, sempre ove possibile, a posticipare un’assunzione al mese di gennaio 2015.

Non è comunque scopo di chi scrive, almeno in questa sede, un’approfondita analisi dei dati dell’Osservatorio sul precariato elaborati dall’INPS. Quello che qui interessa è il notevole spunto per una riflessione su quelle che sono (o non sono) state le conseguenze dell’esonero contributivo (di seguito anche chiamato brevemente esonero) sulla crescita dei soggetti occupati a tempo indeterminato. La misura della agevolazione è ormai nota, ma accennando ad alcune sue caratteristiche, ricordiamo che si trattava, per il 2015, di uno sconto pari, sostanzialmente, alla quota di contribuzione INPS a carico del datore di lavoro del settore privato, con l’eccezione di qualche voce tra cui lo 0,30%, quota di finanziamento dei fondi interprofessionali. Il tutto per un triennio, con limite massimo a 8.060,00 euro annui (da riproporzionare nel caso di part time) per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato stipulati tra datori di lavoro che, fra le altre cose, dovevano essere in regola con gli obblighi previdenziali ed assicurativi (vedi DURC), e lavoratori che non fossero stati in forza, a tempo indeterminato, presso qualsiasi datore di lavoro nei precedenti sei mesi. È appena il caso di precisare che tale misura non era applicabile ai contratti di apprendistato né ai rapporti di lavoro domestico. Successivamente, per l’anno 2016 è stata prevista l’applicazione dell’esonero, ma in misura sostanzialmente ridotta: il triennio è diventato biennio, e la misura è passata dal 100 al 40 per cento, con nuovo limite pari a 3.250,00 euro su base annua. Per il resto le regole sono rimaste, in buona sostanza, invariate, comprese alcune norme volte ad evitare comportamenti tesi a fruire della agevolazione senza garantire l’incremento occupazionale stabile, a tempo indeterminato, che la norma agevolativa si prefiggeva e si prefigge. L’esonero, infatti, è chiamato ad esplicare i suoi effetti in un contesto nel quale una serie di norme si sono succedute, in particolare nell’ambito del Jobs Act, con l’evidente scopo di confermare il contratto a tempo indeterminato quale forma contrattuale comune nel caso del lavoro subordinato.

Il “disegno” è ancora più chiaro se si pensa che, oltre alla previsione di agevolazione contributiva di cui stiamo trattando, il contratto a tempo indeterminato è stato innovato prevedendo quelle che sono ora conosciute come tutele crescenti, attraverso una sostanziale revisione delle norme applicabili nel caso di licenziamento illegittimo, con conseguente necessità di reintegro del lavoratore, in linea generale, solamente in un ristretto ambito (ad esempio nei casi di licenziamento discriminatorio, intimato verbalmente o nullo), e prevedendo nella maggioranza dei casi un semplice indennizzo commisurato alla anzianità di servizio del lavoratore. La nuova norma sulle tutele crescenti incide profondamente, almeno nelle intenzioni del legislatore, sull’alea che si veniva a creare per l’azienda ogni qual volta si trovava costretta a procedere a licenziamenti, ad esempio di natura economica, circa quelle che potevano essere le conseguenze legate al contenzioso conseguente, che in passato poteva comportare costi notevoli e, a volte, neppure stimabili se non con difficoltà ed approssimazione; si pensi all’esempio di un lavoratore licenziato e successivamente, magari dopo molti anni, reintegrato dal giudice in azienda con diritto alla retribuzione, annessi, connessi, per l’intera durata della c.d. estromissione e del più o meno coevo procedimento giudiziario, con la sola decurtazione dell’aliunde perceptum, ossia di ciò che ha guadagnato nel medesimo periodo svolgendo un’attività lavorativa.

L’esonero e le tutele crescenti rappresentano, se è consentita la licenza, la “carota” tesa ad incentivare l’utilizzo del tempo indeterminato.

Nel medesimo contesto va inquadrato quello che potremmo definire il “bastone”. Notevoli sono infatti le limitazioni poste all’utilizzo di altre tipologie contrattuali; si pensi al limite percentuale (invero ampiamente derogabile dalla contrattazione collettiva) per la stipula di contratti subordinati a termine, con sanzioni commisurate alla retribuzione di quanti eventualmente assunti in violazione, ed alla stretta su contratti “a progetto” ed associati in partecipazione con apporto di solo lavoro (tipologie scomparse dall’ordinamento). Forti modifiche sono previste anche per le collaborazioni coordinate e continuative (co.co.co.), nuovamente “in auge”: ad esse, in presenza di determinate caratteristiche della prestazione, e di semplice potere organizzativo da parte del committente, si vedono applicate, con la nuova normativa, le norme sul lavoro dipendente, pur non trovandosi di fronte ad una riqualificazione del rapporto, almeno quando non si riscontri potere direttivo e disciplinare. Se aggiungiamo al quadro delineato l’opzione di stabilizzazione offerta, con “finestra” nel 2016, delle collaborazioni non genuine, con la possibilità di fruire dell’esonero biennale 2016 per il conseguente rapporto a tempo indeterminato (ove consentito), si comprende ancora meglio come questo sia, nelle intenzioni del legislatore, sempre più il contratto di lavoro subordinato da ritenere forma comune.

A questo punto, tornando a parlare dell’esonero, una domanda che viene da porsi è se questo sia servito e/o servirà, nella sua attuale “versione”, a dare una spinta all’incremento occupazionale nel nostro Paese. Anche qui qualche prima indicazione si può trarre dalle statistiche INPS cui si è fatto cenno all’inizio. Le assunzioni a tempo indeterminato del 2015 ammontano a 2.015.654 unità, contro le 1.274.146 unità del 2014. Dagli stessi prospetti, si può vedere come, tra assunzioni e trasformazioni a tempo indeterminato per le quali è stato utilizzato l’esonero triennale, il numero supera 1.573.000 unità.

Una spinta importante è, a livello numerico, abbastanza evidente, ma per capire se gli “effetti di spinta” saranno effettivamente stabili è, a parere di chi scrive, necessario porsi due interrogativi. Innanzitutto, le “assunzioni esonerate” rappresentano sempre nuove assunzioni, cioè comportano un incremento netto dei lavoratori stabili, o comunque a tempo indeterminato, nel mercato? La domanda, che di per se può apparire banale, contiene in realtà molto del dilemma sulla reale efficacia dell’incentivo di cui stiamo trattando.

Il problema è infatti, in particolare, l’uso distorto che può essere fatto dello strumento agevolativo; si richiama, ad esempio, la particolare attenzione che viene posta dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, a possibili dinamiche di “artificiosa costituzione delle condizioni per la fruizione del beneficio” in capo a soggetti già presenti, a tempo indeterminato, sul mercato del lavoro, assolutamente da evitare. La tendenza a piegare a proprio vantaggio un incentivo da parte di qualche scaltro operatore economico, impone di esaminare con molta attenzione i risultati numerici, ma in questo la norma, che pure di “trappole” antielusive è dotata, entra poco, trattandosi di un abuso, per così dire, del diritto, che va contrastato nelle sedi e con i mezzi opportuni.

Lasciandoci alle spalle il suddetto interrogativo, per valutare gli effetti reali sull’occupazione, nei prossimi mesi ci dovremo concentrare sulla stabilità delle assunzioni a tempo indeterminato effettuate grazie all’esonero; in altre parole ci sarà da capire, innanzitutto se, terminati gli effetti, triennali o biennali, degli incentivi, i datori di lavoro interessati, avvalendosi della maggiore (almeno sulla carta) flessibilità in uscita, decideranno di privarsi della nuova forza lavoro, ormai “a contribuzione piena”. Questo dipenderà, almeno in parte, da quanto queste nuove risorse, una volta provate a contributi zero o quasi, saranno utili per far fronte alla nuova spinta produttiva, che la ripresa da tanti agognata dovrebbe portare.

Il condizionale è purtroppo d’obbligo, e rivela una ulteriore questione aperta. A questa e ad altre risponderà probabilmente solo lo scorrere degli eventi con le sue implicazioni economico/giuridiche, per lo meno per quanto riguarda l’argomento qui trattato.

* Odcec Roma

 

 

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