Sessanta anni di pace e progresso
di Maurizio Centra*
Dalla fine della seconda guerra mondiale (1945), che è costato all’umanità sei anni di atroci sofferenze e circa 60 milioni di morti, l’Europa sta vivendo il più lungo periodo di pace che abbia mai conosciuto e che tutti gli uomini di buon senso si augurano prosegua all’infinito. Questo straordinario successo si deve all’aspirazione di unire pacificamente i popoli europei sotto uno stesso tetto, elaborata da alcuni confinati nell’isola di Ventotene tra il 1941 ed il 1944, quali Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Ursula Hirschman, che scrissero il libro Per un’Europa libera e unita, meglio conosciuto come il Manifesto di Ventotène, pubblicato con una prefazione di Eugenio Colorni. Muovendo da quell’idea di Europa è nato il progetto di unire le forze di paesi fino ad allora antagonisti, sia per risollevare il Vecchio Continente dalla devastazione bellica, ricostituendo in primis le infrastrutture produttive e le vie di comunicazione, sia per evitare nuove guerre, condividendo la gestione di alcune risorse fondamentali come il carbone e l’acciaio. Fu così che a soli quattro anni dalla fine del secondo conflitto mondiale nacque la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca) con il Trattato di Parigi del 18 aprile 1951, su iniziativa dei politici francesi Jean Monnet e Robert Schuman allo scopo di mettere in comune le produzioni di queste due materie prime tra sei paesi: Belgio, Francia, Germania Occidentale, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. Dopo poco meno di sei anni, il 25 marzo 1957 arrivò il Trattato di Roma, con il quale si costituì la Comunità economica europea (Cee), divenuta Unione europea nel 1992.
Quella che pochi anni prima sembrava l’utopia di alcuni dissidenti politici italiani, nel 1957 ha dato origine al più importante processo pacifico di integrazione tra popoli diversi che la storia abbia mai conosciuto e la ricorrenza della firma del Trattato di Roma è l’occasione per ricordare che, nonostante la Brexit, l’Unione Europea (EU) è l’istituzione che maggiormente ha garantito ai cittadini dei paesi membri la pace e il progresso economico negli ultimi 60 anni, mediante la condivisione di politiche economiche oltre che la prevenzione dei dissidi e/o la loro soluzione diplomatica.
Al Trattato di Roma si debbono le più importanti conquiste civili ed economiche dei giorni nostri, come la libera circolazione di persone, beni, servizi e capitali nell’ambito dell’Unione Europea. Basti pensare, solo a titolo di esempio, all’abolizione dei dazi doganali all’interno del mercato comune, che ha stimolato il libero commercio fra i paesi membri, al sistema unico di dazi sulle importazioni dai paesi extra UE, che ha evitato pratiche tributarie scorrette (dumping) tra i paesi membri, e allo sviluppo dell’agricoltura, che oggi è tra le più efficienti del mondo. Ma si potrebbe continuare, dal 1957 i paesi membri sono passati da 6 a 28, compresa la Gran Bretagna, i cittadini da 180 a oltre 500 milioni, il reddito medio pro capite è progressivamente e costantemente aumentato, la povertà e le malattie connesse alla malnutrizione sono state debellate e nel periodo compreso tra il 1992 e il 2006, prima della crisi del 2008, le politiche di integrazione economica hanno generato almeno 2,75 milioni di nuovi posti di lavoro.
L’economia è centrale nella vita delle persone e delle comunità, ma da sola non è sufficiente a garantire il benessere ed il progresso dei popoli. Per questo, probabilmente, l’Unione Europea non ha ancora “domato” la crisi economica iniziata nel 2008, avendo a sua disposizione solo strumenti di natura finanziaria, che – in verità – la Banca centrale europea (Bce) ha utilizzato egregiamente, contenendo al massimo sia le azioni speculative esogene sul debito pubblico di alcuni paesi dell’unione sia le tensioni endogene del sistema bancario. Ma la finanza, anche quando è gestita da istituzioni indipendenti di indiscusso valore, come la Bce, non determina le politiche economiche, semmai le favorisce.Davanti alla crisi economica tutt’ora in corso l’Unione Europea ha mostrato i suoi limiti, essenzialmente politici, che nascono dalla timidezza che in questi sessanta anni hanno avuto i paesi membri nel completare il progetto federale dei Padri Fondatori. E pensare che negli anni ’70 del secolo scorso il sentimento europeista era talmente forte tra i cittadini che quando nel 1971 venne bandito un concorso per dotare l’Unione (all’epoca ancora Cee) di un inno, vi parteciparono oltre duemila compositori con altrettanti spartiti originali. Poi, su proposta del Maestro Karajan, il Consiglio d’Europa nel 1972 scelse l’Inno alla gioia, ossia un brano del movimento finale della IX sinfonia composta da Ludwig van Beethoven nel 1824, che esprime “con il linguaggio universale della musica … gli ideali di libertà, pace e solidarietà perseguiti dall’Europa”.
Da difficoltà economiche prolungate sono scaturite nei secoli passati insurrezioni, rivoluzioni e guerre, basti ricordare, senza andare troppo lontano, quello che è accaduto in Europa nel periodo intercorso tra le due guerre mondiali, pertanto, ciò che sta accadendo in Europa in questo periodo non dovrebbe essere sottovalutato dalla classe politica, perché la paura di perdere quello che si possiede, l’incertezza lavorativa e i rischi per l’incolumità personale stanno generando reazioni non usuali per il livello civile e culturale dei cittadini europei, specialmente nei paesi che maggiormente hanno sofferto le conseguenze di tali guerre.
Ma se il Progetto Europeo culminato con l’Unione ha garantito 60 anni di pace e progresso è lecito aspettarsi che saprà affrontare e vincere anche le nuove sfide, come la globalizzazione economica, magari con quale intervento di manutenzione, che tenda a controbilanciare il peso della finanza con quello della sana politica, continuando il processo di integrazione che non si è mai interrotto.Tra le sfide che richiedono una più autorevole e ferma risposta da parte dell’Unione Europea c’è indubbiamente il processo migratorio da vari paesi poveri, in guerra o con regimi politici autoritari. Partendo dal presupposto che non c’è muro che possa fermare la fame o la paura e ricordando che dal 1836 al 1914, oltre 30 milioni di europei sono emigrati negli Stati Uniti d’America (USA), l’Unione Europea dovrebbe dotarsi di una politica che favorisca il dialogo e la cooperazione con i governi affidabili dei paesi che intendano collaborare al contenimento dei flussi migratori e, quindi, degli accordi che favoriscano l’insediamento di iniziative economiche private europee in questi paesi, garantendo la sicurezza in loco e il rimpatrio dei capitali investiti, in cambio di formazione e impiego di mano d’opera locale. Negli stessi accordi si potrebbero regolare anche i flussi migratori stagionali, così da evitare o ridurre i comportamenti illegali di soggetti che favoriscono l’impiego degli immigrati clandestini soprattutto nell’agricoltura e nell’edilizia, come in Italia.Per i richiedenti asilo politico, che abbandonano il paese d’origine a causa di persecuzioni o altre forme di coercizione, esistono già degli accordi internazionali che l’Unione Europea dovrebbe poter attuare e rispettare anche sostituendosi ai paesi membri, adottando sistemi di accoglienza e di controllo che riducano i rischi nel rispetto della dignità delle persone coinvolte.
Infine, l’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti d’America impone all’Unione Europea di riconsiderare le sue scelte in materia di difesa, alla luce delle minacce e delle azioni offensive degli ultimi tempi nonché delle caratteristiche dei loro esecutori, è quindi ragionevole ritenere che debba quanto prima organizzare la sua difesa su presupposti e con strumenti diversi dal passato, facendo tesoro anche dell’esperienza nella lotta al terrorismo. Visto che sono europee gran parte delle imprese specializzate in sistemi integrati di sicurezza, che impiegano sofisticati strumenti elettronici e satellitari, una politica europea che favorisca gli investimenti comunitari in questo settore genererebbe indubbiamente delle ricadute economiche ed occupazionali oltre che aumentare l’apprezzamento dei cittadini nei confronti della stessa Unione, d’altronde è sempre attuale la locuzione latina si vis pacem, para bellum (se vuoi la pace, prepara la guerra).
*Odcec Roma
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