Lo Smart Working sta arrivando… ma sembra diverso da quello atteso
di Adalberto Carpentieri* e Filippo Mengucci**
Il 3 novembre 2016 il Senato della Repubblica, ha approvato il disegno di legge, d’iniziativa del Governo, denominato “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, che è passato all’esame della Camera. Con questo disegno di legge s’intende introdurre nel nostro ordinamento la modalità di svolgimento del lavoro subordinato nota con il termine smart working o lavoro agile, nella declinazione italiana.
Nell’attuale assetto normativo, in verità, si registrano diversi casi di applicazione di forme di flessibilità del rapporto di lavoro, sulla base di iniziative aziendali con i singoli lavoratori oppure in forma collettiva attraverso specifiche intese sindacali. Le nuove tecnologie, come noto, hanno infatti modificato il modo in cui si comunica, collabora e lavora all’interno dell’impresa, anche se i modelli di organizzazione del lavoro non sempre sono stati ripensati coerentemente con queste nuove modalità di rendere la prestazione di lavoro, né considerando a pieno tutte le effettive opportunità che le nuove tecnologie emergenti presentano al mondo delle imprese. In Italia un numero sempre maggiore di aziende sta riconoscendo questa nuova modalità di articolazione della prestazione lavorativa, capace di contribuire ad un miglior bilanciamento degli spazi di vita e lavoro, nonché della realizzazione di impatti positivi sui fattori ambientali, in un quadro di maggior responsabilizzazione, autonomia ed orientamento ai risultati da parte delle persone coinvolte nell’organizzazione del lavoro.
Lo smart-working costituisce, senza dubbio, un’interessante opportunità che sta ridando, di fatto, maggiore discrezionalità alle persone in termini di scelte legate al dove lavorare, con quali orari, con quali strumenti; il tutto a fronte di una richiesta di maggiore responsabilizzazione sui risultati aziendali.
Il suddetto disegno di legge, collegato alla legge di Bilancio 2017, intende introdurre e disciplinare il lavoro agile (o smart-working) e, a tal fine, ha individuato un nuovo modello di organizzazione aziendale votato all’impiego di tecnologie nuove che mira innanzitutto a contemperare esigenze individuali del lavoratore dipendente con quelle dell’impresa, a conciliare i tempi di vita con quelli del lavoro, a valorizzare il contributo professionale sino anche a responsabilizzare il lavoratore dando spazio all’autonomia individuale e collettiva, per innovare e competere e incrementare la produttività. L’obiettivo dello smart-working, inteso come nuova modalità di esecuzione della prestazione di lavoro subordinato diversa dal telelavoro, è l’incremento della performance organizzativa e il miglioramento del work-life balance; ovvero l’accesso alle postazioni di lavoro in mobilità o da casa, rimozione dei sistemi di controllo basati sulla quantità di ore lavorate, l’utilizzo di team interdisciplinari, la costruzione di spazi di lavoro basati su uno scopo e non sulla sola struttura organizzativa rigida sino ad oggi concepita in azienda.
Il disegno di legge sullo smart-working prevede che datore di lavoro e dipendente sottoscrivano un accordo individuale, a tempo determinato o indeterminato, per disciplinare le nuove modalità di esecuzione della prestazione di lavoro. L’accordo nasce, pertanto, dall’iniziativa delle parti che optano per tale modalità di esecuzione della prestazione, la quale può manifestarsi sia al momento dell’assunzione che successivamente e può essere anche parziale, ovvero anche solo per alcune giornate e/o ore nella normale settimana lavorativa. Il testo del disegno di legge recepisce, in Italia, per la prima volta una fattispecie già presente nel panorama europeo. Note sono le esperienze in Belgio, Spagna, Francia, tanto per citarne alcune. Nel recente passaggio in Commissione Lavoro, infatti, il Senato si è soffermato su questa particolare esigenza disciplinando una fattispecie già attiva sul territorio nazionale, ed ha accolto il c.d. “diritto alla disconnessione”, quale nuovo diritto del lavoratore così come del resto già introdotto nella disciplina francese. Con il nuovo lavoro agile si prevede che con un accordo aziendale tra dipendente e datore (su base consensuale) si stabiliscano le regole per lasciare tempi liberi dalla connessione con l’ufficio. Tale accordo deve definire:
– le forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro;
– gli strumenti tecnologici utilizzati dal lavoratore;
– i tempi di riposo;
– l’esercizio del potere di controllo del datore, nei limiti della disciplina dei controlli a distanza;
– le condotte legate al lavoro esterno all’ufficio che danno luogo a sanzioni disciplinari.
Il pilastro portante dello smart-working si fonda su un rapporto di fiducia consolidato tra il datore di lavoro ed il lavoratore subordinato il quale, sentendosi più libero di organizzare luoghi e tempi di lavoro, può garantire maggior produttività all’azienda. In questo modo ad avvantaggiarsi del nuovo strumento legislativo sono entrambe le parti del rapporto: sia il lavoratore che guadagna tempo, flessibilità ed energie, si pensi a quelle impiegate per andare e tornare dal luogo di lavoro; sia il datore di lavoro che riduce le spese, si pensi a quelle per l’allestimento e la gestione del posto di lavoro (ufficio, laboratorio, ecc.) e beneficia della detassazione prevista dallo Stato per i meccanismi incentivanti la produttività aziendale, senza pensare all’obiettivo della maggior produttività dei dipendenti. D’altra parte il luogo di lavoro di oggi è sempre meno la fabbrica tradizionale, dove tutto il lavoro si deve fare in modo indifferenziato, ma sempre più qualcosa di diverso, un momento di creatività, di collaborazione e di incontro che deve essere ripensato secondo queste nuove logiche.
Dare maggiore flessibilità agli spazi e agli orari significa liberare nuove energie e sviluppare opportunità di produttività. Esiste, infatti, un 40% delle attività che potrebbero essere meglio effettuate fuori da quello che è il normale spazio di lavoro. Tutto questo si può realizzare senza alcuna compromissione dei diritti acquisiti dai lavoratori, che restano tutti immutati, a partire dai trattamenti retributivi, dalle tutele sugli infortuni e sulla malattia professionale.
Uno dei nodi fondamentali rispetto all’affermazione del lavoro agile in Italia è anche quello della salvaguardia della salute e sicurezza sul lavoro. La normativa in discussione prevede che nella fattispecie del lavoro agile rientrino così anche gli strumenti di lavoro assegnati per detta modalità lavorativa e le responsabilità che devono essere chiaramente definite prima dell’inizio della prestazione resa con detta modalità organizzativa. Non c’è dubbio che sotto il profilo della sicurezza, la possibilità di lavorare negli orari e nei luoghi prescelti, permette di ridurre i rischi derivanti da stress lavoro correlato così come i rischi dovuti allo spostamento casa-lavoro-casa.
Altro aspetto fondamentale è la messa a disposizione dei supporti tecnici necessari allo svolgimento della prestazione lavorativa da parte del datore di lavoro che, in alcuni casi, purtroppo non avviene poiché è il dipendente stesso che chiede di poter utilizzarne di propri. Sul punto, il disegno di legge sembra non ammettere tale possibilità, ma c’è ancora margine per valutare tale profilo atteso che, ad oggi, più del 40% delle aziende Italiane hanno affermato di supportare l’introduzione in azienda degli smartphone e dei tablet di proprietà dei dipendenti e, di queste, un terzo dichiara di supportare anche quelli che sono entrati nella rete aziendale in modalità non ufficiale. Inoltre, quasi la metà prevede di supportare, nel prossimo futuro, i dispositivi personali e dei dipendenti (questo tipo di supporto prevede, in genere, almeno l’accesso alla corporate email). Tale assetto deve necessariamente essere approfondito, considerato che la responsabilità circa la fornitura, installazione e manutenzione degli strumenti necessari spetta al datore di lavoro quando la prestazione è continuativamente svolta tramite telelavoro mentre in ipotesi di uso promiscuo sarà opportuno introdurre una disciplina ad hoc tra le parti atteso anche l’obbligo del telelavoratore di utilizzare gli strumenti in modo lecito ed averne cura e del datore di lavoro di tutelare la salute soprattutto la sicurezza professionale, informando il dipendente delle politiche aziendali in materia. Questa modalità apre il fronte alle problematiche della protezione dei dati (data security e privacy) per gli accesso da remoto alla rete, degli obblighi di custodia in carico al dipendente, della valutazione dei rischi della connettività per i quali la necessità di un monitoraggio costante, a volte, è davvero complessa da attuare. Tutti questi aspetti impongono ad un’impresa che voglia introdurre la modalità di lavoro agile la necessità di dotarsi di una policy oppure di sottoscrivere un contratto integrativo aziendale (che non è obbligatorio, quindi si può realizzare senza coinvolgere i sindacati) per definire gli aspetti in un contratto individuale con il lavoratore interessato.
In un quadro normativo ancora non chiaramente definito e in attesa dell’attuazione di una legge organica e sistematica che disciplini tale nuovo istituto (il lavoro c.d. smart), la conciliazione dei tempi di vita e lavoro, attualmente, è affidata ad altra normativa che male si concilia con quella dell’incremento degli spazi di vita-lavoro in funzione della maggiore produttività aziendale. Si pensi, nel caso specifico, alle esperienze della normativa sui congedi genitoriali tramite l’applicazione delle disposizioni del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53”, mentre la flessibilità oraria viene spesso identificata con il solo part-time, oppure, con l’istituto della banca delle ore in alcuni settori. Anche il lavoro da remoto ha una sua diversa connotazione nel c.d. “telelavoro”, ove anche lo stesso sia a volte declinato in chiave più tecnologica e definito c.d. “telelavoro 2.0”. Oggi il datore di lavoro che adotti il telelavoro in applicazione dell’Art. 3, comma 10, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” ricade nella specifica normativa se fornisce attrezzature proprie, o per il tramite di terzi. Per tale fattispecie, poi:
– deve controllare che queste siano conformi a quanto previsto dal T.U. (dunque è implicitamente sua la responsabilità sulla sicurezza di tutte le dotazioni di lavoro utilizzate dal lavoratore, da computer, telefoni a, per esempio, la spillatrice);
– deve informare i lavoratori a distanza circa le politiche aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in particolare in ordine alle esigenze relative ai videoterminali;
– deve dare direttive aziendali di sicurezza.
È noto come per il telelavoro (e non anche per lo smart-working) per verificare la corretta attuazione della normativa in materia di tutela della salute e sicurezza del lavoratore, il datore di lavoro, le rappresentanze dei lavoratori e le autorità competenti hanno accesso al luogo in cui viene svolto il lavoro nei limiti della normativa nazionale dei contratti collettivi, dovendo tale accesso essere subordinato al preavviso e al consenso del lavoratore qualora la prestazione sia svolta presso il suo domicilio. Per quanto sopra, quindi, a ben vedere, tutto l’impianto normativo sul telelavoro male si concilia con quello sul lavoro agile, cosi come emerge dal disegno di legge in commento. Nel telelavoro sono previste incombenze di cui non v’è traccia nel disegno di legge sul lavoro agile. Ad esempio, nel telelavoro il datore di lavoro garantisce l’adozione di misure dirette a prevenire l’isolamento del lavoratore a distanza rispetto agli altri lavoratori interni all’azienda, permettendogli di incontrarsi con i colleghi e di accedere alle informazioni dell’azienda, nel rispetto di regolamenti o accordi aziendali. È facile capire, quindi, perché tutti questi adempimenti abbiano scoraggiato le imprese. In sostanza le responsabilità dell’azienda riguardo alla sicurezza e salubrità del luogo di lavoro vengono equiparate sia che il lavoratore svolga la sua prestazione in ufficio, sia che lo faccia da casa. Ma allora, con la nuova modalità organizzativa del lavoro agile, come può realisticamente l’azienda garantire che la prestazione resa all’esterno dell’azienda (es. l’abitazione di un dipendente o un qualsiasi altro luogo dal quale potersi connettere da remoto) rispetti la normativa di sicurezza? Oltre a un evidente tema di costi c’è anche un tema di gestione. Di fatto è impossibile per il datore di lavoro farsi garante che tutti i luoghi diversi dall’azienda nei quali è possibile prestare l’attività in modalità agile (smart) siano di fatto sicuri come prevede la legge attuale. Come si fa a fare un passo in avanti? Il disegno di legge sullo smart working e le policy che, da qualche tempo, molte aziende stanno introducendo, pongono l’accento sul fatto che il lavoro agile si differenzia dal telelavoro perché implica flessibilità ambientale e flessibilità di orario, oltre a un grado di fiducia estremamente elevato. Queste caratteristiche si ritrovano nel contratto scritto tra datore di lavoro e lavoratore nel quale sono previsti tutti gli aspetti, inclusi quelli riguardanti la sicurezza.
Ma allora c’è da chiedersi se nelle policy e nei contratti è possibile e coerente un’estensione analogica ai lavoratori agili delle norme del T.U. previste per il telelavoro. A ben vedere si direbbe di no. Ciò perché il lavoro agile non prevede la stabilizzazione del rapporto in un luogo determinato come per il telelavoro ed è quindi impossibile controllare i luoghi di svolgimento della prestazione lavorativa secondo le regole complesse descritte sopra. In concreto, dal tenore del disegno di legge si rendono applicabili solo i principi generali in materia di sicurezza e protezione dei lavoratori previsti dal T.U., anche se non si comprende bene come poi questi si contemperino con le peculiarità del lavoro agile (il progetto di legge sullo smart-working all’art. 6 ha preso atto di ciò e ha previsto espressamente una deroga all’art. 3 comma 10 del T.U.).
Lo scopo del disegno di legge è di estendere a tutti i lavoratori il campo di applicazione del lavoro agile, a patto che svolgano mansioni compatibili con questa modalità della prestazione, anche in maniera orizzontale o verticale (alcuni pomeriggi a settimana, tre ore al giorno, tutte le mattine), a seconda dell’accordo raggiunto tra datore di lavoro e lavoratore, e lo fa allentando gli obblighi di sicurezza a carico del datore di lavoro. Nei fatti, questo si traduce in un obbligo generale di valutazione dei rischi, nell’individuazione dei rischi macro ai quali il lavoratore agile può andare incontro nell’esecuzione della prestazione, e si deve allo stato cercare di contestualizzarli il più possibile. Questo obbligo si scontra a livello pratico con due elementi:
1) la principale caratteristica del lavoro agile che è la “non stabilizzazione” del rapporto in un unico luogo;
2) il fatto che tutelare il lavoratore agile implichi necessariamente un controllo a distanza dello stesso.
Per gli effetti, ove il disegno di legge non venga espressamente emendato, per rendere “sicuro” il lavoro smart, per il datore di lavoro è consigliabile:
– limitare i luoghi in cui il lavoratore possa rendere la prestazione in sicurezza elencandoli nella policy o nell’accordo individuale;
– individuare i luoghi o le modalità vietati perché non in grado di soddisfare i requisiti di sicurezza;
– fare al lavoratore agile un corso di formazione sui fattori di rischio e di pericolo della prestazione resa in modalità di lavoro agile.
La formazione è, pertanto, il nodo cruciale. Il lavoratore agile è un soggetto attivo nello schema del progetto di legge, dopo essere stato sensibilizzato e responsabilizzato, nello svolgimento della prestazione deve soddisfare i criteri di diligenza e di fedeltà. Ecco perché lo smartworking implica un elevato rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore anche sotto il profilo della sicurezza.
Sempre nell’ambito della sicurezza, il datore di lavoro ha l’obbligo di individuare i carichi di lavoro massimi previsti, anche se questo obbligo si scontra con la peculiarità del lavoro agile; ovvero con l’assenza di un orario di lavoro fisso. Se il lavoratore agile lavora in team e quindi è connesso ad altri, è possibile controllare attraverso le connessioni i suoi carichi di lavoro, ma se al contrario lavora isolato questo controllo diventa più difficile, ma non lo rende inattuabile. Se da un lato nel lavoro agile la prestazione è svincolata dall’orario di lavoro giornaliero ed è finalizzata alla realizzazione di un prodotto entro un tempo dato, questa assenza di vincoli di orario assume un significato particolare nel contesto della sicurezza perché sembra estendere i confini temporali dell’obbligo di vigilanza del datore di lavoro ad ogni momento della giornata, anche a quelli non lavorativi. Ma ciò è ovviamente impossibile, oltre che in contrasto con le finalità del nuovo istituto. Per evitare quindi che questa modalità di lavoro possa essere usata solo da coloro che lavorano in team e sono fra loro connessi, bisogna intendere l’obbligo del datore di lavoro circoscritto al normale orario di lavoro o comunque all’orario di lavoro definito nell’accordo individuale sottoscritto con il lavoratore.
Un’ultima considerazione: mentre il legislatore del Jobs Act (2015) ha prestato discreta attenzione al telelavoro, si veda a titolo di esempio, l’art. 23 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80 “Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell’articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183” che consente di escludere i lavoratori ammessi al telelavoro dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative e istituti, nel disegno di legge approvato dal Senato non c’è nulla di simile per lo smart working. Sarebbe auspicabile che il tema venga affrontato in chiave sistemica, magari emendando il testo del disegno di legge che, in soli 5 articoli, non è di certo riuscito a collocare la nuova modalità di svolgimento della prestazione di lavoro subordinato nel complesso panorama del mondo del lavoro.
*Avvocato del Foro di Roma
** Odcec Roma
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