Il nuovo Welfare

di Loris Beretta* 

Grazie alla legge di stabilità il welfare aziendale è ora davvero possibile per tutte le imprese, indipendentemente dalla dimensione.

L’intervento legislativo, almeno per quanto riguarda il nostro Paese, è di portata davvero storica.

I commi da 182 a 189 della Legge di Stabilità per il 2016 hanno reso permanente la disciplina tributaria agevolativa dei premi di produttività e riformato l’articolo 51 del testo unico delle imposte sui redditi. In particolare, in tema di welfare aziendale, la nuova versione dell’articolo in discorso è la seguente:

1) la lettera f) è sostituita dalla seguente: 

«f) l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell’articolo 12 per le finalità di cui al comma 1 dell’articolo 100»;

 2) la lettera f-bis) è sostituita dalla seguente: 

«f-bis) le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione, da parte dei familiari indicati nell’articolo 12, dei servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa ad essi connessi, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali e per borse di studio a favore dei medesimi familiari»; 

3) dopo la lettera f-bis) è inserita la seguente: 

«f-ter) le somme e le prestazioni erogate dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione dei servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti indicati nell’articolo 12»; 

Questo significa che tutta la quota di benefit in natura destinata dall’azienda in favore del lavoratore nel senso indicato dal nuovo articolo 51 sarà completamente esente da imposte e contributi. Attenzione però alla deducibilità, perché non è stato modificato l’articolo 100 TUIR, perciò nel caso in cui il piano di welfare non sia previsto nel quadro di un accordo sindacale, ma sia frutto di una mera liberalità dell’impresa, sconterà la deducibilità limitata al 5 × 1000 calcolato sull’intero costo del lavoro sostenuto dall’impresa stessa. Infatti la lettera f del nuovo articolo 51 recita «f) l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale» mentre l’articolo 100 disciplina il solo caso della “liberalità”: 1. Le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi. 

Infine di particolare rilievo è la riforma del comma 3 dell’art. 51 del TUIR che consente (finalmente) di prevedere l’erogazione dei benefit inseriti in un piano di welfare tramite appositi voucher:

«3-bis. Ai fini dell’applicazione dei commi 2 e 3, l’erogazione di beni, prestazioni, opere e servizi da parte del datore di lavoro può avvenire mediante documenti di legittimazione, in formato cartaceo o elettronico, riportanti un valore nominale». 

I descritti interventi sono stati quanto mai opportuni in ragione di due aspetti, il primo relativo al continuo deteriorarsi del potere di acquisto delle retribuzioni, il secondo relativo ad una politica che vuole richiamare a gran voce l’attenzione delle imprese alla loro responsabilità sociale sia interna, nei confronti dei propri lavoratori, che esterna, ambiente/territorio, istruzione, sanità etc.. Relativamente al secondo punto una prima dimostrazione è stata data concependo la riforma che ha interessato la conciliazione dei tempi di vita e lavoro (D. Lgs. n. 80/2015) con nuove norme sulla maternità e paternità (ad esempio la possibilità di chiedere che la maternità facoltativa sia goduta ad ore, oppure portando da uno a due le giornate obbligatorie di astensione dal lavoro da parte del padre), e ancora con l’introduzione di una nuova modalità di lavoro denominata “smart working” con il quale si mira ad attribuire maggiore significato ai risultati prodotti con il proprio lavoro piuttosto che al tempo ed al luogo utilizzato per compierlo.

Tornando alla legge di stabilità si osserva come il comma 182 abbia riproposto la detassazione dei premi di risultato portando ad € 50.000,00 il limite di reddito conseguito nell’anno precedente l’erogazione del premio e riducendo ad € 2.000,00 il valore massimo di premio a cui applicare l’imposta sostitutiva del 10% (sostitutiva di Irpef e addizionali comunali e regionali); il limite di € 2.000,00 viene incrementato di ulteriori € 500,00 nel caso in cui vi sia una modalità diretta di partecipazione dei lavoratori alla gestione d’impresa (in merito a questo punto dovranno essere emanate specifiche regole).

Importante novità introdotta dal comma 184 è la possibilità di convertire il premio in benefit previsti dal piano di welfare aziendale. Nel decreto ministeriale attuativo del 25 marzo 2016, viene innanzitutto spiegato (anche se non in modo intuitivo) che i premi di produttività sono convertibili in welfare solo per la quota e nei limiti utili ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva. Questo significa che un lavoratore con un reddito non superiore a € 50.000,00 potrà convertire il suo premio in welfare aziendale godendo della relativa esenzione da imposta e da contributi fino al limite massimo di € 2.000,00, gli importi eccedenti saranno normalmente assoggettati ad imposta e contributi.

Ai fini della detassazione occorre che il premio aziendale sia contenuto in un accordo sottoscritto con le rappresentanze sindacali. Di particolare interesse è il decreto attuativo del 25 marzo 2016 nel punto in cui consente anche l’erogazione di premi nell’anno 2016, ma relativi all’anno precedente (2015): in questo caso l’accordo aziendale dovrà essere (se già non lo è stato) depositato presso la Direzione Territoriale del Lavoro entro 30 giorni dalla pubblicazione del decreto stesso in Gazzetta Ufficiale, data questa che ne determina l’entrata in vigore dal giorno successivo. Per tutti gli altri accordi aziendali che verranno stipulati da qui in poi, il deposito dovrà essere effettuato telematicamente entro i canonici 30 giorni dal giorno della firma.

Come si nota, sia nel caso del welfare aziendale che nel caso dei premi di produttività, è stata data forte spinta alla sottoscrizione degli accordi cosiddetti di secondo livello. Sappiamo essere in cantiere una profonda riforma della validità giuridica, a livello settoriale, dei soli contratti collettivi nazionali, questo in quanto è ormai chiaro che solo un’ampia flessibilità e una forte personalizzazione delle regole di funzionamento dei rapporti di lavoro può consentire di affrontare la competizione globale che caratterizza questa epoca. Le norme allo studio prevederanno, probabilmente, la prevalenza della contrattazione aziendale o territoriale, anche se non proprio su tutto, mantenendo l’inderogabilità in relazione agli strumenti di tutela minima dei lavoratori (soprattutto in termini di retribuzione base). Cgil, Cisl e Uil sono perfettamente in linea con questo pensiero tanto da averlo espresso molto chiaramente nel nuovo documento sottoscritto in data 14 gennaio 2016. In esso viene espressa una grande apertura (novità assoluta) verso la ricerca di un clima di forte collaborazione con le imprese dismettendo l’unico criterio che, viceversa, ha storicamente caratterizzato il rapporto sindacato – impresa, ossia un’aperta, continua e aspra conflittualità. Il titolo è già di per sé evocativo di pace: “un moderno sistema di relazioni industriali, per un modello di sviluppo fondato sull’innovazione e la qualità del lavoro”. Anche la premessa promette molto bene: “L’esigenza che il Paese sappia cogliere i timidi segnali di ripresa, derivanti in massima parte da fattori esterni alla nostra economia, richiedono la definizione di un nuovo progetto di relazioni industriali per l’intero mondo del lavoro e dell’impresa, in grado di affermare il ruolo delle parti sociali come elemento fondante di democrazia, di tutela e miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, oltre che di promozione della crescita economica e sociale del Paese.

Un moderno ed innovativo sistema di relazioni industriali può consentire di fare del lavoro e dell’impresa, pienamente valorizzate nella loro funzione sociale ed economica, leve importanti sulle quali agire per un cambiamento profondo del Paese e, inoltre, confermare i corpi intermedi della società come fattori centrali della necessaria modernizzazione e crescita democratica.

Un nuovo sistema di relazioni industriali deve avere natura inclusiva, per meglio esprimere la capacità delle parti sociali di rappresentanza del lavoro e dell’impresa, profondamente trasformata nel corso di questi anni, sia con l’accentuarsi di diffusi fenomeni disgregativi, in particolare nel mondo degli appalti, delle collaborazioni e nelle forme flessibili estreme; sia con l’emergere di nuove realtà settoriali e professionali, che impongono una evoluzione delle prassi sindacali oltre i tradizionali confini culturali.

L’impianto concettuale del progetto di relazioni industriali si rivolge anche al sistema delle Pubbliche Amministrazioni, componente essenziale dello sviluppo economico e sociale del Paese, nell’ambito di una declinazione adeguata alle caratteristiche del settore.”

Cgil-Cisl-Uil propongono quindi di fondare il nuovo sistema di relazioni industriali sulla contrattazione (aziendale, territoriale, di distretto/sito/filiera) diretta a sviluppare migliori e più elevate sinergie tra le categorie, che possa essere ritagliata sulle reali esigenze dell’azienda o del territorio in cui è inserita, sulla partecipazione attiva dei lavoratori alla gestione d’impresa sia in termini di governance, in relazione alle scelte di investimento, che in termini di organizzazione relativamente all’attività produttiva vera e propria, infine sulle regole, ma non tutte le regole, bensì quelle riferite al concetto di rappresentatività: ricordiamo, infatti, il recente accordo del gennaio 2014 tra Cgil-Cisl-Uil, per la sottoscrizione del nuovo Testo Unico sulla rappresentanza che dà seguito al protocollo d’intesa del 31 maggio 2013 attuativo, a sua volta, dell’accordo del 28 giugno 2011 (ma si potrebbe andare indietro fino al 1993) in materia di rappresentatività delle sigle sindacali per la stipula dei contratti collettivi nazionali di lavoro, nonché la circolare n. 76 del 2015 emanata dall’Inps per l’attività di raccolta e l’elaborazione dei dati relativi alla rappresentanza delle organizzazioni sindacali per la contrattazione collettiva nazionale per la categoria industria.

Pare quindi che, come si dice, non tutto il male viene per nuocere: la crisi, per quanti fallimenti abbia prodotto e per quanta disoccupazione abbia creato, pare essere stata determinante per la ricerca di un nuovo sistema di relazioni industriali (per dirla in sindacalese) e per avere un governo maggiormente attento a trovare un giusto equilibrio tra le esigenze dei mercati e quindi delle imprese, dei lavoratori che mettono a disposizione le proprie capacità e conoscenze, e del sociale in generale comprendendo, finalmente, che l’epoca fordista si è ormai conclusa e nella quarta rivoluzione industriale potrà essere vincente solo uno sforzo comune contro la diffusione della povertà e un grande investimento in istruzione/formazione.

*ODCEC Milano

 

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