Rassegna di giurisprudenza: Sentenza Tribunale di Roma, 19 Maggio 2020, n. 2503
di Bernardina Calafiori* e Simone Brusa*
Massima: per gli assunti dopo il 7 marzo 2015, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo dichiarato illegittimo per carenza di prova dei presupposti, il regime sanzionatorio previsto dal d.lgs. 23/2015 prevede la sola tutela indennitaria; nel determinare il quantum dell’indennità il parametro dell’anzianità di servizio del lavoratore conserva un rilievo prioritario, tenendo comunque in considerazione anche gli altri parametri desumibili dal sistema normativo.
Con la sentenza 19 maggio 2020, n. 2503 il Tribunale di Roma ha risolto una controversia in merito all’impugnazione di un licenziamento per giustificato motivo da un contratto a tempo indeterminato c.d. “a tutele crescenti”; infatti il lavoratore in questione era stata assunto in data 3 agosto 2015 e quindi al suo rapporto di lavoro si applicava la disciplina prevista dal d.lgs. 23/2015 (ossia la normativa applicabile a tutti gli assunti a tempo indeterminato post 7 marzo 2015).
La rilevanza della sentenza non riguarda la fattispecie del licenziamento in sé ma le possibili conseguenze derivanti dalla dichiarazione di illegittimità del provvedimento espulsivo. Da un punto di vista fattuale infatti, nel contenzioso in esame, a seguito dell’impugnazione del licenziamento da parte del dipendente, la Società, pur onerata dell’onere della prova circa la sussistenza delle motivazione del provvedimento (e quindi le ragioni della soppressione del posto di lavoro), rimaneva contumace.
Il Giudice, quindi, riteneva il licenziamento ingiustificato e passava in rassegna le conseguenze sanzionatorie previste dal d.lgs. 23/2015.
In primo luogo il Giudice escludeva la tutela reintegratoria invocata dal dipendente equiparando “la manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo alla mancanza degli estremi del giustificato motivo oggettivo” e applicando pertanto l’art. 3, comma 1 del d.lgs. n. 23/2015 con relativa tutela indennitaria. Pertanto, implicitamente, il Giudice riconosceva che la tutela reintegratoria prevista dall’art. 3 comma 2 per i casi di “insussistenza del fatto materiale” non possa trovare applicazione al licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Successivamente il Giudice passava in rassegna le modalità per la quantificazione dell’indennità risarcitoria.
Sotto tale profilo, nel sistema normativo vigente, è infatti nota l’alea di tale valutazione in quanto: i) il c.d. Decreto Dignità ha esteso la “forbice” da un minino di 6 a un massimo di 36 mensilità; ii) la sentenza della Corte Costituzionale n. 194/2018 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’utilizzo del solo parametro dell’anzianità aziendale per la quantificazione dell’indennità.
Sul punto il Giudice affermava che “il perimetro dell’anzianità di servizio del lavoratore conserva tuttora un rilevo prioritario” e rappresenta “la base di partenza della quantificazione dell’indennità in parola”; la sentenza poi prosegue affermando che l’indennità “potrà essere elevata dal giudice nel caso concreto tenendo conto di tutti gli altri parametri desumibili dal sistema e considerati dalla Corte Costituzionale” (leggasi: numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica e comportamenti e condizioni delle parti).
Nel caso di specie il Giudice, considerato una base di partenza di 8 mensilità (2 mensilità x 4 anni di servizio) riteneva di aumentare l’indennità di ulteriori quattro mensilità in considerazione della assoluta mancanza di prova fornita dal datore di lavoro e del comportamento del datore di lavoro che “dopo aver più volte trasferito il ricorrente, ha licenziato il G.C. dopo che questi era stato nominato rappresentante sindacale e dopo che questi aveva iniziato a svolgere attività sindacale”.
* Avvocato Studio Legale Daverio & Florio
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