L’adozione di modelli organizzativi ai sensi del d.lgs.231/2001 e la disciplina aziendale
di Marco D’Orsogna Bucci*
Il modello di organizzazione, gestione e controllo di cui al d.lgs. 231/2001 rappresenta un valido e opportuno strumento di “compliance” aziendale in materia di responsabilità amministrativa. Sebbene la normativa sia piuttosto datata, solo negli ultimi anni la responsabilità amministrativa degli enti ha incontrato la giusta attenzione da parte degli addetti ai lavori.
Senza dubbio tra questi ultimi ci sono anche i professionisti in campo fiscale, societario e nella gestione e amministrazione delle risorse umane. Prima di addentrarci nella disamina della specifica relazione che nasce tra l’adozione del modello organizzativo e gli aspetti di natura disciplinare in capo al personale dipendente e dirigenziale dell’azienda è opportuno fare una breve introduzione nel campo della normativa sopra citata.
La normativa
Il d.lgs. 231 dell’8 giugno 2001 ha un impatto fortemente innovativo all’interno della disciplina nazionale di diritto societario. Esso entra in vigore in attuazione della delega di cui all’art. 11 della Legge 29 Settembre 2000 n. 300 ed introduce per la prima volta il concetto di responsabilità penale dell’ente. Si afferma, quindi, che una persona giuridica può delinquere traendo vantaggio e interesse da reati commessi da suoi collaboratori o dipendenti. La portata rivoluzionaria della norma fa sì che si assista ad un superamento del principio di personalità della responsabilità penale sancito dall’art. 27 della nostra Carta costituzionale. L’ente responsabile di aver ottenuto vantaggi e/o interesse dalla commissione di reati di cui al d.lgs. 231/2001 vedrà colpito il proprio patrimonio, di conseguenza l’interesse economico dei propri soci, attraverso specifiche e consistenti sanzioni pecuniarie nonché tramite l’interdizione dall’esercizio dell’attività.
Gli enti destinatari della normativa sulla responsabilità amministrativa sono definiti all’art.1 comma 2 del decreto legislativo sopra citato. Possiamo dividerli in:
– Enti con personalità giuridica
– Società di capitali
– Società cooperative
– Società mutue assicuratrici
– SIM, Intermediari finanziari, Società di revisione, Società di investimento
– Associazioni riconosciute
– Fondazioni
– Enti Pubblici Economici
– Enti privi di personalità giuridica
– Società di persone
– GEIE
– Associazioni non riconosciute
– Consorzi
La normativa non si applica invece allo Stato, agli enti pubblici non economici nonché agli enti di rilievo costituzionale.
Le fattispecie di reato commesse da soggetti apicali o comunque sottoposti all’altrui direzione sono previste all’interno del medesimo decreto legislativo. Per esemplificazione possiamo citarle solo per gruppi: reati societari, reati contro la pubblica amministrazione, reati ambientali, reati contro la personalità individuale e transnazionali, reati in materia di salute e sicurezza sul lavoro, delitti informatici e di criminalità organizzata.
Il modello di organizzazione, gestione e controllo
Entrando nel vivo, esaminiamo cosa può mettere in atto l’ente attraverso i suoi organi esecutivi al fine di evitare la responsabilità amministrativa. Il d.lgs. 231/2001 all’articolo 6 prevede, infatti, che l’ente non risponda dei reati commessi da persone fisiche collaboratori, dipendenti, amministratori, etc. se “l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi”. Con l’adozione del modello: a) dovranno essere individuate le attività aziendali nel cui ambito possono essere commessi reati; b) sarà necessario prevedere specifiche procedure, sulla base dell’organizzazione aziendale, dirette a programmare formazione e attuazione delle decisioni aziendali in relazione ai reati da prevenire; c) dovranno essere individuate le modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione di reati; d) dovrà essere introdotto un sistema disciplinare per sanzionare il mancato rispetto delle regole introdotte dal modello.
È opportuno focalizzare l’attenzione sul punto d) per approfondire le strette relazioni che nascono con l’adozione del modello organizzativo di cui al d.lgs. 231/2001 tra organo esecutivo che ne cura anche la diffusione formativa e informativa ed il personale dipendente tenuto al rispetto delle norme tipiche di derivazione collettiva e di quelle di nuova introduzione oggetto della presente trattazione. Due strumenti si affiancano al modello di organizzazione, gestione e controllo, entrambi utili alle fasi di controllo e volti alla riduzione della possibilità che i reati vengano commessi: il Codice Etico ed il Regolamento disciplinare.
Il primo è la carta aziendale comportamentale con cui l’organismo dirigente diffonde all’interno e all’esterno della realtà aziendale i principi cui intende ispirarsi nell’esercizio delle sue attività. È quindi per natura un documento ufficiale aziendale (che però da solo non potrà mai determinare l’esonero da responsabilità dell’ente) approvato dall’organo dirigente che ne stabilisce principi, funzionamento, diffusione e relative conseguenze disciplinari in ordine alla sua disattenzione. Il Codice Etico è rivolto a tutti i portatori di interesse aziendali; ci soffermeremo in ogni caso alla sua applicazione verso il personale dipendente e assimilato, e dirigenziale. Esso ha una molteplice valenza, quella di rafforzare tra il personale aziendale il senso di appartenenza, di sollecitare azioni conformi ai principi comportamentali nonché disciplinari, e quella di informare il personale circa le politiche aziendali mirate ad evitare pratiche illecite e non etiche. I principi più diffusi nei codici etici dei principali gruppi aziendali nazionali si ispirano al rispetto della legalità, all’onestà, equità e correttezza nella gestione societaria, al valore delle risorse umane ed alla integrità della persona, all’imparzialità, alla qualità e sicurezza dei prodotti o servizi erogati. Assicurare l’efficacia del modello significa rispetto del suo contenuto e delle norme previste dal codice etico. Naturalmente qualunque organizzazione, per raggiungere tale risultato, dovrà necessariamente prevedere una regolamentazione disciplinare che, nel caso di enti preesistenti, andrà ad integrare anche quella di origine contrattuale collettiva, e sarà portata a conoscenza del personale dipendente attraverso l’affissione in luogo accessibile a tutto il personale.
La regolamentazione disciplinare contenuta nel Modello organizzativo dovrà prevedere le conseguenze di violazioni in materia di 231 nei confronti non solo del personale dipendente (anche apicale) ma anche di amministratori, consulenti, agenti, intermediari, partner, collaboratori esterni e parasubordinati. Tuttavia ci soffermeremo esclusivamente ad esaminare i rapporti di natura disciplinare tra personale dipendente e datore di lavoro in materia di d.lgs. 231.
Il potere disciplinare si fonda sull’art. 2106 del c.c., ove si stabilisce che la violazione da parte del lavoratore degli obblighi di diligenza (art. 2104) e di fedeltà (art. 2105 c.c.) previsti dal codice disciplinare potrà essere sanzionata dal datore di lavoro mediante l’applicazione di sanzioni disciplinari proporzionate alla gravità dell’infrazione. L’art. 7 della L.300 del 1970 (Statuto dei lavoratori) regolamenta il procedimento disciplinare, prevedendo il diritto alla difesa da parte del lavoratore attraverso un contradditorio. Anche in caso di procedure disciplinari per violazioni del modello organizzativo, del codice etico o delle prescrizioni dell’Organismo di Vigilanza, saranno applicate le previsioni normative di cui alla L.300/1970 pena la nullità del licenziamento per contrarietà alle norme imperative, e le formalità provenienti dalla contrattazione collettiva applicata.
Art. 2104 c.c. Diligenza del prestatore di lavoro. Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale. Deve inoltre osservale le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende.
Art. 2105 c.c. Obbligo di fedeltà. Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.
Art. 2106 c.c. Sanzioni disciplinari. L’inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell’infrazione e in conformità delle norme corporative.
Art. 7 L. 300/1970. Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano. Il datore di lavoro non può adottare nessun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa. Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. Fermo restando quanto disposto dalla legge 15 Luglio 1966, num. 604, non possono essere disposte sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro; inoltre la multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di dieci giorni. In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa. Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e ferma restando la facoltà di adire l’autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi, anche per mezzo dell’associazione alla quale sia iscritto ovvero conferisca mandato, la costituzione, tramite l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio di conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell’ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio. Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall’invito rivoltogli dall’ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l’autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio. Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione.
Si terrà conto della gravità della violazione applicando sanzioni proporzionali previste dalla contrattazione collettiva che ovviamente non può prevedere tutte le infrazioni possibili, ma solo alcune esemplificazioni. Il richiamo verbale piuttosto dell’ammonizione scritta, la multa piuttosto che la sospensione o, ancora oltre, il licenziamento per giusta causa potranno essere le conseguenze per precise violazioni del modello, delle procedure in esso contenute, del codice etico o delle disposizioni dell’Organismo di Vigilanza. Saranno inoltre oggetto di considerazione, per commisurare la sanzione alla violazione, i livelli di responsabilità del soggetto che ha commesso l’infrazione, nonché l’eventuale recidiva. Quanto al primo aspetto, anche nei casi di infrazioni o violazioni da parte di soggetti apicali, quali ad esempio un dirigente con delega specifica in materia di tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, è consigliabile il rispetto della procedura disciplinare di cui all’art. 7 L.300/1970. Negli ultimi anni, infatti, si è consolidata una giurisprudenza favorevole all’obbligatorietà dell’applicazione della procedura disciplinare di cui alla previsione della L. 300 del 1970, nei confronti dei dirigenti aziendali, pena l’annullamento dell’intero procedimento.
Alla base di una corretta procedura disciplinare deve, tuttavia, esserci:
La conoscenza da parte degli interessati della regolamentazione disciplinare e di chi detiene il potere disciplinare. L’adozione di modelli di organizzazione, gestione e controllo di cui al d.lgs. 231/2001, va opportunamente diffusa attraverso la formazione e informazione aziendale, certificata e tracciata attraverso la sottoscrizione di verbali. Inoltre, modifiche indispensabili ai regolamenti disciplinari già presenti in azienda, per l’inserimento delle norme in materia di responsabilità amministrativa, vanno opportunamente affisse nei luoghi di lavoro in quanto l’affissione costituisce lo strumento idoneo ad assolvere agli obblighi di pubblicità previsti dall’art. 7 della L. 300/70. Opportunamente l’ente renderà noto ai propri dipendenti chi detiene il potere disciplinare, di conseguenza il potere di comminare sanzioni, quando tale potere è oggetto di delega e/o procure.
La garanzia del diritto di difesa attraverso il contradditorio. La garanzia è rispettata se il potere disciplinare si manifesta con la contestazione dell’infrazione, la contestuale richiesta di giustificazioni e l’assegnazione di un congruo lasso temporale (lo Statuto dei lavoratori lo prevede in 5 giorni ma la contrattazione collettiva può modificare tali termini innalzandoli), la successiva valutazione delle giustificazioni e l’applicazione di sanzioni.
L’immediatezza della contestazione. Nozione elastica: un periodo di tempo adeguato tra la conoscenza da parte del datore di lavoro dei fatti accaduti e la relativa contestazione. Anche in questo caso alcuni CCNL stabiliscono dei limiti (es. nel CCNL Trasporti e Spedizioni 20gg è il tempo limite per la contestazione dalla data in cui il datore di lavoro è venuto a conoscenza dei fatti contestati).
La proporzionalità della sanzione. Come si diceva in precedenza, generalmente i contratti collettivi prevedono una esemplificazione delle infrazioni commesse e la potenziale relativa sanzione da applicare. A titolo di esempio, potrebbe incorrere nell’ammonizione scritta: a) il lavoratore che viola una procedura interna prevista dal Modello organizzativo di cui al d.lgs. 231/2001 senza gravi conseguenza specifiche per l’ente; b) il preposto che ometta di segnalare lievi irregolarità commesse da altri dipendenti. Potrebbe incorrere in una multa il lavoratore che violi le procedure del Modello organizzativo quando tale infrazione, generata da un comportamento colposo e/o negligente, arrivi a minare anche solo potenzialmente l’efficacia del modello stesso o in caso di recidiva per le mancanze sanzionate con richiamo scritto o verbale. Il lavoratore potrà essere licenziato per giusta causa quando il suo comportamento ha determinato l’applicazione, a carico dell’ente, delle sanzioni interdittive previste dal d.lgs. 231/2001 tali da far venire meno la fiducia sulla quale è basato il rapporto di lavoro e da non consentire comunque la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto stesso.
Verso chi commette violazioni del Modello organizzativo l’ente ha, inoltre, facoltà di richiedere il risarcimento del danno commisurato all’intenzionalità del comportamento, alla gravità degli effetti ed alla funzione rivestita all’interno dell’ente.
In conclusione si rimarca la natura del sistema disciplinare previsto dal Modello organizzativo di cui al d.lgs. 231/2001, la sua adeguatezza a sanzionare le violazioni delle norme del codice etico e delle altre indicazioni del Modello, la caratteristica del potere disciplinare che compete al datore di lavoro ma anche l’indispensabile fase di formazione e informazione verso tutti i soggetti coinvolti nelle procedure aziendali volte ad eliminare o ridurre i rischi di commissione dei reati di cui al decreto 231 e quindi verso anche il personale dipendente.
*ODCEC Lanciano
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