Il Welfare: un’opportunità da cogliere, ma come?

di Loris Beretta*

Grazie alla legge di stabilità per il 2016 è finalmente entrato a pieno regime il regolamento che disciplina il welfare aziendale, che non si può, a mio giudizio, leggere senza collegarlo alla revisione delle regole per la detassazione dei premi di risultato ad esso intimamente connesso data l’innovativa possibilità di sostituire uno all’altro.

Le tappe sono state tre:

  1. La legge 208/2015 che al comma 190 ha riformato l’art. 51 TUIR nella parte che fa importanti precisazioni e aggiunte in tema di esenzione dall’imposta per alcuni elementi retributivi (comma 1, lettera f, nuova f-bis e f-ter, comma 3-bis); sempre la legge n.208/2015 che ai commi da 182 a 189 rende definitiva la regola della detassazione dei premi di produttività e ne implementa le regole con novità importanti rendendoli fungibili con i piani di welfare aziendali
  2. L’emanazione del decreto attuativo in tema di premi aziendali del 25 marzo 2016
  3. Ed infine, l’interpretazione autentica redatta dall’Agenzia delle Entrate pubblicata il 14 giugno 2016 n. 28/E che spiega come devono essere applicate le nuove regole.

Ora che le regole ci sono si tratta di capire a cosa servono, come vanno usate e per quale motivo.

Si, perché ora tutti vendono pacchetti welfare, portali, voucher (grande novità già rovinata dalla interpretazione restrittiva dell’Agenzia delle Entrate, ma lo vedremo dopo) come se fosse acqua fresca.

Secondo me si sta perdendo il senso dell’importanza dello strumento che finalmente, in modo più democratico, consente ai lavoratori di avere l’attenzione che meritano (quelli che la meritano) facendo “spendere” poco all’azienda. Ma è davvero tutto qui? Un modo per risparmiare sul costo del lavoro?

Certamente alcuni ne coglieranno banalmente solo questo aspetto mentre altri comprenderanno che è una grande opportunità, soprattutto per le piccole e medie aziende, di adeguarsi alle nuove condizioni sociali, concorrenziali e di mercato che tanto si sono modificate (e molto velocemente) negli ultimi anni.

Il welfare aziendale significa innanzitutto comprendere che dietro ad ogni lavoratore c’è una famiglia o, comunque, una vita. Significa anche ripensare la cultura che viene espressa in azienda e, quindi, all’esterno; di conseguenza significa comunicare. Comunicare sia all’interno, ponendosi in ascolto dei lavoratori, sia all’esterno migliorando, nello stesso modo, la relazione con i clienti, con l’ambiente sociale e naturale in cui l’impresa è inserita. Come tratto i miei lavoratori, probabilmente tratto anche i miei clienti, dico spesso alle aziende presso le quali faccio attività di consulenza organizzativa.

Ecco che allora i piani di welfare, magari abbinati a corretti premi di produzione possono essere formidabili elementi per creare il giusto grado di motivazione in azienda, ma solo questo può non bastare.

Quando affronto il cliente che desidera implementare un piano di welfare e vuole rivedere i metodi premiali già in uso o ne vuole creare di nuovi, consiglio sempre di procedere per prima cosa con un’analisi del clima aziendale. Infatti un piano di incentivi monetari e non monetari può avere successo solo se vengono correttamente colti gli elementi di criticità che si presentano in azienda (quali ad esempio, alto tasso di assenteismo, indolenza, poca proattività, scarsa partecipazione ecc.) ed i motivi che li provocano. Questi elementi normalmente si riflettono in una produttività scarsa, poco efficiente e in altrettanto scarsa attenzione al cliente, a quello che veramente desidera. E’ proprio questo tipo di situazioni che possono essere risolte brillantemente con un piano di welfare e di incentivazione a patto che lo si inquadri in una più ampia strategia che coinvolge ogni aspetto della vita aziendale. In particolare tutto dovrà essere pianificato in modo che possa portare a risultati misurabili facilmente, che consentano di cogliere i benefici economico/finanziari delle scelte effettuate. In questo gioco un ruolo fondamentale è proprio quello di noi commercialisti in quanto di solito ben conosciamo i punti di forza ma anche di debolezza dei nostri clienti. E’ proprio qui, nel proporre di rivedere l’intera strategia di impresa che possiamo esprimere al meglio le nostre competenze. Le novità su welfare e premi aziendali ci mettono a disposizione un elemento formidabile per iniziare un nuovo, intenso ed entusiasmante percorso con il cliente. Occorre però, come ho detto, inserirlo in un quadro più vasto del solo e limitato risparmio di costi.

Se poi si vuole avere davvero successo, al piano di incentivazione occorrerà affiancare utili piani formativi per il personale (anche qui ben mirati ad ottenere specifici risultati), nonché corrette ed incentivanti pianificazioni delle carriere (almeno nelle imprese ove la dimensione e la complessità lo consentono) e corrette politiche retributive.

Ecco che in questo modo dalla semplice idea di inserire un piano di welfare in azienda, potrà essere colta l’opportunità di migliorare addirittura il proprio posizionamento strategico sul mercato, la propria capacità di attrarre i migliori talenti e di non perdere quelli che già ci sono. Welfare significa rendere la propria impresa più attraente oltre che migliore, più competitiva, più innovativa.

Compreso questo si potranno sfruttare in pieno, e con successo, le interpretazioni dell’Agenzia delle Entrate. Peccato che con esse si siano fatti svanire nel nulla i buoni propositi della norma che ha previsto la possibilità di offrire welfare tramite i c.d. “voucher”. Infatti la circolare 28/E ha chiarito che il voucher “pluriservizi” ossia spendibile per una pluralità di servizi offerti dall’azienda, possa essere utilizzato solo ai sensi del comma 3 del TUIR ossia per beni e servizi nei limiti dei 258,29 euro annuali. Se si vuole utilizzare il voucher per offrire benefit di cui alle lettere f, f-bis e f-ter allora occorre che sia utilizzabile solo ed esclusivamente per un solo servizio specifico, il che lo rende poco utilizzabile. Altro punto di attenzione è che i premi di produttività sono detassabili solo se si può dimostrare che c’è stato davvero un miglioramento in termini di produttività o efficienza, quindi è indispensabile rivedere gli accordi in essere per verificare che vi siano precisi parametri di riferimento, ad esempio aumento nelle vendite, diminuzione delle c.d. non conformità, diminuzione dell’assenteismo etc.

Interessante è poi notare che la regola della detassazione viene detta valida solo per premi previsti da accordi aziendali o territoriali e non per premi previsti a livello di contrattazione collettiva.

Degna di considerazione è la definizione che riguarda i 2.000 euro di premio (o 2.500). Infatti viene specificato che sono da intendersi al lordo dell’imposta sostitutiva ma al netto del contributo a carico del lavoratore cosicché la cifra reale che rappresenta il tetto invalicabile oltre il quale si applica la tassazione piena, è circa 2.220 euro (o circa 2.770), dipende dall’aliquota contributiva applicabile al lavoratore.

Per quanto riguarda il tetto di 2.500 euro che si ha nel caso si dia la possibilità ai lavoratori di partecipare attivamente alla gestione dell’impresa, (ad esempio sedendo nei consigli di amministrazione), la norma demanda alla contrattazione collettiva che per ora non è, per la maggior parte, pronta e non disciplina il caso. Occorrerà attendere i prossimi rinnovi contrattuali per capire meglio i termini della questione. La norma ha stabilito la fungibilità tra premi e welfare però l’Agenzia ha chiarito che questo è consentito solo nei termini e nei limiti delle regole della detassabilità. Ovviamente se i limiti sono rispettati allora il benefit sostituito al premio ha il vantaggio di essere totalmente esente da imposte e contributi, ma attenzione perché se un limite (50.000 euro di reddito o 2.000 euro di premio) viene superato il benefit, che di sua natura sarebbe esente, perde questa sua caratteristica e diviene pienamente imponibile.

Infine la fungibilità tra premio e welfare deve essere obbligatoriamente prevista dall’accordo aziendale e deve essere libera facoltà del lavoratore chiederla.

Non essendo stato modificato l’articolo 100 comma1 TUIR è ora chiaro che i piani di welfare non definiti tramite uno specifico accordo sindacale restano a deducibilità limitata al 5% del costo del lavoro nel suo complesso, viceversa la sottoscrizione di un accordo soggetto a deposito presso la Direzione Territoriale del Lavoro nei trenta giorni successivi alla firma, determina la piena deducibilità dei benefit dal reddito di impresa.

Infine non sembra ci siano controindicazioni nel promettere ai lavoratori che a fronte di determinati risultati economico/finanziari i guadagni ottenuti possano essere reinvestiti in piani di welfare. Non si tratta di un vero premio di produttività, semplicemente si dice che il danaro ottenuto verrà reinvestito, non regalato.

*ODCEC Milano

                                                                                                      

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