L’editoriale

di Lorenzo Di Pace*

Con l’approvazione del tanto atteso decreto attuativo sul contratto a tutele crescenti, sì è dato l’avvio al primo tassello della riforma del lavoro voluta fortemente dall’attuale Presidente del Consiglio, che dovrebbe caratterizzare il 2015 come l’anno in cui le imprese “non avranno più alibi normativi” per evitare o differire le assunzioni di personale dipendente a tempo indeterminato! Di contro, come afferma la leader della CGIL, si tratterebbe di una riforma talmente penalizzante ed ingiusta che potrebbe far passare alla storia il 2015 come l’anno della fine del contratto a tempo indeterminato, quindi, senza alcun concreto incremento occupazionale.

Ma alla fine dell’anno 2015 chi sarà smentito dai fatti avrà il coraggio di dimettersi? Oppure finirà “all’italiana”, dove tutti avranno vinto, generando ancora più sconcerto nei cittadini?

Ci auguriamo che sarà premiata l’iniziativa del Presidente del Consiglio, basata sulla riduzione dei contributi nei primi tre anni di lavoro. Anche se lo stesso Presidente sembra trascurare il fatto che, quasi sempre, gli imprenditori licenziano il personale non per superficialità o crudeltà sociale, ma perché non riescono più ad impiegarlo in base a principi di efficienza ed efficacia gestionale, né a pagarlo regolarmente, a causa della perdurante stagnazione del mercato e dello stratosferico peso delle imposte sul reddito di lavoro autonomo e di impresa. Nel contempo, rileviamo che, nella situazione straordinaria che sta vivendo il Paese, tutte le rigidità e gli estremismi, non ultimi quelli di talune organizzazioni sindacali, non aiutano la ripresa economica.

E’ evidente che, in un mondo in continua evoluzione, la tutela degli interessi dei lavoratori e di coloro che aspirano a diventarlo, richiede nuove strategie nonché iniziative diverse, almeno in parte, da quelle praticate fino ad oggi. In un Paese che ha saputo darsi, più di quarant’anni or sono, norme esemplari a tutela della libertà e della dignità dei lavoratori, basti ricordare l’art. 1 della legge 20 maggio 1970, n. 300 “I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge”, non ci sarà mai spazio per la “compressione dei diritti”, ma, analizzando in modo critico la situazione attuale e le sue prevedibili evoluzioni, si capisce che c’è molto da fare e, soprattutto, che c’è bisogno del contributo di tutti!

Solo alla “alla fine della fiera” sapremo se i nuovi provvedimenti avranno raggiunto gli obiettivi previsti, ma fin d’ora possiamo dire che non ci interessa chi, tra Renzi e Camuso, festeggerà a fine anno, perché qui chi vince o chi perde è l’Italia e l’importante è:

  • che la nostra nazione si risollevi;
  • che i nostri giovani non debbano emigrare per cercare lavoro o per realizzare le loro idee, che sono molto spesso in- novative e meriterebbero di essere apprezzate e valorizzate in casa;.
  • che la gente torni a consumare e l’ottimismo a regnare, assieme ad una buona dose di entusiasmo;
  • che le famiglie riescano ad “arrivare fi- no alla fine del mese”;
  • che le tasse tornino nell’alveo della decenza;
  • che gli imprenditori non sia costretti a chiudere le aziende, ma che possano impegnarsi a produrre ricchezza, magari con più onestà e serietà di quanto fatto in passato;
  • che i nostri nonni non debbano essere più una fonte economica per far quadrare i conti famigliari, ma un esempio di saggezza con valori di insegnamento ben più sacri che profani;
  • che le nostre donne possano serena- mente pensare alla gravidanza, senza la paura di essere non tutelate o discriminate sul lavoro.

Tutto questo interessa noi come cittadini e soprattutto interessa noi come commerciali- sti che della professione abbiamo fatto la nostra vita, sacrificando i nostri affetti più cari, pur di essere al fianco dei nostri clienti, in uno Stato sempre meno “di diritto”, con il quale ogni giorno ci confrontiamo ed al quale dedichiamo, in maniera gratuita, il nostro lavoro, ben oltre il ragionevole!

Noi commercialisti non sappiamo minima- mente cosa significano le tutele crescenti, ora- mai di crescente vediamo solo gli adempi- menti che di mese in mese si abbattono inesorabilmente sui nostri studi e nemmeno l’ottenimento di un importante diritto, come quello allo sciopero per i professionisti, costituisce un’ancora di salvezza o un ausilio per rivendicare almeno il diritto al tempo libero del commercialista.

Nel caso in cui la nuova riforma del lavoro dovesse imporre la limitazione di alcune tu- tele ottenute, con sacrificio, dai lavoratori, al fine di rimettere in moto l’economia, allora ben vengano le tutele crescenti, con l’auspicio che di crescente questa volta ci sia il nostro “bel Paese” ed il futuro di tutti coloro che lo abitano.

* Presidente nazionale del Gruppo Odcec Area Lavoro e della Commissione Diritto del Lavoro di Roma

 

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