Lavoro autonomo e sussidiarietà
di Emiliano Drazza* e Filippo Mengucci**
Il Jobs act degli autonomi è legge! Il Senato, con 158 voti favorevoli, 9 contrari e 45 astenuti, ha definitivamente approvato il disegno di legge 2233-B recante importanti misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale. Le nuove norme si applicheranno ai lavoratori autonomi, compresi i liberi professionisti iscritti agli Albi professionali, e – nel complesso – costituiscono un provvedimento realmente innovativo, che punta a sostenere e valorizzare il lavoro autonomo.
Entro 12 mesi il Governo dovrà esercitare la delega prevista dalla legge di prossima pubblicazione e identificare, nell’attività professionale, ciò che è “attività sussidiaria” alla pubblica amministrazione (PA), quindi attività pubblica. Ad un cittadino ignaro ciò potrebbe apparire come una riorganizzazione dello Stato che, decidendo di “esternalizzare” in futuro una parte della sua attività, stabilisca quali adempimenti (lavori) possano essere trasferiti nel privato per “sussidiarietà”.
Ma i professionisti sanno bene che l’art. 5 del Jobs act degli autonomi arriva dopo anni di trasferimenti già attuati in modo unilaterale, solo nell’interesse della PA e senza il benché minimo riconoscimento di ruolo del professionista, come avemmo modo di approfondire nell’e-book pubblicato dall’ADAPT University Press della Fondazione Marco Biagi, nella monografia n. 1/2015 “Il Professionista Intermediario: nuovi diritti tra telelavoro e pubblica amministrazione”, cui rimandiamo chiunque voglia approfondire la questione della “sussidiarietà” svolta dal professionista intermediario, sotto il profilo etico, sociale e giuridico.
A distanza di 15 anni circa, quello che inizialmente era il semplice utilizzo di un canale informatico dedicato è ora uno strutturato sistema che, attraverso il web, vede il professionista impegnato assiduamente e giornalmente, con mezzi e strumenti propri da aggiornare continuamente.
L’attività professionale non si esaurisce più nel rapporto cliente-professionista, ma fra questi soggetti si è realizzata una imponente attività di terzietà che il professionista svolge non solo per il cliente ma anche per la pubblica amministrazione, attività la cui natura fino ad oggi è stata volutamente ignorata e che ben può definirsi di collaborazione in telelavoro autonomo. Questa attività contempla sia la funzione del professionista per una alfabetizzazione di massa nell’uso dello strumento informatico oltre che per la digitalizzazione di tutti gli atti e i processi amministrativi, sia uno stringente quadro di regole con cui la PA prima “ingaggia” e poi “coordina” i professionisti in modo specifico e continuativo, anche con la previsione di sanzioni pesanti quando lo stesso non assicuri il grado di qualità attesa nella trasmissione dei dati richiesti o nell’incombenza imposta; cosa che comporta per il professionista un enorme investimento strumentale e di tempo. Qualità a costo zero, che la PA non è mai stata in grado di ottenere dal suo organico fino a che tali attività erano svolte dal personale interno, dal quale non ha mai preteso un grado di qualità paragonabile a quello attuale considerato oggi standard o nei confronti del quale non ha mai previsto, ad esempio, sanzioni economiche per il mancato rispetto di una scadenza.
L’archetipo adottato dalla PA per questa modernizzazione tecnologica è il CAD (codice amministrazione digitale) del 2005, ora previsto dal decreto legislativo 179/2016, recante modifiche e integrazioni all’analogo codice di cui al decreto legislativo 82/2005, in attuazione dell’art. 1 della legge 124/2015 (Gazzetta Ufficiale 13 settembre 2016 n.214) – in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche e dalle successive modifiche legislative, che ha accelerato notevolmente l’introduzione della digitalizzazione quale aspetto fondamentale della odierna sussidiarietà del professionista; ma ha escluso a priori ogni rapporto con il professionista, nonostante quest’ultimo rappresenti il soggetto attuatore della transizione della PA dall’organizzazione “documentale e a prestazione interna” a quella “digitale a input esterno”. Coinvolgimento adottato, per convenienza della stessa PA, solo nella fase di inizializzazione dei processi per evidenziare gli aspetti dinamici, di risparmio economico (sempre della PA). Ma la realtà ha dimostrato che la semplificazione ottenuta con la digitalizzazione ha comportato per il professionista intermediario una enorme complicazione e dispendio di tempo, energie fisiche, economiche e di vita familiare; e per tale impegno, materiale e immateriale,non ha mai avuto risposte chiare sul suo ruolo e sui suoi diritti di lavoratore autonomo; che non possono essere individuati solo in termini di “indennizzo di malattia e maternità”, ma devono trovare risposta anche in termini di quantificazione economica della sussidiarietà. L’equo compenso, che non ha trovato spazio nel Jobs act degli autonomi, dovrà essere in grado di misurare – in termini economici – oltre il servizio reso al cliente anche il servizio e il grado di intermediazione reso alla PA. È con grande favore che devono essere prese le recenti dichiarazioni sulla necessità di un equo compenso per la prestazione professionale da parte dei vertici del Comitato Unitario Permanente degli Ordini e Collegi Professionali (CUP) e del Consiglio nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, perché l’equo compenso dovrà riguardare tutti i soggetti per i quali il professionista renda la sua prestazione, compresa la PA per le attività di sussidiarietà. Al riguardo ci permettiamo di ricordare che illustrammo questa nostra convinzione già nella monografia pubblicata nel 2014, dopo tre anni di approfondimento e studio del disagio dei professionisti, e individuammo la risposta a questa esigenza in uno “statuto dell’intermediario” quale strumento per la contrattualizzazione del rapporto del professionista sia con il cittadino sia con la PA. Contrattualizzazione in cui possano trovare applicazione, anche per il lavoratore autonomo, i principi costituzionali dell’art. 1 e 35 e la tutela del credito rappresentato dall’onorario, con norme positive equivalenti a quelle previste per la retribuzione nel lavoro subordinato, il recepimento della disciplina europea del telelavoro autonomo da applicare all’intermediazione svolta in favore della PA, la definizione del corretto inquadramento giuridico del rapporto di collaborazione con la PA (all’epoca della pubblicazione il d.lgs. 276/2003, oggi il d.lgs. 81/2015) e il diritto di partecipazione dei rappresentanti delle professioni negli enti richiedenti strutturalmente l’apporto della professionalità dell’intermediario.
Lo studio sul disagio dei professionisti sull’utilizzodellatecnologiadigitale, sviluppato nell’ultimo decennio, ha confermato la consapevolezza degli stessi professionisti sul loro ruolo e sulla loro funzione nel sistema “digitale”. È chiaro che il crescente impiego di tecnologie nell’esercizio dell’attività impone al Sistema delle professioni di migliorare di pari passo, salvaguardando i livelli reddituali e occupazionali, modificando – ove occorra – le modalità di svolgimento delle prestazioni e adottando soluzioni che garantiscano le tenuta dei sistemi previdenziali, evitando effetti distorsivi analoghi a quelli conosciuti nel mondo del lavoro subordinato, per il combinato disposto di “nuova tecnologia e globalizzazione”.
* Avvocato del Foro di Roma;
** Avvocato e Commercialista in Roma.
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