L’apprendistato dopo la Legge 78/2014
di Fabiano D’Amato e Massimo De Vita*
La legge 16 maggio 2014, n. 78, di conversione del decreto legge 20 marzo 2014, n. 34, recante “disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese”, ha apportato alcune modifiche alla disciplina dell’apprendistato, ed in particolare al d.lgs. 167/2011, che dovrebbero favorirne la diffusione.
Senza stravolgere lo status quo normativo, l’intervento del legislatore va nella direzione della maggiore semplicità di utilizzo del contratto di apprendistato, da parte dei datori di lavoro potenzialmente interessati, anche al fine di ampliarne la “platea”.
Pur confermando, nella sostanza, che l’apprendistato è la principale via di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, ad un primo esame della norma non sfugge, però, come, in sede di conversione in legge, alcune delle previsioni del decreto legge 34/2014, tese a ridurre gli adempimenti ed i limiti alla stipula di contratti di apprendistato, siano state riviste, introducendo di nuovo, anche se in misura meno stringente, talune restrizioni previste dalla normativa previgente.
Una prima importante innovazione introdotta dalla legge 78/2014, riguarda la platea dei datori di lavoro che possono accedere all’istituto dell’apprendistato. Ante novella, infatti, secondo quanto innovato dalla cosiddetta Riforma Fornero, per poter stipulare un contratto di apprendistato, il datore di lavoro era tenuto ad aver confermato almeno il 30% degli apprendisti il cui contratto fosse cessato nei 36 mesi precedenti la nuova assunzione, percentuale che saliva al 50% a partire dai nuovi contratti stipulati successivamente al 18 luglio 2015. Tale limitazione doveva essere applicata ai datori di lavoro con un organico pari o superiore a 10 dipendenti. La legge 78/2014, da un lato riduce la percentuale di conferma a tempo indeterminato, al termine del periodo di apprendistato, portandola ad “almeno il 20% degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro”, e dall’altro individua i datori di lavoro interessati a tale limite nei soggetti che occupano almeno 50 dipendenti, riducendo così il numero di soggetti vincolati da questo limite. In ogni caso, i contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali maggior-mente rappresentative sul piano nazionale, possono fissare limiti diversi da quelli previsti dalla legge.
E’ qui ben chiara, come dicevamo, l’intenzione di semplificare l’utilizzo del contratto di apprendistato, ma è agevole anche riscontrare una prima “revisione”, operata con la legge di conversione, di quanto originariamente statuito con il decreto legge 34/2014, che esplicitamente provvedeva a stralciare tali obblighi di conferma dal testo unico dell’apprendistato, recando una semplificazione ancora maggiore di quella stabilita in sede di conversione.
Un altro aspetto sul quale l’originaria stesura della norma lasciava trasparire un maggior intento di semplificazione, si ravvisa nella cancellazione della forma scritta del piano formativo individuale, originariamente da redigere su documento separato rispetto al contratto di lavoro.
Problemi nella concreta applicazione di questa semplificazione si riscontravano, però, con riferimento al ruolo del piano formativo nella corretta identificazione e definizione della formazione da erogarsi all’apprendista, e questo anche in fase di attività ispettiva, al fine di determinare, da parte degli organi preposti, se la formazione di competenza del datore di lavoro, fosse o meno correttamente erogata.
In sede di conversione del decreto legge 34/2014 è stato introdotto nuovamente il piano formativo individuale, ma all’interno del contratto, ed in forma cosiddetta semplificata. Per la determinazione di questo piano formativo viene fatto riferimento alla possibilità di riferirsi a formulari e modelli previsti dalla contrattazione collettiva e dagli enti bilaterali; val la pena di ricordare, con riferimento a questi ultimi, che non è da considerarsi vincolante per la corretta stipulazione di un contratto di apprendistato, il parere di conformità da essi eventualmente emesso o la formale richiesta del medesimo.
Rimanendo in argomento della formazione, con specifico riferimento all’apprendistato di tipo professionalizzante, altra importante questione si è aperta sulla cosiddetta formazione di base o trasversale, per la quale, inizialmente, il decreto legge 34/2014, prevedeva: “la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere, svolta sotto la responsabilità della azienda, può essere integrata, nei limiti delle risorse annualmente disponibili, dalla offerta formativa pubblica, interna o esterna alla azienda, finalizzata alla acquisizione di competenze di base e trasversali per un monte complessivo non superiore a centoventi ore per la durata del triennio e disciplinata dalle Regioni sentite le parti sociali e tenuto conto dell’età, del titolo di studio e delle competenze dell’apprendista”. La locuzione “può essere integrata”, non ha mancato di sollevare dubbi, in particolare sulla obbligatorietà, o meno, della erogazione di tale formazione, in assenza di offerta regionale, da parte del datore di lavoro. Questo dubbio è stato risolto in sede di conversione, in quanto la locuzione “può essere integrata” è stata sostituita dalla più lapidaria “è integrata”, con la successiva specifica che tempi e modalità della formazione devono essere comunicati al datore di lavoro entro 45 giorni dalla comunicazione obbligatoria di instaurazione del rapporto di lavoro. E’ la stessa comunicazione obbligatoria di assunzione, quindi, valida a far decorrere i 45 giorni per l’adempimento sopra descritto. Curioso, in questo caso, che non si faccia riferimento all’inizio del rapporto di lavoro, posto che la comunicazione può, a norma di legge, avvenire anche diversi giorni prima dell’effettiva decorrenza del rapporto di apprendistato. Non è però precisato quali siano le conseguenze in caso di mancata comunicazione da parte della Regione al datore di lavoro nei tempi previsti, in particolare con riferimento agli obblighi, per quest’ultimo, concernenti la formazione di tipo trasversale.
Sull’argomento dell’offerta formativa regionale i commenti sono – al momento – ancora pochi, segnaliamo solo che, per alcuni, tale offerta si intende disponibile se approvata e finanziata dalla pubblica amministrazione competente, così che il datore di lavoro possa farvi ricorso entro sei mesi dalla data di assunzione dell’apprendista. L’esame combinato della (riformata) disciplina dell’apprendistato con la legge 9 agosto 2013 n. 99, di conversione del decreto legge 28 giugno 2013 n. 76, recante “primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, ecc.”, porterebbe alla conclusione che la mancata comunicazione (risposta) da parte della Regione entro 45 giorni dall’assunzione, “libererebbe” il datore di lavoro dall’obbligo di effettuare la formazione pubblica, obbligo che cesserebbe del tutto se la comunicazione non dovesse essere notificata entro sei mesi dall’instaurazione del rapporto di lavoro, a tal fine vale il giorno di notifica e non quello della spedizione.
Risulta però poco chiaro, a parere di chi scrive, il motivo per cui sia stato introdotto un termine più stringente (45 giorni appunto) per l’adempimento di cui sopra da parte degli enti regionali preposti, se tale termine risulta poi comunque “derogabile”, in combinazione con le linee guida previste dalla Riforma Giovannini (legge 9 agosto 2013 n. 99, di conversione del decreto legge 28 giugno 2013 n. 76).
La Regione, inoltre, in base al novellato d.lgs. 167/2011, non deve solo rendere disponi- bile entro 45 giorni l’offerta formativa, ma comunicare anche tempi e modalità della stessa; l’obbligo introdotto dalla legge 78/2014 appare, quindi, più ampio della mera “disponibilità” dell’offerta formativa pubblica. Sull’argomento è intervenuto recentemente il Ministero del lavoro (Cfr. Circolare n. 18 del 30 luglio 2014), affermando che nel caso in cui la Regione non adempia al suddetto obbligo di risposta al datore di lavoro entro 45 giorni, quest’ultimo non può essere sanzionato per l’omessa formazione trasversale (pubblica), ad es. in fase di verifica ispettiva.
Ulteriore agevolazione cui si vuole fare cenno, riguarda la retribuzione, stabilita nella percentuale minima del 35%, per le ore di formazione, nell’ambito dell’apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale. Tale retribuzione ridotta per le ore di formazione, evidentemente mirata a rendere più conveniente l’istituto per il datore di lavoro, era inizialmente prevista in misura fissa (il 35% appunto). E’ stata, in sede di conversione, riconsiderata come limite minimo, mantenendo la facoltà per i contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati maggiormente rappresentativi sul piano nazionale, di derogare a tale misura.
Per concludere, si ritiene utile richiamare l’importanza, per poter godere delle agevolazioni contributive per gli apprendisti, che in taluni casi azzerano la contribuzione a carico del datore di lavoro, della nuova normativa sul cosiddetto “DURC INTERNO”, che implica verifiche automatiche da parte dell’INPS sulla regolarità della situazione contributiva del datore di lavoro, disponendo la revoca di eventuali agevolazioni contributive in assenza di tale regolarità.
* Odcec Roma
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