Infezione da Coronavirus in occasione di lavoro: rischi e cautele

di Paolo Galbusera* e Andrea Ottolina*

In base a quanto disposto dall’art. 42 co. 2 del d.l. n. 18 del 17 marzo 2020 (c.d. decreto Cura Italia), i casi accertati di contagio da Coronavirus verificatisi in occasione di lavoro sono trattati dall’Inail come infortuni sul lavoro.

Tale previsione ha avuto un notevole risalto mediatico e destato parecchia preoccupazione, in quanto, da essa, derivano una serie di potenziali conseguenze in capo ai datori di lavoro che devono essere attentamente considerate. Nello specifico, un caso di contagio da Coronavirus avvenuto sul posto di lavoro potrebbe comportare per il datore di lavoro:

  • una responsabilità restitutoria nei confronti dell’Inail, in caso di azione di rivalsa da parte dell’Istituto;
  • un’ulteriore responsabilità risarcitoria verso il lavoratore infortunato, con potenziale rischio di dover riconoscere il risarcimento del c.d. danno differenziale;
  • infine, una possibile responsabilità penale, per i reati di lesioni personali colpose ai sensi dell’art. 590 p., oppure di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p. se il contagio abbia determinato il decesso.

In termini generali, perché possa essere riconosciuta la natura di infortunio da contagio da Covid 19 (e quindi, in astratto, perché si possa configurare la responsabilità civile e/o penale del datore di lavoro), occorre innanzitutto accertare l’esistenza del nesso causale tra l’attività lavorativa e il contagio stesso, che, nel caso specifico del Covid 19, trattandosi di infezione di carattere epidemiologico, non può certo essere presunta, a parte casi particolari come, ad esempio, gli operatori sanitari.

In base ai principi normalmente applicabili ai casi di infortunio sul lavoro, l’onere della prova dell’occasione di lavoro, ossia della sussistenza del nesso causale tra infezione da Covid 19 e ambiente di lavoro, è a carico, per le rispettive azioni di responsabilità verso il datore di lavoro sopra citate, dell’Inail e del lavoratore. Si ritiene peraltro che la prova in giudizio della sussistenza del nesso causale non sia particolarmente semplice da raggiungere, a maggior ragione se si considera che, come noto, il Covid 19 è un virus con un periodo di incubazione variabile, che arriva sino a 15 giorni dalla potenziale occasione di contagio, circostanza che amplia e di molto la possibile sussistenza di concause nel contagio.

Ad ogni modo, una volta accertata l’origine lavorativa del contagio da Covid-19 e quindi riconosciute la natura di infortunio e la relativa tutela da parte dell’Inail, è comunque necessario un ulteriore accertamento affinché possa essere configurata in concreto una responsabilità, civile e/o penale, del datore di lavoro, con le relative conseguenze in termini risarcitori e sanzionatori.

Sull’argomento è recentemente intervenuto anche l’Inail, da ultimo con la circolare n. 22 del 20 maggio 2020, con l’obiettivo di fornire una corretta interpretazione dell’art. 42 del d.l. Cura Italia e, di fatto, escludere qualsiasi automatismo tra la sussistenza di un infortunio indennizzabile e la configurabilità di una responsabilità di natura civile e/o penale in capo al datore di lavoro.

In particolare, l’Istituto ha ribadito che, anche in caso di riconoscimento dell’origine lavorativa del contagio da Covid 19, la responsabilità civile e penale del datore di lavoro può sussistere soltanto quando sia accertata la sua colpa nel verificarsi del dell’infortunio, colpa che si concretizza, come recentemente precisato anche dalla Corte di Cassazione (ordinanza n. 3282 dell’11.02.2020), non in una sorta di responsabilità oggettiva, ma in un “difetto di  diligenza nella  predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore”.

Secondo l’Inail, quindi, tale difetto di diligenza del datore di lavoro deve ritenersi senz’altro escluso quando egli abbia concretamente adempiuto alle misure di prevenzione, protezione individuale, formazione ed informazione del personale, previste dalla normativa emergenziale e in particolare dal Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali, da ultimo richiamato anche dall’art. 2 del DPCM 17 maggio 2020.

In estrema sintesi, le misure previste dal Protocollo citato implicano, tra le altre: la misurazione della temperatura corporea agli accessi aziendali; il mantenimento del distanziamento sociale sui luoghi di lavoro, da conseguire anche attraverso interventi organizzativi gestionali sui luoghi di lavoro, sull’orario o sui turni di lavoro; la messa a disposizione dei dispositivi di protezione individuale, quali mascherine, guanti, gel igienizzanti, ecc.

È tuttavia importante sottolineare che, secondo l’interpretazione della Corte di Cassazione, il datore di lavoro è ritenuto responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore non solo nel caso in cui ometta di adottare le idonee misure protettive, ma anche quando non abbia accertato o vigilato che queste misure vengano di fatto utilizzate da parte del dipendente (cfr. Cass. sent. 29115 del 5.12.2017). È peraltro lo stesso d.lgs. 81/2008 (T.U. in materia di sicurezza e lavoro) ad imporre al datore di lavoro di esigere il rispetto delle regole di cautela da parte dei lavoratori (art. 18 co. 1 lett. f), delineando un vero e proprio dovere di vigilanza sull’adempimento degli obblighi previsti a carico degli stessi (art. 18 co. 3 bis). Per questa ragione, si ritiene opportuno che ciascun datore di lavoro, oltre a porre in essere in modo scrupoloso tutte le misure necessarie alla prevenzione del contagio, predisponga uno specifico regolamento aziendale, che riporti in modo chiaro ed esaustivo tutte le norme comportamentali che i dipendenti sono tenuti a rispettare durante l’orario di lavoro ed includa il relativo codice disciplinare, l’elenco cioè delle varie sanzioni disciplinari applicabili in caso di violazione di ciascun obbligo.

Al tale codice disciplinare dovrà poi essere data la massima pubblicità possibile, tramite innanzitutto l’affissione in un luogo oggettivamente accessibile a tutti i lavoratori e quindi attraverso la consegna individuale con metodo idoneo a fornire prova dell’avvenuta ricezione.

* Avvocato in Milano – Galbusera & Partners

 

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