La diffida accertativa per i crediti patrimoniali

di Stefano Ferri*

Il Decreto Legislativo n. 124 del 23 aprile 2004, all’articolo 12, ha consentito agli ispettori di emettere diffida accertativa per crediti patrimoniali in favore dei lavoratori che emergano in occasione di attività di vigilanza per inosservanze alla disciplina contrattuale. Siamo in presenza di un istituto diretto alla tutela dei diritti del prestatore di lavoro che ottiene un provvedimento a proprio vantaggio con il quale l’ispettore diffida la parte datoriale a versargli determinate somme entro un termine prefissato.Primo presupposto è la sussistenza di “crediti patrimoniali” del lavoratore (che forse sarebbe stato più preciso definire “pecuniari”); la dottrina ha stabilito che con tale espressione si intendono crediti:

  • liquidi, quindi monetari;
  • determinati, di conseguenza si escludo- no tutti i crediti non precisamente definiti;
  • esigibili: non sottoposti a termini o condizioni ovvero i termini devono es- sere preventivamente scaduti e le con- dizioni avverate;
  • certi: intendendosi con tale espressione che sussistono elementi emersi in sede di ispezione che consentono di definire con certezza sia la spettanza che l’ammontare del credito.

La recente Circolare n. 1 del 8 gennaio 2013 del Ministero del Lavoro ha ben chiarito che sono diffidabili i seguenti crediti:

  • crediti retributivi da omesso pagamento;
  • crediti di tipo indennitario, da maggiorazioni, TFR ;
  • retribuzioni di risultato, premi di produzione;
  • crediti retributivi derivanti da un non corretto inquadramento della tipologia contrattuale;
  • crediti legati al demansionamento, alla mancata applicazione di livelli minimi retributivi richiesti esplicitamente dal legislatore in osservanza dell’art. 36 Cost. (ad esempio art. 7, comma 4, L. n. 248/2007, convertito in Legge n. 31/2008) ovvero derivanti dall’accertamento di lavoro sommerso.

La lettura della legge impone anche che emergano, in sede di vigilanza, “inosservanze alla disciplina contrattuale”: a tal proposito la Circolare Ministeriale n. 24 del 24 giugno 2004 ha ben chiarito che si può trattare sia di crediti derivanti dalla contrattazione collettiva che da quella individuale di lavoro.

Ricevuta la notifica della diffida accertativa, il datore di lavoro ha trenta giorni di tempo per promuovere tentativo di conciliazione presso la Direzione Territoriale del Lavoro (DTL). Qualora si raggiunga l’accordo al termine della procedura, la diffida perde efficacia e il verbale costituisce valida transa- zione. Viceversa, decorso il citato termine senza che il datore di lavoro abbia promosso il tentativo di conciliazione ovvero in caso di stesura di verbale negativo, la diffida accertativa assume valore di accertamento tecnico con efficacia di titolo esecutivo a seguito di provvedimento del direttore della Direzione Provinciale del Lavoro. A proposito dell’ultimo aspetto, la dottrina si è molto interrogata sul significato e sul valore di tale provvedimento, in particolare a seguito della Circolare n. 24/2004 del Ministero del La- voro che ha posto a carico del direttore il compito di verificare sia la sussistenza dei presupposti che la correttezza della diffida stessa. Il titolare dell’ufficio deve quindi esaminare la diffida sia sotto l’aspetto formale che sostanziale, verificando tra l’altro che sia stata correttamente osservata la procedura di legge, la presenza di adeguata documenta- zione nel fascicolo che giustifichi l’adozione del provvedimento e che sussistano effettivamente tutti i presupposti giuridici sui quali si basa.

La validazione è, quindi, un vero e proprio atto del direttore, con tutte le verifiche del caso, e non solo una formalità bensì un accertamento che assume valore di accertamento tecnico espletato da personale ritenuto dalla legge idoneo: con essa si perfeziona la formazione della diffida accertativa validata, che deve essere notificata sia al lavoratore che al datore di lavoro interessati. A tal proposito si rammenta il disposto della Lettera Circolare 986/2005 del Ministero del Lavo- ro che testualmente prevede: “… la diffida accertativa con efficacia di titolo esecutivo rappresenta una esplicitazione del richiamo generico di cui all’art. 474, comma 2, n. 2, c.p.c., rientrando implicitamente fra gli atti di natura stragiudiziale, a formazione amministrativa, “ai quali la legge attribuisce espressamente” l’efficacia di titolo esecutivo.

Ai fini dell’esecutorietà della diffida non è necessaria l’apposizione della formula esecutiva non essendo richiesta per i titoli di formazione amministrativa la spedizione in forma esecutiva di cui all’art. 475 c.p.c.”.

Ricevuta la diffida, il datore di lavoro potrà ricorrere al competente Comitato Regionale per i Rapporti di Lavoro avverso tale provvedimento entro trenta giorni dalla notifica; il Comitato avrà novanta giorni di tempo per decidere sul ricorso.

Il lavoratore invece, ricevuta la diffida, potrà agire in via esecutiva sulla base di tale titolo per recuperare il credito accertato.

Il citato articolo 12 non prevede possibilità di ricorrere all’Autorità Giudiziaria avverso la diffida accertativa: sono sorti quindi in dottrina dubbi sulla costituzionalità della norma stessa, a tutt’oggi sussistenti. La già citata Circolare 24 del 2004 risolve parzialmente la disputa affermando che “…con riguardo alle ipotesi di conciliazione monocratica in sede ispettiva, l’organo di vigilanza potrà procedere a diffidare il datore di lavoro quando avrà acquisito elementi obiettivi, certi e idonei a determinare il calcolo delle spettanze patrimoniali del lavoratore, potendo altrimenti acquisire il consenso delle parti ad una conciliazione monocratica”.

L’ispettore dovrà, quindi, utilizzare il massimo rigore nella concessione del citato provvedimento, imponendogli la circolare di acquisire elementi obiettivi, certi e idonei, in assenza dei quali il provvedimento è viziato. Resta comunque possibile per il datore di lavoro ricorre all’Autorità Giudiziaria, anche tenuto conto del disposto dell’articolo 24 della Carta Costituzionale citato in varie sentenze, ai sensi dell’articolo 615 del codice di procedura civile in sede di opposizione all’esecuzione ovvero con opposizione agli atti esecutivi in ossequio all’articolo 618 bis sempre del codice di rito: a conferma di ciò si segnala, tra le altre, per l’eccellente chiarezza espositiva, la Sentenza del Tribunale di Pistoia sezione lavoro relativa alla causa civile n. 1370/2010.

* Ordine di Reggio Emilia

 

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