Riforma Art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e prescrizione dei crediti
di Rodolfo Rosso*
Con l’entrata in vigore della “Riforma Fornero” (legge 92/2012) il sistema di tutela dei lavoratori è indubbiamente mutato: mentre da una parte si nota una rilevante modifica dell’art. 18 legge 300/70, dall’altra si ha il passaggio verso una tutela di tipo “risarcitorio”, anche se non integrale. In sintesi anche per le imprese con più di 15 dipendenti (5 se agricole) oppure 60 se in unità dislocate su più province (v. art. 18 commi 7° e 8° legge 330/70), non è più immediata la reintegrazione, in ipotesi di illegittimità del licenziamento, anche per motivi formali o per violazione del principio di proporzionalità prevista soltanto nei casi di discriminazione, nullità, previsione di sanzione conservativa o insussistenza della giusta causa o manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo. Il passaggio verso una tutela di tipo risarcitorio trova maggior seguito anche nel Dlgs. 23/2015 (“Tutele crescenti”), applicabile alle assunzioni avvenute dal 7 marzo 2015 oppure a tutti i dipendenti se, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente al 7 marzo 2015, venga integrato il requisito occupazionale di cui al citato art. 18 (art. 1 comma 3). Peraltro vengono estese le tutele, anche reintegratorie, nei confronti di tutti i datori di lavoro, indi- pendentemente dai limiti occupazionali, nei casi di licenziamenti discriminatori, nulli o in forma orale.
Il revirement, che tanto ha fatto discutere sul piano politico, ha comunque, rispetto al passato, modificato le garanzie nei con- fronti dei lavoratori, anche se la giurisprudenza ultimamente sembra almeno in parte volersi riappropriare di qual margine di discrezionalità sulla valutazione del licenziamento, in particolare facendo leva sulla motivazione e sulla corrispondenza tra fatti contestati e irrogazione della sanzione espulsiva (v. ad esempio Cass. 854/2015 e, più recentemente, Cass. 20540/2015 e 20545/2015 in Mass. Giur. Lav. 12/2015, pag. 853 con note di A. Vallebona, Cassa- zione e reintegrazione: l’attuale stato dell’arte e C. Romeo, Due sentenze “gemelle” della Suprema Corte che estendono la tutela reintegratoria in materia di licenziamento disciplinare). Questo nuovo assetto normativo, già dal 18 luglio 2012 (data di entrata in vigore della Riforma Fornero) aveva però sollevato ulteriori interrogativi, con riferimento alla disciplina della prescrizione dei crediti di lavoro. Per una esigenza sistematica occorre ricordare alcuni principi generali.
Salvi i diritti indisponibili, ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determi- nato dalla legge e dal giorno in cui poteva essere fatto valere (artt. 2934 e 2935 c.c.). Ogni patto contrario è nullo (art. 2936 c.c.). Nel campo del lavoro si prescrivono in dieci anni: il diritto al risarcimento del danno provocato dal mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavo- ro; il diritto alla qualifica superiore (ma in 5 anni i crediti derivanti dalle differenze retributive che spettano per tale qualifica; sul punto v. Cass 7116/2005, che ha contrastato il precedente indirizzo sulla imprescrittibilità del diritto alla qualifica:
Cass 10832/98); il diritto al risarcimento del danno contrattuale (ad esempio per dequalificazione professionale o per infortunio). Si prescrivono invece in cinque anni (art. 2948 c.c.): i diritti alle retribuzioni periodiche corrisposte dal datore di lavoro al lavoratore con periodicità annuale o inferiore; i diritti alle indennità che spettano al lavoratore per la cessazione del rapporto di lavoro (ad esempio il trattamento di fine rapporto e l’indennità sostitutiva del preavviso). I crediti contributivi dovuti alle gestioni pensionistiche obbligatorie si prescrivono in cinque anni, ai sensi dell’art. 3, comma 9, legge 335/95. Peraltro, in caso di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti, tuttavia, il termine di prescrizione è nuovamente di dieci anni.
Per alcuni crediti sussiste anche una prescrizione (detta presuntiva) di uno o tre anni
(v. artt. 2955 e 2956 c.c.), peraltro superabile con il deferimento del giuramento decisorio.
Per quanto concerne il presente intervento occorre focalizzare l’attenzione sui crediti da lavoro, cioè in particolare sulle differenze retributive.
L’art. 2948, n. 4 c.c. stabilisce che si prescrive in 5 anni tutto ciò che deve essere pagato periodicamente, ad anno o in termini più brevi.
La giurisprudenza ha chiarito che la norma si riferisce alla prescrizione non solo del credito per retribuzione ordinaria, ma anche per lavoro straordinario e ogni altro credito di lavoro, escluse solo le erogazioni originate da cause autonome o dalla responsabilità del datore di lavoro (Cass. 21377/2004; Cass. n. 8065/2009; Cass. 1574/2010).
Invece, si è ritenuto che il lavoratore decaduto dall’impugnativa del licenziamento illegittimo non possa ottenere, neppure per equivalente, il risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni perdute a causa del licenziamento, essendogli ciò precluso dalla maturata decadenza (Cass.5804/2010; Cass. 3312/2015).
La Corte Costituzionale, in un periodo in cui non era ancora vigente lo Statuto dei Lavoratori, confrontando l’impiego pubblico e quello privato, con la sentenza “interpretativa” n. 63/66 dichiarava “l’illegittimità costituzionale degli artt. 2948 n. 4, 2955, n, 2, e 2956, n. 1, c.c. limitatamente alla parte in cui consentono che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro, in un rap- porto non dotato di quella “resistenza” [quale quello privato], che caratterizza invece il rapporto d’impiego pubblico. Il timore del recesso, cioè del licenziamento, spinge o può spingere il lavoratore sulla via della rinuncia a una parte dei propri di- ritti, così che tale rinuncia, quando viene esercitata durante quel rapporto, non può essere considerata una libera espressione di volontà negoziale e la sua invalidità è sancita dall’art. 36 della Costituzione”.
Il medesimo principio (“forza di resistenza”) veniva richiamato dalla successiva Corte Cost. 143/69, questa volta nell’ambito del rapporto di pubblico impiego, per confermare la decorrenza della prescrizione durante il rapporto, proprio perché il lavoratore disponeva di mezzi adeguati di tutela in caso di risoluzione del rapporto. Ugualmente, concludendo una sorta di trittico garantista, Corte Cost 174/72 specificava ancora, con riferimento anche alla nuova legge 300/70, che “Non sembra dubbio che tale interpretazione, fatta allora valere per i rapporti di pubblico impiego statali … debba trovare applicazione in tutti i casi di sussistenza di garanzie che si possano ritenere equivalenti a quelle disposte per i rapporti medesimi. Siffatta analogia si verifica allorché ricorra l’applicabilità della legge 15 luglio 1966 n. 604 e legge 20 maggio 1970 n. 300, di cui la seconda deve considerarsi necessaria integrazione della prima, dato che una vera stabilità non si assicura se all’annulla- mento dell’avvenuto licenziamento non si faccia seguire la completa reintegrazione nella posizione giuridica preesistente fatta illegittimamente cessare”.
La Cassazione ha ulteriormente contribuito a definire i due concetti di “tutela reale” e “tutela obbligatoria”, anche ai fini della decorrenza della prescrizione, sdoganando la prescrizione in corso di rapporto per quei casi in cui la risoluzione è prevista in base a circostanze oggettive e predeterminate, controllabili dal giudice, con l’effetto, in ipotesi di dichiarata illegittimità, di rimuoverne gli effetti (come appunto previsto dall’art. 18 legge 300/70 nell’originario testo) e non solo dare la possibilità al datore di un risarcimento economico (Cass., SS.UU. 1268/76;
Cass. 2258/81; Cass. 5494/97; Cass. 6441/98; Cass. 14466/2012; Cass. 5232/86; Cass. 5874/87; Cass. 2020/95; Cass., SS.UU. 38/2001; Cass. 3054/2005).
Ciò ha portato ad alcuni corollari:
– ai fini della prescrizione non è la qualificazione del rapporto attribuita dal giudice all’esito del processo, ma quella con la quale il medesimo è nato e si è svolto nel corso del tempo, dipendendo da ciò l’esistenza, o meno, della effettiva situazione psicologica di “metus” del lavoratore, e non già alla stregua della diversa normativa garantistica che avrebbe dovuto, in astratto, regolare il rapporto (Cass. 12553/2014; Cass. 23353/2013; Cass. 4942/2012, per tutte); così ad esempio nel caso di riqualificazione di una collaborazione in lavoro subordinato
- nel rapporto con i dirigenti, non assistito da stabilità, la prescrizione decorre dalla cessazione dello stesso; al contrario se il rapporto si è svolto formalmente in regi- me di stabilità reale (ad esempio qualifica di impiegato e successiva pretesa di qualifica dirigenziale), la prescrizione decorre nel corso del rapporto (Cass. 23353/2013)
- ugualmente la prescrizione non decorre per il socio lavoratore di cooperativa (con riferimento al rapporto lavorativo e non societario) in quanto l’art. 2 della legge 142/2001 esclude l’applicazione dell’art. 18 qualora venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo (c.d. esclusione/licenziamento)
- neppure la prescrizione può decorrere quando siano necessarie verifiche ed indagini per determinare il numero di dipendenti di una impresa.
In questo consolidato quadro interpretativo subentrano le modifiche all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, sopra ricordate, ad opera della legge 92/2012 e del D.lgs. 23/2015.
Già i primi commentatori della Riforma Fornero avevano avuto modo di sottolineare la delicatezza del problema, derivante dalla riformulazione del sistema delle tutele, e specificamente, come già detto, dalla non più esclusiva applicazione della misura reintegratoria anche nei confronti di imprese di maggiori dimensioni, tanto da richiedere un “intervento chiarificatore del legislatore” (così, ad esempio P. Scognamiglio, Le controversie di licenziamento nella riforma Fornero, in Il Punto-Guida al Lavoro n. 2/2013, pag. XXIII). Il tema è stato oggetto, proprio con riferimento alle modifiche introdotte dalla legge 92/2012, della prima decisione di merito (Trib. Milano 16 dicembre 2015 n. 3460 in Guida al Lav. 4/2016, pag. 41). La pronuncia ha accolto la tesi che la riforma del 2012 abbia modificato le tutele e quindi anche nelle imprese, nelle quali in precedenza si applicava la tutela reale, ora si verifica il medesimo presupposto tenuto presente dalle citate sentenze della Corte Costituzionale degli anni 60 e 70 e cioè il timore del lavoratore, in caso di richieste economiche, di una ritorsione del datore di lavoro. Viene quindi meno, anche nelle predette imprese, la “forza di resistenza” che invece consentirebbe la decorrenza della prescrizione anche in corso di rapporto. Da ciò la conseguenza che, dal 18 luglio 2012, la prescrizione non decorre più in costanza di rapporto. A maggior ragione il principio varrebbe per i nuovi assunti dal 7 marzo 2015, il cui rapporto è disciplinato dal Dlgs. 23/2015 sulle tutele crescenti.
La suddetta tesi ad avviso di chi scrive sembra eccessivamente formalistica e non tiene conto del mutamento delle condizioni rispetto al periodo in cui sono state emesse le decisioni della Corte Costituzionale, in cui i diritti dei lavoratori era- no spesso effettivamente poco tutelati. Va anche considerato che le decisioni in questione sono finalizzate ad evitare il timore di licenziamenti ritorsivi, fattispecie che ora, sia nel caso di piccole che di grandi imprese, trova una tutela omogenea e di tipo reintegratorio. Pertanto occorre un ripensamento, se non un intervento legislativo, proprio per evitare che al contrario la sospensione dei termini di prescrizione incida, in modo sostanziale e a questo punto indiscriminato, sulla certezza dei rapporti giuridici. In questo senso pare esprimersi anche la prima dottrina a commento della sentenza del Tribunale di Milano (v. V. F. Giglio, Crediti di lavoro: prescrizione ferma al 18 luglio 2007, in Guida al Lavoro, cit., pag. 47). Da ultimo, per completezza occorre anche ricordare che l’applicazione (e le modifiche) dell’art. 18, secondo una autorevole interpretazione, riguarderebbero anche il pubblico impiego c.d. “contrattualizzato”. In tal senso si è infatti espressa Cass. 24157/2015, suscitando peraltro la reazione del Governo, che ha precisa- to l’inapplicabilità della norma. Dovesse consolidarsi questa interpretazione giurisprudenziale e se la materia non dovesse trovare chiara soluzione nei decreti attuativi della c.d. “Riforma Madia” (legge 124/2015) si dovrebbe concludere che anche nel pubblico impiego (privatizzato) non sussista più la “speciale resistenza” e quindi anche a tali rapporti di lavoro dovrebbe estendersi il principio di sospensione della prescrizione per i crediti retributivi fino alla cessazione del rapporto.
* Avvocato in Biella
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