Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: il punto a circa un anno dall’entrata in vigore della norma
di Lorena Marcugini *
Con il D. Lgs. n. 23 del 4 marzo 2015 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti in attuazione della legge 10 dicembre 2014 n. 183), la disciplina del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o licenziamento per motivazione economica è stata profondamente modificata subendo un restringimento ulteriore rispetto a quanto già stabilito con la legge n. 92/2012 (c.d. Legge Fornero).
Il termine “contratto a tutele crescenti” deriva dal fatto che, in caso di licenziamenti illegittimi, l’indennità risarcitoria dovuta dal datore di lavoro al dipendente licenziato, viene ora determinata in funzione dell’anzianità di servizio da egli maturata, con la conseguenza che quanto più elevata è l’anzianità in questione tanto maggiore sarà l’importo spettante. In particolare, la riforma riscrive il sistema sanzionatorio per i licenziamenti individuali e collettivi di operai, impiegati e quadri.
Tale nuova disciplina si applica a tutti i lavoratori assunti a tempo indeterminato successivamente all’entrata in vigore del decreto, ovvero a far data dal 7 marzo 2015 ed investe esclusivamente il settore privato e non quello pubblico.
Affinché il licenziamento sia un atto considerato legittimo ha bisogno della sussistenza di un giustificato motivo; in tal caso il datore di lavoro ha l’obbligo di dare un preavviso al lavoratore (art. 1 Legge n. 604/1966). A tale proposito, l’art. 3 della Legge 604/1966, prevede due tipologie di giustificato motivo:
- Giustificato motivo soggettivo: quando interviene “un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del prestatore di lavoro”;
- Giustificato motivo oggettivo: quando intervengono “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.
Mentre nel primo caso si è di fronte ad un inadempimento da parte del lavoratore (si parla quindi di licenziamento disciplinare), il secondo caso non riguarda il suo illecito comportamento, bensì riguarda l’ipotesi di una riorganizzazione aziendale. In quest’ultimo caso si parla, appunto, di licenziamento per motivazioni economiche o di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Il datore di lavoro che vorrà procedere al licenziamento senza incorrere in una eventuale impugnazione per illegittimità dell’atto, dovrà dimostrare che la risorsa professionale licenziata non sia più ricollocabile all’interno dell’azienda. In sostanza, spetterà al datore di lavoro l’onere della prova nel dimostrare la sussistenza delle ragioni che lo hanno indotto al licenziamento e della impossibilità di ricollocare il dipendente in altri comparti della sua attività o spostarlo a mansioni diverse rispetto a quelle precedentemente svolte (c.d. obbligo di ripescaggio).
Pertanto, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è fondato su due presupposti:
- in situazione di riorganizzazione aziendale da parte del datore di lavoro;
- nell’impossibilità di ricollocare il dipendente licenziato in altri comparti.
In mancanza di tali ipotesi, il lavoratore licenziato può impugnare l’atto.
Per poter procedere al licenziamento per motivazione economica, il datore di lavoro dovrà inviare una comunicazione al dipendente, con descritti i motivi di tale scelta, così che quest’ultimo possa impugnarlo entro 60 giorni a partire dal momento in cui riceve la comunicazione del licenziamento.
La disciplina del licenziamento per giustificato motivo oggettivo effettuato in modo illegittimo, a partire dalla legge Fornero e successivamente dal Jobs Act, ha subito notevoli cambiamenti. Infatti, al fine di valutare il trattamento da adottare ai fini sanzionatori, occorre tenere conto del momento in cui è stato stipulato il contratto ovvero se anteriormente o posteriormente al 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del Jobs Act.
In particolare, di fronte al licenziamento di un lavoratore che sia stato assunto prima del 7 marzo 2015, qualora il Giudice accerti che non sussistano legittimi motivi per poter procedere al licenziamento, quest’ultimo riconoscerà al lavoratore una indennità a titolo risarcitorio che può variare da un minimo di 12 ad un massimo di 24 mensilità ed il rapporto di lavoro si interromperà. Il Giudice potrà ordinare al datore di lavoro la reintegra del lavoratore qualora i motivi addotti per il licenziamento risultino manifestamente infondati.
Diverso, invece, è il trattamento nel caso si tratti di licenziamento di un lavoratore che sia stato assunto dopo il 7 marzo 2015. In tale fattispecie, si applica la disciplina del Jobs Act e riguarda tutti i lavoratori con qualifica di operai, impiegati e quadri assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato. In questo caso, qualora non vi siano i presupposti per poter procedere ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell’art. 3 comma 1 del D. Lgs. n. 23/2015, il Giudice “dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità”. Differentemente da quanto, invece, accade nel caso di licenziamento per motivi disciplinari, nel licenziamento per motivazione economica il Giudice non ha il potere di disporre la reintegra al posto di lavoro.
Si noti quanto è più conveniente per il datore di lavoro la sanzione di fronte ad una dichiarazione di illegittimità del licenziamento rispetto alla previgente disciplina.
Si ritiene opportuno evidenziare che quanto sopra esposto riguarda tutti i datori di lavoro che occupano oltre 15 dipendenti in ciascuna sede, filiale, reparto, ecc. e, in ogni caso, che occupino complessivamente oltre sessanta dipendenti. Qualora, invece, si tratti di piccole imprese che non raggiungono i requisiti dimensionali di cui all’art. 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970, l’indennità risarcitoria è ridotta alla metà e non può, in ogni caso, superare le sei mensilità.
Secondo quanto disciplinato dall’art. 1 comma 3 del D. Lgs. n. 23/15, il legislatore ha voluto coinvolgere anche i licenziamenti riferiti a quei rapporti di lavoro sorti antecedentemente all’entrata in vigore del decreto. In particolare viene precisato che entra nel disposto del presente decreto anche il licenziamento di quei lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni qualora le nuove assunzioni facciano raggiungere al datore di lavoro i limiti dimensionali di cui all’art. 18, ottavo e nono comma, della legge 300/70.
Il D. Lgs. n. 23/2015, oltre a disciplinare l’aspetto sanzionatorio in caso di licenziamento illegittimo a carico di lavoratori assunti a tempo indeterminato, prevede inoltre norme riguardanti la revoca del licenziamento e l’aspetto conciliativo.
In particolare, al fine di evitare che il lavoratore impugni il licenziamento, il datore di lavoro può revocarlo entro 15 giorni dalla comunicazione dell’impugnazione del licenziamento stesso. Qualora ciò accada, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza interruzione ed al lavoratore spetterà la retribuzione nel frattempo maturata. Nel caso in cui il datore di lavoro non intenda revocare il licenziamento, potrà attivare l’offerta conciliativa da esercitarsi in una delle sedi di cui all’art. 2113, quarto comma, codice civile, e all’art. 76 del D. Lgs. n. 276/2003, entro 60 giorni dall’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, offrendo al lavoratore un’indennità pari ad una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del t.f.r. per ogni anno di servizio. Tale indennità non costituirà per il lavoratore reddito imponibile, né sarà oggetto di contribuzione previdenziale. Inoltre, non potrà mai essere inferiore a due e superiore a diciotto mensilità e dovrà essere corrisposta mediante assegno circolare.
Con l’accettazione dell’assegno circolare, il lavoratore si impegna a rinunciare all’impugnazione del licenziamento anche nel caso in cui l’abbia già proposto, ed il rapporto di lavoro si intende estinto alla data del licenziamento stesso.
Terminata la fase di conciliazione, al fine di integrare la comunicazione telematica Unilav trasmessa in sede di interruzione del rapporto di lavoro, entro 65 giorni dalla cessazione del rapporto, il datore di lavoro dovrà inviare una seconda comunicazione che servirà a comunicare agli enti preposti l’avvenuta o la non avvenuta conciliazione.
* ODCEC Perugia
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!