L’aggregazione ed il rischio del centro unico di imputazione del rapporto di lavoro
di Massimiliano Dell’Unto *
La pandemia da Covid-19 ha indotto significative modifiche (finanche veri e propri stravolgimenti) nelle dinamiche delle attività di imprese e professionisti. I soggetti economici hanno subito conseguenze dirette dell’emergenza sanitaria dovendo implementare meccanismi di tutela della salute sui luoghi di lavoro; ma anche conseguenze indirette, quelle economiche: le più pesanti. Il lockdown e la riorganizzazione di processi produttivi hanno reso carta straccia qualsiasi tipo di previsione economico finanziaria: dal semplice “conto della serva” del piccolissimo imprenditore all’articolato business plan pluriennale della media e grande impresa, è cambiato l’orizzonte temporale, le marginalità, le capacità produttive, i costi fissi. Un azzeramento della gestione e controllo mai vissuto prima; analisi SWAT completamente mutate ed analisi costi-benefici da ricalcolare (con non poca difficoltà).
La straordinarietà dell’evento ha reso impossibile al momento una risposta ponderata e strutturata da parte delle attività economiche. L’esigenza di intraprendere rapidamente la Fase 2 ha portato i soggetti economici a riavviare le loro attività pensando a soluzioni di breve termine per ottemperare alle disposizioni anti contagio. Solo le imprese di maggiori dimensioni si stanno già auto riprogettando per affrontare il nuovo futuro. Per le PMI c’è invece il concreto rischio che la ricerca frenetica quanto probabilmente infruttuosa del fatturato perso comporti scelte riorganizzative di italica fantasiosità. Questi soggetti hanno infatti meno conoscenza e propensione all’utilizzo di strumenti evoluti di dinamismo aziendale. La spinta proveniente da più parti per indurre processi aggregativi di vario genere ha sicuramente elementi positivi di rinascita per il tessuto imprenditoriale del nostro Paese ma questi possono esser vanificati se questo “assembramento economico” non è governato secondo una corretta strategia e con gli adeguati strumenti.
In questo contesto preme evidenziare come l’aggregazione, in tutte le sue forme, possa andare a coinvolgere le risorse umane presenti nelle aziende coinvolte: quindi i lavoratori dipendenti di imprese e studi professionali. Se nella maggior parte dei casi questo non desta particolari problematiche, quando gli attori sono PMI o lavoratori autonomi potrebbero realizzarsi soluzioni che nella sostanza differiscono dal dato formale con potenziali negatività per tutti i soggetti coinvolti. L’obiettivo di indurre la curva dei costi fissi a pendenze più sostenibili; la ricerca di una nuova marginalità che consenta di mantenere efficienza economica hanno e avranno un ruolo determinante nel motivare aggregazioni fra soggetti economici settorialmente compatibili. Esempi che già viviamo sono quelli di professionisti che accentrano la loro struttura fisica dividendone i costi, anche quelli del personale dipendente con funzioni generiche (la classica situazione di studi medici che condividono locali e servizi di segreteria). Altri esempi che stiamo iniziando a valutare possono esser quelli nel settore del legno e arredamento dove attività di falegnameria dedite alla sola creazione di nuovi prodotti si avvicinano e si integrano fisicamente con altre che operano in ambito del restauro, attuando una ottimizzazione delle risorse attraverso l’utilizzo comune di attrezzature e di lavoratori dipendenti. Ulteriori e similari considerazioni potrebbero esser fatte su altri settori e su ipotesi consortili o anche di gestione di filiere.
Il datore di lavoro è normativamente una delle due parti del contratto di lavoro; quella che tendenzialmente coincide con il beneficiario delle prestazioni rese dal lavoratore dipendente. Già questo primo aspetto presenta varianti previste dalla legge e che ad oggi sono facilmente individuabili nel distacco e nella somministrazione. La necessità pragmatica di dare talvolta flessibilità al sinallagma del contratto di lavoro ha recentemente trovato forma nella codatorialità prevista nei contratti di rete ed in agricoltura. Nel primo caso in particolare siamo di fronte ad uno strumento evoluto, potenzialmente capace di soddisfare esigenze di gestione del personale contemporanee e complementari a più soggetti economici; di fatto, siamo tutt’oggi penalizzati nella sua implementazione da poca conoscenza della sua architettura. Suggerisco in tal senso la rilettura dei vari contributi ospitati da questa rivista.
Oltre la formale codatorialità prevista nei casi specifici, la gestione condivisa, parallela o alternata di una risorsa umana da parte di diversi soggetti economici di cui uno soltanto può esser il datore di lavoro espone imprese e studi professionali a coinvolgimenti negativi al verificarsi della risoluzione patologica del contratto di lavoro.
È la giurisprudenza che ci indica l’archetipo in cui il rapporto di lavoro non è riferibile ad un solo datore di lavoro e le conseguenze che ne derivano. Occorre precisare subito che i giudici, di merito quanto di legittimità, si trovano normalmente ad esaminare la questione nell’ambito di collegamenti societari ed è quindi questa che andremo ora sinteticamente a rappresentare. L’intento però del presente contributo è quello di utilizzare la suddetta fattispecie per attenzionare fenomeni improvvisati di codatorialità in realtà minori, fra loro autonome, che non seguono una strategia economica e giuridica preordinata tanto da generare nella fase di avvio post Covid-19 rigidità gestionali e passività potenziali evitabili solo con attenta formalizzazione delle dinamiche e rispetto delle norme di legge.
La frammentazione di attività fra più soggetti giuridici distinti può generare incertezze circa l’individuazione univoca delle parti del contratto di lavoro. È infatti “giuridicamente possibile concepire un’impresa unitaria che alimenta varie attività formalmente affidate a soggetti diversi”. Si va configurando quindi un centro unico di imputazione del rapporto di lavoro dove se nella posizione del lavoratore c’è sempre un’unica persona, in quella del datore di lavoro esistono anche due o più soggetti economici.
Affinché questa possibilità divenga un’architettura riconosciuta dal giudice non rileva automaticamente la presenza del collegamento economico funzionale tra i soggetti societari. Elemento questo di facile prova da parte del lavoratore che agisce in giudizio per l’ottenimento del riconoscimento dell’unico centro di riferimento; ma anche naturalmente insito nel concetto di gruppo societario e nei suoi elementi di direzione e coordinamento. Quindi di per sé inidoneo a far disconoscere l’autonomia giuridica riconosciuta dall’ordinamento ai singoli soggetti.
L’indagine richiesta dagli ermellini deve aver ad oggetto l’utilizzo dello schema societario. Solo qualora esso generi una simulazione o una preordinazione in frode alla legge è possibile ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro tale da far estendere gli obblighi del contratto oltre il formale datore di lavoro coinvolgendo gli altri soggetti societari.
Il fatto che venga riconosciuto un uso improprio dei collegamenti societari tale da mascherare il soggetto effettivamente utilizzatore della prestazione del lavoratore è subordinato alla sussistenza di precisi requisiti individuati dalla consolidata giurisprudenza di Cassazione. Questi indici semantici di codatorialità sono: a) l’unicità della struttura produttiva ed organizzativa; b) l’integrazione tra le attività esercitate dalle diverse imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune; c) il coordinamento tecnico amministrativo e finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; ed ovviamente d) l’utilizzazione contemporanea della prestazione del lavoratore da parte delle diverse imprese del gruppo.
L’accertamento di queste condizioni fattuali induce una serie di possibili conseguenze che attraggono i soggetti formalmente estranei dentro il rapporto di lavoro. Le società appartenenti al gruppo sono ricondotte nel centro unico di imputazione creato in sede di giudizio e le valutazioni sulle vicende del rapporto di lavoro si andranno a svolgere su un perimetro molto più ampio. Si comprende bene come il passaggio dal datore di lavoro formale ad un soggetto unico aggregato possa modificare le dinamiche del licenziamento del dipendente. Potrebbero dover esser considerati diversamente la soglia dimensionale ai sensi della legge n. 300 del 1970 (articolo 18) nonché le possibilità di attuazione dell’obbligo di repechage. Con il centro unico di imputazione si rendono solidali fra i soggetti aggregati anche le obbligazioni del datore di lavoro con impatti economico finanziari anche significativi. Attualizziamo poi questo aspetto collegando la responsabilità solidale tra i sostanziali co-datori di lavoro ad ipotesi di risarcimento di danni, anche per condotte illecite, e riflettendo sulla questione della responsabilità del datore di lavoro per eventuali contagi da Covid-19 nel personale dipendente.
Nel momento di ricostruzione economica post pandemia, ci troveremo ad implementare modelli societari tanto per conservare situazioni aziendali in crisi, quanto per crearne di nuove volte a cogliere nuovi business. Impostare l’ingegneria societaria non soltanto su elementi contabili e fiscali ma anche su dinamiche di gestione delle risorse umane permetterà la realizzazione di schemi stabili nel lungo periodo.
Supportare l’aggregazione fra datori di lavoro con adeguata attenzione alla definizione di una sorta di “distanziamento sociale” anche tra i datori stessi diventa fondamentale anche dove i collegamenti societari non esistono. In questi casi infatti, la pragmaticità degli operatori economici genera soluzioni sicuramente efficaci nel breve periodo ma che consolidano prassi formalmente errate, spesso sconosciute allo stesso consulente. Gli indici giurisprudenziali di cui abbiamo detto andranno declinati in realtà diverse da quelle per cui sono stati pensati non senza difficoltà interpretativa. Uno sforzo, tecnico ma anche culturale, necessario affinché le politiche del personale dipendente possano esser condotte nel miglior modo possibile in aderenza alle dinamiche aziendali che la specifica idea di aggregazione si prefigge, evitando che la frettolosa costruzione di interazioni fra imprese o studi professionali possa generare negatività potenziali (economiche quanto gestionali) rilevabili solo nel lungo periodo.
*Odcec Pisa
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