I presupposti legislativi ed i limiti contrattuali del potere disciplinare del datore di lavoro
di Lorena Raspanti* ed Enrico la Malfa**
Unitamente alla tradizionale responsabilità contrattuale perseguibile con l’azione risarcitoria ex art. 1218 c.c. , il Legislatore ha previsto una particolare forma di responsabilità, quella cd. disciplinare, in ragione della quale il datore di lavoro è titolare di uno specifico e ben delineato potere.
La condotta del lavoratore, tale da causare la lesione del vincolo fiduciario tipico del rapporto di lavoro subordinato, può costituire giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento; le due ipotesi si differenziano essenzialmente per l’intensità della lesione e per gli effetti che ne conseguono.
Orbene, la legge in tali ipotesi prevede che il datore di lavoro possa perseguire il proprio lavoratore inadempiente anche con la diretta irrogazione di sanzioni.
Questo rappresenta certamente un importante profilo nelle fattispecie in cui l’inadempimento del lavoratore non e riferibile ai suoi principali obblighi lavorativi (ex art. 2104 c.c.) ovvero all’altrettanto importante obbligo di fedeltà (ex art. 2105 c.c.), ma alle disposizioni legate all’esecuzione del lavoro impartite dal datore di lavoro.
Del resto, si tratta di disposizioni di carattere organizzativo e produttivo che, per essere efficaci, devono essere chiaramente di immediata irrogazione: si pensi all’orario di lavoro, alla giustificazione delle assenze, al divieto di fumo, all’utilizzo dei dispositivi di protezione collettivo e/o individuale ecc.
Il potere disciplinare in capo al datore di lavoro viene così considerato un esempio di quel fenomeno eccezionale del diritto privato, rappresentato dalle cd. pene private, caratterizzato dall’intrusione di categorie pubblicistiche in un rapporto tipicamente privatistico.
Il potere disciplinare può essere esercitato:
– dal datore di lavoro personalmente o da persona munita di rappresentanza (nel caso di persone giuridiche il potere disciplinare e di norma esercitato dal rappresentante legale delle stesse);
– da chiunque altro sia titolare del potere disciplinare secondo l’organizzazione aziendale.
Il fondamento normativo del potere disciplinare risiede essenzialmente nell’art. 2106 c.c., nel quale sono richiamati i presupposti sostanziali del suo esercizio, consistenti nell’inosservanza, da parte del lavoratore, dei tre suoi tradizionali obblighi contrattuali-civilistici: diligenza, obbedienza e fedeltà, espressamente stabiliti dai precedenti artt. 2104 e 2105.
L’art. 2106 c.c., tra l’altro, opera un rinvio alla contrattazione collettiva sulle ulteriori condizioni di esercizio del potere disciplinare.
Ad ogni buon conto, l’espressione codicistica utilizzata a tale riguardo non appariva certamente stringente al punto da escludere con certezza sempre possibili margini di unilateralità nell’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro e, quindi, da impedirne con certezza un suo abuso.
I doveri di diligenza e fedeltà, previsti dagli artt. 2104 e 2105 c.c., rappresentano quindi i parametri per una valutazione oggettiva dell’esatto adempimento della prestazione lavorativa, cioè dell’esecuzione dell’obbligo principale discendente dal contratto di lavoro.
La diligenza e misurata sulla base delle capacita tecnico-professionali, derivanti dalle mansioni e dai profili professionali richiesti per l’esecuzione dell’attività dedotta in contratto, tenuto conto della realtà tecnico- organizzativa in cui viene svolta l’attività lavorativa e dell’interesse dell’impresa.
La fedeltà impone il divieto, per il lavoratore, di compiere attività oggettivamente in concorrenza rispetto all’attività del datore di lavoro da cui dipende.
Nell’ambito della fedeltà è riconducibile Il divieto di non concorrenza che non si limita all’esercizio effettivo di un’attività, ma anche alla divulgazione di notizie e dati relativi alla produzione, all’organizzazione del lavoro e alle tecniche adottate nell’impresa.
L’obbligo di fedeltà e inoltre valutato anche sulla base della natura e del contenuto professionale delle mansioni del lavoratore, atteso che il divieto diviene più intenso per le posizioni professionali di livello più elevato.
Ma è con l’art. 7 della legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) che, venendo incontro all’istanza di tutela dei valori di dignità della persona (definita dalla Corte Costituzionale di «civiltà giuridica»), il legislatore ha inteso introdurre una disciplina di chiaro taglio garantistico, con la quale e stata modificata l’impostazione del potere disciplinare datoriale, tanto sotto il profilo sostanziale, quanto sotto quello procedurale.
Sotto il profilo più eminentemente sostanziale, la principale fonte di determinazione dei presupposti del potere disciplinare diventa quindi il contratto collettivo di lavoro; di talché il datore di lavoro non potrà stabilire infrazioni e comminare sanzioni a proprio esclusivo piacimento, dovendo invece applicare, in via obbligatoria, le norme inserite nei contratti collettivi di lavoro che, di norma, al loro livello nazionale, prevedono il cd. “ Codice disciplinare” .
Ciò non preclude in assoluto che il datore di lavoro possa esplicitare, più nel dettaglio, le previsioni generali inserite nel contratto collettivo di lavoro, con riguardo alle infrazioni, tenuto conto delle concrete esigenze della sua azienda: parliamo del cd. «Regolamento Aziendale», per lo più “calibrato” in ragione dell’attività e dell’organizzazione dell’azienda.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, nella stessa azienda non può trovare applicazione più di un codice disciplinare. Di conseguenza, qualora siano applicati in contemporanea più contratti collettivi, ciascuno con le proprie norme disciplinari, queste ultime devono essere poste dal datore di lavoro con atto unilaterale.
Equiparato al regolamento interno, in particolar modo se al suo interno preveda e/o rinvii alle sanzioni disciplinari contenute nel CCNL, e infine il Codice Etico/comportamentale, strumento che, anche per i noti riflessi di cui al D.Lgs. n. 231/2001 (in tema di «responsabilità amministrativa» delle società) va sempre più affermandosi presso le aziende, quanto meno quelle di medio-grandi dimensioni.
*Presidente della Commissione Area Lavoro ODCEC Catania
**Componente della Commissione Area Lavoro ODCEC Catania
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