Le sanzioni dirette ai commercialisti: un’inutile anomalia giuridica
di Domenico Calvelli*
Occorre commentare brevemente quanto previsto dalla recente normativa in merito ad eventuali patologie nell’apposizione del visto di conformità da parte del commercialista (ad esempio il 730 precompilato): oltre alla sanzione vera e propria, spetterebbe al commercialista pagare imposte ed interessi propri del contribuente. Come è stato fatto osservare in audizione presso il Senato della Repubblica da parte del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, il rapporto tributario “traslerebbe” da contribuente a professionista, con buona pace del principio costituzionale della capacità contributiva che recita, lo ricordiamo, all’art. 53 comma primo: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Lo stesso Statuto Albertino del 1848, che precedette di un secolo la costituzione repubblicana, sanciva l’obbligo dei regnicoli di contribuire ai carichi dello Stato in proporzione dei propri averi. “Della propria capacità contributiva”, “dei propri averi”, non sicuramente di quelli altrui… Il principio di “sostituzione” del debitore d’imposta appare in questo modo una vera e propria aberrazione giuridica; né si comprende quale sia la ratio insita in detto provvedimento o il bene giuridico da tutelare, se non esclusivamente generare gettito e garantirsi una più ampia platea di “obbligati tributari”, il tutto però in forte odore di incostituzionalità. Per tacere del rischio di inassicurabilità di sanzioni dirette ai professionisti in forza del principio di afflittività delle stesse, seppur l’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni in un proprio parere abbia precisato la natura risarcitoria e non sanzionatoria delle somme dovute. Infine è inevitabile richiamare i principi di ragionevolezza e di proporzionalità. Il rispetto del principio di ragionevolezza impone che, in riferimento al caso concreto, la Pubblica Amministrazione utilizzi un provvedimento proporzionato alle finalità da conseguire, supportato da adeguata motivazione e che tenga conto dell’interesse primario, degli interessi con cui questo può venire in conflitto e di tutte le circostanze di fatto; la Pubblica Amministrazione è cioè tenuta ad adottare la soluzione idonea e necessaria, compor- tante il minor sacrificio possibile per le posizioni dei privati coinvolti. Quanto al principio di proporzionalità, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che detto principio, di derivazione comunitaria, non permette all’Amministrazione pubblica di adoperare atti restrittivi della sfera giuridica dei privati in modo non proporzionato all’interesse pubblico. Un’anomalia giuridica vera e propria insomma. E tutto questo senza sterili polemiche di categoria, ma nell’ottica di porre fondate osservazioni tecnico- giuridiche finalizzate ad una modificazione ragionevole della norma. I commercialisti continueranno ad essere il ponte naturale tra il pubblico ed il privato, per questo e nell’ottica del funzionamento generale del sistema vorrebbero essere ascoltati.
* Presidente ODCEC di Biella
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