Società di comodo e reddito minimo ai fini INPS
di Anna Isoardi Odcec di Cuneo
Il reddito minimo determinato dall’applicazione della disciplina delle società di comodo non è soggetto alla contribuzione previdenziale Inps.
Lo ha stabilito la sentenza n. 161/2018 del Tribunale ordinario di Cuneo pubblicata il 22 agosto 2018.
La vicenda nasce da un avviso di addebito emesso dall’INPS nei confronti di un socio di una Snc, al quale veniva contestato l’omesso versamento di contributi alla Gestione commercianti a seguito della determinazione del reddito d’impresa dichiarato dalla società nell’anno d’imposta 2013.
La società però, nell’anno contestato, non aveva prodotto alcun reddito effettivo, ma purtroppo era risultata di comodo e dunque aveva dovuto dichiarare il reddito minimo, calcolato applicando ai valori dell’attivo patrimoniale i coefficienti stabiliti dall’articolo 30, comma 3, L. 724/1994.
La Snc infatti era ricaduta nella disciplina delle società di comodo per aver dichiarato perdite reiterate negli anni precedenti.
La normativa infatti prevede che le società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre o, dall’esercizio in corso nel 2014, cinque periodi d’imposta consecutivi, oppure indifferentemente e consecutivamente, dichiarazioni in perdita per due o quattro periodi d’imposta e una dichiarazione con un reddito inferiore al reddito minimo,
sono considerate di comodo a decorrere dal successivo quarto/sesto periodo d’imposta.
Ai sensi dell’articolo 1, comma 1, L. 233/1990, l’onere contributivo dovuto dagli iscritti alle Gestioni artigiani e commercianti “è rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini Irpef per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono”.
La sentenza del Tribunale di Cuneo pone l’attenzione sul concetto di reddito come sinonimo di guadagno e non come reddito minimo ai fini esclusivamente contributivi; ed infatti cita la sentenza : “occorre aver riguardo ad un imponibile non limitato al reddito derivante dalla sola attività che da titolo all’iscrizione alla Gestione, ma, potenzialmente, esteso a tutti i redditi d’impresa denunciati dal soggetto. Ma proprio in relazione alla sostanziale indifferenza rispetto alle fonti di reddito da prendere in considerazione, si impone la particolare attenzione al concetto di “reddito” quale sinonimo di guadagno”.
Dunque il giudice ha dichiarato che il reddito minimo, per definizione, è un reddito presunto e fittizio, elaborato a fini “sanzionatori”, ove si dichiarano molto spesso valori inferiori al fine della pura evasione fiscale ma non estensibile a fini diversi, e, nello specifico, a fini contributivi.
Infatti anche la previsione contenuta nell’articolo 3-bis D.L. 384/1992, secondo cui “l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui all’articolo 1 della legge 2 agosto 1990, n. 233, è rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini Irpef per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono”, non può prescindere dallo stesso concetto di reddito come posta attiva.
In conclusione, quindi, dovendo ritenersi illegittima la pura e semplice trasposizione dei fini “erariali” o “tributari” nei fini “contributivi”, il reddito minimo, nelle società di comodo, non può essere assoggettato alla contribuzione previdenziale.
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