Unione civile tra datore di lavoro e lavoratore e contributi previdenziali; un caso
di Domenico Calvelli *
In un quesito prospettato alla Direzione Regionale Inps del Piemonte è stato rappresentato il caso di un dipendente, da lunga data, di un’impresa artigiana esercitata in forma individuale che, intendendo avvalersi dell’istituto dell’unione civile con il proprio datore di lavoro (ex legge 20 maggio 2016 n. 76) e continuando nel contempo a svolgere la propria attività di lavoratore subordinato presso il medesimo, ma non convivendo con quest’ultimo, né avendo con questi una comunione di interessi, avrebbe necessità di sapere se egli possa continuare a maturare i requisiti pensionistici derivanti dalla propria posizione lavorativa. Persisterebbe in tal caso in capo al datore di lavoro l’obbligo di versare i contributi, sia nella parte a carico dell’impresa, sia nella parte a carico del dipendente, come se si trattasse di un lavoratore subordinato senza legami familiari con il datore di lavoro? Vi potrebbe essere, al contrario, un’incompatibilità tra il proprio stato di lavoratore dipendente ed il fatto di aver contratto un’unione civile con il proprio datore di lavoro?
La Direzione regionale, rispondendo con estrema rapidità, premette che tutte le attività lavorative si presumono a titolo oneroso, salvo che se ne dimostri la finalità solidaristica e non quella lucrativa. Tutto ciò, precisa tuttavia, non vale per il lavoro prestato in ambito familiare: esso si presume gratuito per il fatto che sia reso in favore di uno stretto congiunto; ma anche in questo caso è ammessa la prova contraria.
La giurisprudenza ha avuto modo in effetti di precisare che la presunzione di gratuità è giustificata solo quando alla relazione parentale si unisca la materiale convivenza.
«Nel caso in cui i soggetti del rapporto di lavoro siano conviventi, le relazioni di affetti familiari, di parentela e di interessi tra essi esistenti possono giustificare una presunzione di gratuità, mentre nell’ipotesi di soggetti non conviventi sotto lo stesso tetto, ma appartenenti a nuclei familiari distinti ed autonomi, tale presunzione cede il passo a quella di normale onerosità del rapporto, superabile con la dimostrazione di sicuri elementi contrari». (Cassazione civile sez. lav. 3287/1986). Pertanto, nel caso prospettato, stante la non convivenza del lavoratore con il datore di lavoro, la prestazione lavorativa non si potrà presumere gratuita. È del tutto evidente, però, che l’onerosità dovrà essere in grado di resistere alla prova contraria, eventualmente fornita – per esempio – dalle risultanze di un accesso ispettivo.
* Presidente del Coordinamento degli Ordini dei Commercialisti di Piemonte e Valle d’Aosta, dell’Ordine dei Commercialisti di Biella e della Fondazione italiana di giuseconomia
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