La collaborazione occasionale famigliare: gli aspetti previdenziali
di Laura Marchesi*
In un contesto di difficoltà economica come quello che negli ultimi anni sta attraversando il nostro paese, sempre più imprenditori hanno preferito rinunciare all’assunzione di nuova forza lavoro, mandando avanti l’attività in proprio, avvalendosi saltuariamente della collaborazione di un familiare, che potesse intervenire in modo occasionale nella gestione dell’azienda.
Non è però sempre agevole definire la natura di un rapporto di lavoro tra familiari, dal momento che il più delle volte le prestazioni sono caratterizzate da gratuità, in ragione dell’affetto che lega i soggetti interessati. Ci occupiamo in questo articolo dell’aspetto contributivo, quindi di come un collaboratore, legato all’imprenditore da un vincolo di parentela o affinità, possa essere inquadrato a livello previdenziale. La soluzione che solitamente viene prospettata, perché considerata la più “sicura” in caso di controlli, è quella di iscrivere il familiare come collaboratore ai fini Inps, il che naturalmente comporta per l’imprenditore il versamento dei contributi, fissi e in percentuale, anche per il parente, aspetto che potrebbe rendere antieconomico questo tipo di collaborazione, improntata principalmente sulla gratuità della prestazione ricevuta.
Proprio per regolamentare questo tipo di prestazioni è intervenuto il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che il 10 giugno del 2013 ha emesso la circolare n. 0010478, indirizzata principalmente alle Direzioni regionali e territoriali del lavoro, all’Inps e all’Inail, ma che torna utile anche ai professionisti che vogliono correttamente assistere l’imprenditore su un’alternativa meno onerosa rispetto all’iscrizione previdenziale del familiare collaboratore in quanto detta i parametri per valutare l’abitualità o l’occasionalità della prestazione dei congiunti a favore dell’imprenditore. La circolare fa riferimento, appunto, ai collaboratori familiari nei settori dell’artigianato, del commercio e dell’agricoltura, e si rivolge all’ispettorato per fornire indicazioni operative in caso di accessi. L’iniziativa del Ministero del Lavoro muove dall’assunto che la collaborazione derivante da un contesto familiare non viene resa a fine di lucro, ma bensì «in virtù di una obbligazione di natura morale” e per questo motivo deve essere considerata gratuita “ove risulti dimostrata la sussistenza della finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa” (Cass. Civ. n. 19304/2015). Questo orientamento è stato successivamente confermato anche dalla giurisprudenza: la Corte di Appello di Genova, con la sentenza n. 162 del 14 aprile 2014, ha sottolineato come la gratuità del rapporto di lavoro sia commisurata al vincolo di solidarietà che lega l’imprenditore al coniuge, ai parenti e agli affini.
Vediamo ora nel dettaglio quali sono i soggetti per i quali vige la presunzione di gratuità della prestazione occasionale: si tratta del coniuge, dei parenti di primo, secondo e terzo grado e degli affini, anch’essi fino al terzo grado. La suddetta circolare fa riferimento a specifici parametri che il personale ispettivo dovrà individuare per verificare l’occasionalità del rapporto di lavoro con il familiare. Innanzitutto, si presume sempre occasionale l’attività prestata:
- da pensionati, in quanto è raro che questi soggetti si impegnino continuativamente in un’attività lavorativa, a fronte di un incerto e forse esiguo aumento della rata di pensione che otterrebbero se continuassero a versare i contributi come collaboratori;
- da familiari già occupati full time presso altro datore di lavoro: il tempo a loro disposizione, infatti, non consentirebbe di sicuro di esercitare altra attività prevalente o abituale presso l’azienda del parente.
In questi due casi, dunque, la prestazione è da considerarsi indubbiamente occasionale in ragione del poco impegno che potenzialmente questi soggetti impiegheranno nell’impresa, e gratuita per effetto del vincolo che li lega all’imprenditore. Di conseguenza, se si dovesse essere oggetto di acceso da parte di ispettori del lavoro, saranno questi ultimi che dovranno fornire prova oggettiva e incontrovertibile dell’esistenza di una prestazione lavorativa vera e propria.
Al di fuori di queste due particolari casistiche, come si individua una collaborazione di tipo occasionale? Come fare a capire se il collaboratore familiare rispetta, ai fini previdenziali, il carattere della saltuarietà? Anche questa volta ci vengono in aiuto le indicazioni tecniche contenute nella circolare. Innanzitutto, sono da considerarsi occasionali quei compiti caratterizzati da non sistematicità e stabilità, che quindi non possono considerarsi abituali o prevalenti nella gestione dell’impresa. Il documento fissa poi anche dei criteri quantitativi, applicando per estensione anche ai commercianti il contenuto dell’art. 21 comma 6-ter legge 326/2003, il quale stabilisce in 90 giorni nel corso dell’anno il limite massimo di una prestazione occasionale gratuita nel settore dell’artigianato. Per quanto riguarda l’agricoltura, si farà invece riferimento all’art. 74 d.lgs. 276/2003. Il parametro è frazionabile in ore, quindi 720 ore nell’arco di un anno solare. È possibile quindi superare i 90 giorni, rispettando però il tetto massimo orario. Il Ministero del Lavoro sottolinea che il mancato rispetto del parametro quantitativo dovrà essere dimostrato dal personale ispettivo mediante la rigorosa acquisizione di elementi di natura documentale o testimoniale, in assenza dei quali non potrà ritenersi provato il superamento del limite dei 90 giorni ovvero delle 720 ore annue; l’onere della prova quindi è a carico del soggetto preposto al controllo.
In conclusione, nel caso in cui il titolare di un’impresa artigiana, commerciale o agricola si avvalga occasionalmente della prestazione di un familiare, nulla è dovuto ai fini previdenziali, mentre rimane obbligatoria l’iscrizione all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e malattie professionali. Infatti, per le prestazioni rese dai familiari a titolo gratuito non sussiste l’obbligo assicurativo solo nel caso in cui le prestazioni non siano ricorrenti, cioè rese una/due volte nell’arco dello stesso mese, purché complessivamente non si superino le 10 giornate lavorative annue. É prudente inoltre conservare presso la sede ove si svolge la prestazione del familiare una copia della circolare del Ministero del lavoro, nonché istituire una sorta di registro sul quale annotare gli orari e i giorni in cui si verifica tale collaborazione, in modo da poterlo esibire al personale ispettivo dimostrando così il rispetto dei limiti della saltuarietà della prestazione resa.
* ODCEC Piacenza
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