La certificazione dei contratti

di Martina Riccardi *

La certificazione dei contratti di lavoro è stata introdotta nel nostro ordinamento dal Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30” (conosciuto come Legge Biagi), e consiste in una procedura volontaria mediante la quale un organismo competente ed indipendente attesta che il contratto, in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro, possiede i requisiti di forma e contenuto previsti dalla legge.

Nell’intento del legislatore l’obiettivo principale della certificazione è quello di dare certezza, sia alle parti interessate sia ai soggetti terzi, della qualità del contratto stipulato e costituire quindi uno strumento deflativo delle controversie in materia di lavoro. In base alla normativa vigente sono certificabili:

  • i contratti di lavoro (dall’art. 75 all’art. 81 lgs. n.276/2003);
  • le rinunce e le transazioni in materia di rap- porti di collaborazione coordinata e continuativa (art.82 lgs. n.276/2003);
  • il regolamento interno delle cooperative, peri contratti stipulati con i soci lavoratori (art.83 lgs. n. 276/2003);
  • i contratti di appalto (art.84 lgs. n.276/2003). La certificazione in ogni caso riguarda esclusivamente i profili giuslavoristici dei contratti di cui sopra. I vantaggi della certificazione, non solo previsti dalla legge ma concretamente verificati, sono la riduzione del contenzioso in materia di qualificazione del rapporto di lavoro e l’effetto riduttivo sul regime sanzionatorio delle omissioni e sulle evasioni contributive, nell’eventualità di riqualificazione giudiziale del rapporto certificato. Vantaggi che si raggiungono anche grazie all’assistenza e consulenza fornita alle parti dalla Commissione di certificazione, sia in fase di stipulazione del contratto sia durante lo svolgimento del rapporto di lavoro.

Dal punto di vista dell’efficacia giuridica della certificazione, l’art. 79 del D.lgs. n.276/2003 stabilisce che “Gli effetti dell’accertamento dell’organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro permangono, anche verso i terzi, fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili ai sensi dell’art. 80, fatti salvi i provvedimenti cautelari”. Di conseguenza, gli organi di vigilanza non possono adottare atti e provvedimenti amministrativi (notifiche di illecito amministrativo, recuperi previdenziali ed assicurativi, sanzioni) per i contratti di lavoro certificati.

La certificazione del contratto di lavoro può essere impugnata, in sede civile, davanti al giudice del lavoro nel caso in cui si voglia dimostrare l’erroneità nella qualificazione del rapporto, i vizi del consenso o la difformità del contratto certificato rispetto alla sua attuazione effettiva.

Per i contratti di lavoro certificati vale il principio dell’inversione dell’onere della prova in base al quale chi contesta la regolarità del con- tratto (terzi compresi) deve dimostrarne l’invalidità. Possono essere considerati soggetti terzi anche gli organi preposti alla vigilanza sul lavoro, ad esempio, le Direzioni territoriale del lavoro, l’INAIL, l’INPS, l’ENASARCO ecc.

Il ricorso al giudice del lavoro deve essere preceduto da un tentativo di conciliazione presso la Commissione che ha certificato il contratto, ai sensi dell’art. 410 del codice di procedura civile. Mentre il ricorso al tribunale amministrativo regionale (TAR) territorialmente competente può essere fatto, entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento, nel caso si riscontri una violazione del procedimento o un eccesso di potere.

Per i contratti in corso di esecuzione gli effetti si producono sin dall’inizio, purché la commissione appuri che l’attuazione del medesimo sia stata, anche nel periodo prece- dente alla propria attività istruttoria, coerente con quanto certificato. In caso di contratti non ancora sottoscritti dalle parti, gli effetti si producono soltanto quando queste ultime provvedano a sottoscriverli, con le eventuali integrazioni e modifiche suggerite dalla commissione.

Gli organi preposti al controllo dei contratti di lavoro ed al rilascio della certificazione sono le Commissioni di cui all’76 del D.lgs. n.276/2003 che le individua nelle seguenti:

  • Direzioni territoriali del lavoro (DTL), quali organi periferici del Ministero del lavoro;
  • Province;
  • Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro presso il Ministero del Lavoro, in casi particolari;
  • Università pubbliche e private iscritte nell’apposito Albo delle Commissioni di Certificazione Universitarie tenuto presso il Mini- stero del lavoro;
  • Enti Bilaterali costituiti dalle associazioni di datori e prestatori di lavoro nell’ambito territoriale di riferimento o a livello nazionale;
  • Consigli provinciali dei Consulenti del Lavoro.

Le Commissioni sono competenti a certificare esclusivamente quei contratti di lavoro che sono stati stipulati da datori di lavoro che hanno sede nel territorio della provincia di riferimento e presso la quale sarà addetto il lavoratore. Nel caso di certificazione di contratti di agenti e rappresentanti di commercio la competenza territoriale può essere individuata riferendosi al domicilio dell’agente.

Per quanto riguarda i contratti d’appalto i criteri d’individuazione della competenza territoriale possono essere diversi: alcune Commissioni hanno scelto di individuare la competenza territoriale non in base all’ubicazione della sede dell’azienda, ma in base al luogo in cui operativamente si svolgono gli appalti.

Il procedimento di certificazione viene attiva- to in seguito ad una richiesta in forma scritta in bollo e la legge stabilisce che debba concludersi entro 30 giorni dal ricevimento dell’i- stanza. Trattandosi di una procedura volontaria si può attuare soltanto quando la richiesta di certificazione viene presentata e sottoscritta congiuntamente dalle parti.

La Commissione individua un relatore che studierà l’istanza assegnatagli ed illustrerà ai membri della Commissione la documentazione presentata a supporto della stessa. Sarà compito del relatore evidenziare la sussistenza o meno dei caratteri essenziali della tipologia contrattuale di riferimento Parte essenziale del procedimento è l’audizione delle parti contraenti: durante l’audizione le parti devono presentarsi personalmente davanti alla Commissione in modo che la stessa possa ottenere direttamente dagli interessati ogni elemento utile per poter conoscere le modalità di effettivo svolgimento del rapporto di lavoro oggetto della certificazione. Tutto ciò al fine di poter procedere ad un corretto inquadramento dal punto di vista giuridico. Nel caso una delle parti sia indisponibile la Commissione può rinviare ad altra data l’audizione, cercando così di limitare il più possibile il ricorso delle parti a farsi rappresentare da terzi. La re- dazione del verbale, sottoscritto dalle parti, fa parte integrante del provvedimento.

Il procedimento si conclude con un atto amministrativo in bollo, cioè con un provvedi- mento espresso di accoglimento o di rigetto che deve essere motivato e che deve conte- nere esplicita menzione degli effetti civili, amministrativi, fiscali e previdenziali. Il rifiuto definitivo della certificazione può essere evitato apportando al contratto le opportune correzioni richieste dalla Commissione. Nel caso di diniego può essere presentata successiva istanza sulla scorta della sussistenza effettiva di presupposti e motivi diversi dalla precedente ed essendo un atto definitivo non è possibile ricorso gerarchico in quanto non c’è un organo gerarchicamente superiore alla Commissione.

I contratti di lavoro certificati, e la relativa pratica di documentazione, devono essere conservati presso le sedi di certificazione, per un periodo di almeno cinque anni a far data dalla loro scadenza.

Come precedentemente accennato ogni Commissione di certificazione adotta un proprio regolamento interno (art.2, comma 1 del D.M. 21/07/2004 ) che disciplina la modalità di funzionamento della Commissione stessa e che inoltre individua i criteri di riferimento per la certificazione. I criteri che vengono adottati dalle Commissioni di certificazione variano a seconda del tipo di contratto che si intende certificare e dalle linee guida che ogni Commissione applica.

Nonostante i concreti vantaggi, allo stato attuale, la certificazione dei contratti è utilizzata meno del previsto per molteplici ragioni, che vanno dalla scarsa conoscenza dello strumento ad atteggiamenti di “pregiudiziale avversità” di taluni sindacati ed organi di vigilanza. Soltanto nel 2010 con il Collegato Lavoro (legge n.. 183/2010) c’è stato l’ampliamento del campo di applicazione della certificazione dei contratti, essendo stato previsto che, in caso di impugnazione di un contratto certificato davanti al giudice del lavoro, lo stesso non può distaccarsi dalle valutazioni espresse dalla Commissione in sede di certificazione. La mancata emanazione dei cosiddetti codici di buone pratiche, da parte del Ministero del lavoro, però non ha facilitato “ il lavoro” delle Commissioni di certificazione . Gli stessi addetti ai lavori conoscono poco il funzionamento di questo istituto e per questo motivo, nell’ambito della loro consulenza, non lo consigliano ai loro clienti.

D’altro canto gli imprenditori non accettano di buon grado l’aggravio delle incombenze che la certificazione comporta e che inevitabilmente porta ad un aumento dei costi di consulenza.

Considerati i costi economici e sociali della conflittualità in materia di lavoro, che influiscono sulle decisioni degli imprenditori, che spesso per questo motivo ricorrono a forme di utilizzo del personale diverse dal lavoro subordinato, è auspicabile una maggiore diffusione della cultura delle certificazione dei contratti, anche da parte degli ordini professionali e degli altri enti pubblici e privati competenti in materia di diritto e pratica del lavoro, tenendo presente che, in ogni caso, la certificazione non impedisce ai lavoratori e/o agli organi di vigilanza di ricorrere al giudice, nei casi in cui lo svolgimento pratico del rapporto tra le parti sia difforme da quanto dedotto nell’atto certificato.

*ODCEC di Biella

 

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